Capitolo III - Il circolo dimenticato

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«Che fine hai fatto? Non ti si vede più in giro.»

La polemica innescata da Giorgio affondava le proprie radici nell'ingiustificato assenteismo di cui Francesco, da diverse settimane, si stava rendendo protagonista. Messaggi senza risposta, inviti declinati, telefonate ignorate. Il repertorio era vasto. Sembrava che il suo comportamento traesse ispirazione dal manuale del perfetto illusionista, abile a scomparire senza lasciare tracce.

Per molti era diventato un fantasma. Gli era successo qualcosa? Stava male? Era stato rapito? Nessuno aveva sue notizie da troppo, troppo tempo. E non bastavano gli impegni prima lavorativi e poi universitari a spiegare il suo prolungato isolamento dal gruppo. Le ipotesi, realistiche o strampalate, non mancavano. Che fosse andato in ritiro spirituale? Aveva bisogno di un momento di raccoglimento personale?

Mentre gli amici si arrovellavano il cervello per indovinare quale mistero si celasse dietro alla sua sparizione, Francesco glissava, restando zitto sull'argomento. Il suo era un mutismo furbo, che gli serviva a smontare il caso. A ognuno inviava unicamente generiche comunicazioni via cellulare, di quando in quando, tanto per evitare che il ficcanaso di turno iniziasse a indagare seriamente e magari andasse in avanscoperta fin sotto casa sua per un sopralluogo esplorativo. In tal modo riusciva a mantenere le distanze e ad avere la situazione sempre sotto controllo.

Era in una fase delicata. Critica. Vagabondava in una dimensione sospesa nel vuoto, astratta, eterea. Aveva la testa fra le nuvole, ecco. E la sua provvisoria e insistita svagatezza si ripercuoteva sul suo quotidiano, investendo chiunque ne facesse parte. C'era dolo, ma non premeditazione. Gli veniva così e basta. Nemmeno si era reso conto di essersi allontanato dagli altri così tanto e così a lungo.

Aveva la concentrazione dirottata su altro. Punto. Provava quel qualcosa spiegabile solo con le farfalle nello stomaco. Non aveva ore, minuti, secondi da dedicare al resto. Qualunque cosa fosse, il resto doveva aspettare. Anche se si trattava dei compagni d'avventura di sempre.

* * *

Il tavolo era pronto, addobbato a festa con carte, fiches e un paio di bottiglie di vino del contadino. Di serate simili ne avevano già programmate e vissute tante insieme, al punto da far risultare l'iniziativa una contingenza routinaria. Eppure nella circostanza si respirava un'aria diversa da quella usuale, nuova, che pareva poter trasformare la consuetudine in un'occasione speciale.

Mattia e Pippo erano arrivati presto, prima dell'orario di appuntamento, come se inconsciamente avessero percepito la possibilità di un evento meritevole della loro partecipazione anticipata. Questione d'elettricità, di un'energia atipica. Non erano stati avvisati di alcuna evenienza particolare. La annusavano.

L'unico informato al riguardo era Giorgio che, come accadeva ogni volta, organizzava l'incontro, mettendo a disposizione la propria dimora. Lui sapeva cosa sarebbe successo. Sapeva chi avrebbe presenziato. D'altronde, lo aveva invitato lui. E non stava più nella pelle perché sopraggiungessero pure Berto e Ivano, in maniera tale che i soliti noti fossero tutti riuniti prima che facesse il proprio ingresso l'ospite segreto. Così la sua comparsa avrebbe fatto più effetto. Il botto. Come un fuoco d'artificio.

Voleva che fosse una sorpresa. Il colpo di scena finale. Perciò gli aveva detto di fare capolino verso le ventuno, quando agli altri aveva indicato un'ora di ritrovo differente. Circa trenta minuti prima. Tanto per godere di un margine che lo mettesse al riparo da qualsiasi imprevisto.

La puntualità di Ivano era una garanzia. Spaccando il minuto, mise in cattiva luce Berto, che comunque non tardò a raggiungere la combriccola. La sua venuta chiudeva il cerchio. Perlomeno questo era ciò che credevano gli inconsapevoli spettatori dello spettacolo di Giorgio, impazienti di sfidarsi a poker come ogni mercoledì.

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