Capitolo 20

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Pov Louis

Febbraio era arrivato veloce quell'anno, ingrigendo ogni giorno sempre di più il cielo e allontanando gli uccellini alla ricerca di posti più caldi.
Le strade trafficate di Londra, le macchine all'apparenza tutte diverse, con fumo grigio a fargli da scia, e i taxi gialli che correvano su e giù per la grande città, facevano parte del caos generale delle undici di mattina.
A scuola ero arrivato affannato, lo zaino in spalla, la divisa stropicciata ed i capelli schiacciati sulla fronte. Avevo fatto appena in tempo a prendere fiato, prendere i libri di letteratura inglese e correre nell'aula al secondo piano. Mi sembrò di sentire i cori degli angeli non appena le mie chiappe toccarono la sedia, che se anche dura e scomoda permise alle mie gambe di fermarsi.
L'ora di pranzo era sempre quella più chiassosa, nonché la mia preferita. I corridoi sembravano dei lunghi campi e noi tante pecore a pascolare lì intorno. La mia scuola non mi piaceva, era troppo bianca, troppo triste, troppo spenta.
«Ho preso una fottuta C- in biologia, porca puttana».
«Hai sempre preso tutte A Payno, una C non ti cambia la vita».
«Conosci mio padre Niall, mi toglie la vita».
«Non dirglielo, semplice».
«Non dire cosa a chi?» aprii il mio armadietto e ci buttai i libri di fisica stancamente.
«Oh ehi Lou! Liam ha preso una C- e non vuole dirlo al padre altrimenti verrà decapitato».
Storsi il naso «una C- Payne? Zayn ti distrae troppo?» ghignai.
Abbassò lo sguardo deglutendo a vuoto, le mani a distruggersi a vicenda in gesti nervosi. Pensai che forse tirare fuori Zayn non fosse stata l'idea migliore, magari avevano litigato di nuovo. Sospirai e Liam mi imitò, tossicchiando.
Prese il suo zaino e ne strinse il manico talmente forte che le sue nocche diventarono bianche.
«Ci vediamo dopo» mormorò, poco prima di voltarsi e andare via.
Aggrottai le sopracciglia mentre guardavo la sua figura confondersi con gli altri. Incassai la testa tra le spalle e irrimediabilmente un senso di colpa mi assalì con violenza distruttiva.
«Non ti sembra un po' strano?» chiesi.
«Cosa? Il suo lamentarsi per un voto più basso del solito?» ghignò Niall «no, non sembra strano, sembra proprio da Liam Payne».
Ed eccolo lì, il solito sarcasmo di Niall, puntuale come un orologio. Scossi la testa e lo guardai.
«Hai per caso visto Dan da qualche parte?» mi morsi il labbro.
«Non c'è oggi a scuola Lou» si leccò il labbro superiore «ma a Dan penserai un altro momento, adesso proietta il tuo bel culo verso la mensa che sto morendo di fame».

Pov Harry

Passai una mano tra i capelli per quella che era la milionesima volta nell'arco di due ore. Gli occhi attenti a rileggere carte di cui sapevo il contenuto a memoria, cercando di intercettare cosa fosse andato storto. Il nostro più grande affare, la grande idea e possibilità di far crescere la nostra azienda, la mia azienda, era sfumata nell'aria come vapore. Ci è passata vicino, ci ha accarezzato, ma si è fatta solo annusare, non si è lasciata prendere. Ascoltavo Zayn urlare al telefono con Mark, faceva avanti e indietro, la sua colazione ormai fredda e dimenticata sul tavolo.
«Non mi frega un cazzo Mark, chiamali e chiedigli un appuntamento al più presto».
Ero stanco, avevo ancora le gambe intorpidite ed il collo bloccato. Il ricordo della sera prima, della sua pelle giovane e liscia, spinta nell'angolo più remoto e polveroso della mia mente.
«Se non farai quello che ti dico Mark, giuro su dio che ti butto per strada con le pezze al culo».
Lasciai i fogli sul tavolo e decisi di alzarmi per sgranchire le gambe. Uscii dalla sala riunioni e scesi al piano principale per un caffè.
«Buongiorno signor Styles! Procede bene la mattinata?».
Lucy, sorridente come al solito, era la mia segretaria da ormai sei anni. Teneva i capelli sempre in ordine, legati in su e broccati da una matita. Gli occhiali rossi posati sul suo piccolo naso alla francese, la faccia ricoperta di trucco, la solita giacchetta e gonna a stringere il suo corpo minuto. Probabilmente era una delle poche lì dentro che non mi ero preso la briga di scopare sulla scrivania del mio ufficio. Poche le volte che aveva provato a sbottonarmi i pantaloni, tante le volte in cui l'avevo beccata a fissarmi con una matita tra i denti.
«Procede come al solito, Lucy» presi il mio caffè «non hai delle pratiche da sbrigare?».
Arrossì, matematico.
«Io sì, vado subito. Buona giornata signor Styles».
Ghignai mentre mi affrettavo a tornare al piano di sopra, nella sala riunioni. Quando entrai, sentii Nick parlare.
«Potremmo sempre cercare di inglobarli. Potremmo togliere loro offerte, fare contratti migliori, ho degli agganci».
Zayn scosse la testa «e se poi va male? Potremo rimetterci la reputazione Nick».
«Non osi mai Zayn, sempre metodico e monotono. Ma fanno bene!» si aggiustò sulla sedia «fanno bene a toglierti clienti se sei così».
A quel punto vidi Zayn scattare «non si tratta di scegliere quale marca di mele comprare o con quale colore dipingere una stanza Nick, si parla del bene dell'azienda» ruggì «vuoi fregare qualcuno? Bene fallo, ma non con questa azienda, non fin quando ci sarò io».
Non ero sorpreso dal loro comportamento, ogni volta che perdevamo un cliente era così. Nick e Zayn diventavano cane e gatto, due forze parallele che tentavano di annientarsi a vicenda.
«Signori» tuonai «siamo una delle poche aziende ad avere successo mondiale. È forse la prima volta che perdiamo un cliente?» li guardai «no, non lo è. State ancora perdendo tempo dietro a questo cliente, che se pur un grande affare ha deciso di affidarsi alla debolezza e non alla forza. Dimostriamogli che la sua presenza non ci serve. Prendete titoli, vendeteli, comprateli, giocate con le azioni, fate il vostro lavoro come siete bravi a fare» mi sedetti «e per dio smettetela di urlare».
Nick sbuffò un «bene» prima di alzarsi ed uscire dalla grande sala.
Zayn si limitò ad annuire prima di mettersi di nuovo a lavorare.
Io presi il telefono.
Nessun messaggio.

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