Capitolo XVII - Scacco matto

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«Ci siamo di nuovo dentro.»

L'affermazione non possedeva alcuna sostanza. Di esplicito, infatti, non raccontava nulla. Eppure il suo eco produceva comunque un fastidioso effetto, che suonava distorto. Era una sbavatura che risiedeva nella parte implicita dello sfogo, quella data per scontata, la quale faceva riferimento a un film del passato che stava per essere riproposto, al riacutizzarsi di un problema che pareva scongiurato, a qualcosa il cui riflesso lontano era già di per sé sufficiente a creare oppressione e smarrimento. In chi doveva affrontarlo viso a viso. Faceva riferimento al tumore, nudo e crudo, che era tornato.

Evidentemente scosso, com'era comprensibile che fosse, Francesco si lasciò andare a tale confidenza, subito dopo il reciproco abbozzo di abbraccio che lui e Giorgio si erano scambiati per saluto. Non poteva, e non voleva, tenerla dentro di sé. Non ci riusciva. Il suo bisogno di ricevere il conforto di un amico era tanto palese quanto legittimo.

«Ilenia?» aveva mormorato Giorgio quasi per scrupolo, mentre si metteva a sedere al tavolino del bar, avendo intuito con anticipo il motivo dei suoi turbamenti e quello che sarebbe stato il prosieguo del discorso.

Un timido gesto d'assenso con la testa era bastato a confermare il peggio. I successivi sospiri sconsolati di entrambi introdussero l'atmosfera vuota del dramma. Non era la notizia che si aspettava di ricevere, Giorgio, dopo che Francesco gli aveva telefonato per fissare un incontro fra loro. Immaginava una convocazione diversa, il cui semplice e unico scopo avrebbe dovuto essere chiacchierare del più e del meno e farsi insieme quattro risate e due birre. Qualcosa di spensierato.

La realtà invece si era ben presto rivelata tutt'altra. Molto più aspra e dura rispetto all'effimero rivangare episodi di un'immatura giovinezza comune, non troppo lontana, con riflessioni nostalgiche. Sui tempi in cui era possibile sottrarsi alle responsabilità. Quando sbagliare era lecito. Era un diritto, riconosciuto dalla vita stessa, che talvolta assumeva persino i connotati del dovere. Con fini educativi.

Adesso, quei tempi, purtroppo erano finiti. Commettere ingenuità e leggerezze sembrava non essere più contemplato, poiché nel presente dell'uomo adulto poteva esistere soltanto un imperativo categorico, che affermava l'esatto opposto. Vietato rilassarsi. La tensione infatti doveva restare alta, chissà per quale bizzarro incantesimo imposto dall'invecchiamento. Il quale, non ammetteva distrazioni. Era questo il peso insostenibile portato dall'avanzamento dell'età? Un margine d'errore che diventa sempre più sottile, anno dopo anno, arrivando a rasentare la soglia dello zero con l'accumulo delle rughe. Con la collezione di esperienze e di preoccupazioni.

Di colpo venivano a sparire la pietà, la comprensione, la compassione del destino. Il suo occhio benevolo, chiudendosi, rinnegava quello sguardo dolce che era solito riservare alle innocue ragazzate. Subentrava una fredda indifferenza, priva del romanticismo che tipicamente accompagna i sogni dell'adolescenza. Fatti di polvere di stelle.

E allora non si poteva più fare affidamento sulle seconde possibilità offerte dal futuro, sull'efficacia delle lezioni apprese sulla pelle, su un'eventuale rivincita redentrice. Ogni passo falso diveniva soggetto a un verdetto, che poteva anche essere inappellabile. Così magari succedeva che era la morte a far pagare il conto per tutto. Perché cambiavano le regole, non c'era più il gusto dello scherzo, né la tolleranza. Il gioco terminava con l'accettazione della propria identità individuale. Della solitudine nel mondo.

Si faceva sul serio. E Francesco aveva dovuto capirlo prima di altri. Era stato costretto. Lui, così come Ilenia. Tanto che la maggioranza dei loro coetanei, non essendo stata obbligata a fare altrettanto allo stesso livello, era rimasta su un piano differente. Dal quale faticava a comprendere l'enormità dell'onda che li aveva travolti. Per ben due volte.

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