Capitolo IV - Trenta

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Quella mattina il caffè aveva un sapore più forte del solito. L'abituale bustina di zucchero di canna non era bastata per addolcirlo. Era rimasto amaro. E il suo gusto intenso. Aveva fatto suonare la sveglia nella testa di Francesco al primo sorso. I successivi erano stati come colpi di tamburo progressivamente più veloci e potenti.

Terminata la stagione estiva, il parco Le Navi aveva chiuso i battenti e d'un tratto si era ritrovato senza un lavoro. Nulla di preoccupante per chi, come lui, abitava in una città che faceva del turismo estivo il punto di forza della propria economia. Si trattava semplicemente di rimettersi in pista e cercare una nuova occupazione. Intanto, nell'attesa di trovare offerte interessanti da per sé o di ricevere una chiamata da parte del Centro per l'impiego, l'obiettivo era portare avanti quegli studi che avrebbero dovuto garantirgli un futuro a tempo indeterminato. Un traguardo così arduo e impegnativo che, negli ultimi due mesi, aveva costretto Francesco ad alzare di rado lo sguardo dai libri.

Appena una settimana prima aveva sostenuto l'esame scritto relativo alla materia preparata. Psicologia dell'adolescenza. Una prova tosta. La data odierna, secondo quanto appuntato sul calendario, avrebbe dovuto fornirgli un responso in merito al superamento o meno del test. La tensione era alta. E l'agitazione cresceva di minuto in minuto, a causa dell'approssimarsi della sentenza.

L'energico espresso trangugiato prima di partire per Rimini, meta l'università, non poteva aiutare la sua quiete. I venti minuti di viaggio che occorrevano per raggiungere la facoltà da Riccione, in macchina, assomigliarono ad un lungo e sofferto countdown effettuato dal cuore accelerando i suoi battiti. Praticamente l'esito non fu la spedizione in orbita di uno shuttle, bensì un attacco di tachicardia.

La ricerca di un parcheggio aumentò il carico di stress. Un euro all'ora rappresentava l'investimento minimo per poter lasciare l'auto in sosta. Nel portafoglio erano custoditi soltanto piccoli tagli. Centesimi. Che Francesco dovette pazientemente contare per verificare se riusciva ad arrivare alla somma necessaria. Venti, settanta, novanta. Cento. Perfetto. Poteva procedere col pagamento per la stampa del biglietto.

Inserire una moneta alla volta nel parchimetro era un'agonia difficilmente sopportabile in quel momento. La trepidazione gli stava logorando il sistema nervoso. Si sentiva come se stesse covando una bomba a orologeria. Ne percepiva il cadenzato e inesorabile ticchettio.

La posta in gioco era alta. Per arrivare puntuale all'appuntamento con quelle fatidiche quindici domande secche, che il professore a ogni appello formulava diversamente, Francesco aveva dovuto assorbire contenuti e nozioni di quattro differenti tomi di almeno trecento pagine l'uno. E ciascuno lo aveva letto, riassunto e ripetuto dal principio alla fine, restando fedele al metodo d'apprendimento che da sempre gli aveva dato maggiori soddisfazioni.

Essere promossi significava tutto. Finché non si aveva la certezza di un voto positivo, a essere in bilico era il domani più prossimo, oltre che l'umore. Perché da un lato c'era la possibilità di raccogliere i meritati frutti della propria fatica e procedere oltre, dall'altro persisteva il rischio di tornare a sgobbare chissà per quanto sulla stessa identica pappardella che già una volta non era stata digerita.

Passo dopo passo, l'edificio che ospitava aule e uffici di Scienze della formazione apparve finalmente a pochi metri. Francesco fece il suo ingresso nella struttura senza guardare in faccia nessuno, chiuso com'era nella propria drammatica concentrazione. Oltrepassò rapidamente l'atrio e proseguì lungo il corridoio centrale, dritto verso la bacheca dei risultati. Davanti, c'era un nugolo di ragazzi, fra i quali non riconobbe alcun collega di corso. Ma era anche vero che in quel periodo lui non stava frequentando le lezioni, dunque non poteva sapere quali persone componessero nello specifico quella classe.

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