Capitolo XII - Diversamente

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Avevano raggiunto una loro stabilità. Era fatta di tanta fatica e pochi svaghi per Francesco, di pillole e pazienza per Ilenia. Di molto impegno, da parte di entrambi. Perché veniva richiesto. Dalle riunioni, dai colloqui coi genitori e dalle relazioni da redigere dell'uno, dagli esami a cadenza fissa, dal riposo forzato e dai controlli periodici dell'altra.

La laurea in Scienze della formazione aveva spalancato a Francesco le porte del mondo del lavoro. Era stato bravo a sfruttare appieno lo spiraglio venuto a crearsi fra la fine del suo contratto con Le Navi e il successivo impiego presso il centro estivo. Aveva approfittato del tempo a disposizione fra un agosto e l'altro per studiare e discutere la tesi e acquisire finalmente il titolo di dottore.

A oltre quattro anni di distanza, considerando tutto quanto era successo nel mezzo e stava ancora accadendo, non avrebbe potuto scegliere periodo più appropriato per completare il proprio percorso universitario e conseguire l'agognata pergamena. Col suo nome scritto sopra, a caratteri cubitali.

Ottenuta l'ambita bicicletta, aveva dovuto pedalare velocemente fin da subito. Quello dell'educatore era un compito delicato. Cruciale. Per la difesa dei diritti degli individui più deboli, oltretutto nei traballanti anni della giovinezza, appartenenti a minoranze della società a rischio emarginazione. Esigeva il massimo della dedizione e dell'applicazione, fuori e dentro gli orari lavorativi. Attitudini che per Francesco, alla luce della sua situazione personale con Ilenia, non era semplice assicurare a nessuno. Tranne che a lei.

A succhiargli la stragrande maggioranza delle energie, a scuola, era un bambino affetto da sindrome di Asperger. Quello con la marcia in più, fra le schegge impazzite dell'autismo. Quando si trovava in aula contemporaneamente all'insegnante di ruolo, per affiancare il singolo soggetto durante la lezione che seguiva insieme ai suoi compagni normodotati, Francesco sudava sette camicie per conquistare e mantenere viva la sua attenzione. Era una lotta costante con le sue fisse, i suoi tic, gli atteggiamenti ripetitivi. Con lui. In un duello eterno che qualche volta lo eleggeva supremo vincitore e qualche altra lo relegava a perdente di turno.

Attilio. Era questo il suo nome. Frequentava la terza elementare, come era lecito attendersi da chi aveva compiuto otto anni. Robusto e slanciato, la sua testa era un trionfo di capelli ricci e castani di media lunghezza. Aveva occhi grandi, verdi, ai quali un paio di occhiali con piccole lenti rotonde non dava il giusto risalto. Il suo volto era reso frizzante dal simpatico rossore delle gote, colorate dodici mesi all'anno, a prescindere dalla temperatura dell'ambiente circostante. Non rideva spesso, ma nei rari casi in cui si concedeva il lusso di un'espressione frivola, allargava le labbra fino a mostrare tutti i denti. Propendeva per la completezza delle cose, anziché per l'insipidità delle mezze misure.

L'universo di Attilio era speciale. Era fatto di logiche, dinamiche e leggi proprie. Aveva regole sue, che solo saltuariamente collimavano con quelle dei restanti comuni mortali. Di norma si avvicinavano, potevano assomigliare, ricalcavano le altre in maniera grossolana. Rispecchiavano, rovesciandole, certe consuetudini. In contesti tuttavia separati e facendo le opportune distinzioni. Perché pur correndo su binari paralleli che ogni tanto si incrociavano, le differenze fra la realtà da lui vissuta e quella dei suoi coetanei restavano innumerevoli. In generale bisognava filtrare gli spunti che ogni sua azione offriva, in modo da riuscire a distinguere la sua innata autenticità da una finzione indotta, da lui stesso inconsapevolmente costruita affinché potesse essere il suo rifugio rispetto all'esterno. Era questo il passaggio fondamentale. Attilio era come un succo concentrato, che per essere compreso nella sua essenza, andava assaporato diluito.

* * *

«Com'è andata oggi?»

«Diciamo che non è capitato nulla che un domani si potrà definire memorabile, eccetto la solita sinfonia priva di acuti» rispose Ilenia, sviscerando un accenno di apatia: «E tu cosa racconti? Attilio?»

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