Capitolo 21

14K 732 74
                                    

"Gli artisti usano le bugie per dire la verità"

Zayn

Non mi reputavo un artista, ne tanto meno un genio dell'arte, mi sentivo più un anima intrappolata dentro una macchina e lanciata in mezzo ad altre macchine uguali ma diverse. La nutrivo, le davo quello che le serviva per rimanere forte e funzionare bene, anche se nel più profondo sapevo che non era quello ciò di cui io, io anima, avevo bisogno. Non siamo macchine da fabbrica, schiacciate contro pareti bianche, usate da tutti e abbandonate al mondo. Non siamo oggetti, cose inanimate, perché un'anima ce l'abbiamo tutti, anche gli uomini più infami che baciano le loro donne sulle labbra mentre le tirano i capelli. Ci esprimiamo continuamente, anche solo con uno sguardo, anche solo con un movimento del braccio o lo sfioramento di due pelli calde. Ci esprimiamo con l'arte, perché è con questa che l'uomo sopravvive.
«I tuoi quadri sono sempre così belli Zayn» un sospiro «dovresti farli vedere a qualcuno, hai tanto talento».
Aspirai la nicotina dal filtro della sigaretta che tenevo tra le dita e sbuffai fuori il fumo tenendo gli occhi sulla figura minuta che saltellava da una parte all'altra toccando i miei quadri.
«Pez» sussurrai, la calma di quella stanza tanto sottile da non volerla rompere «io dipingo perch-»
«Perché è un passatempo e non un lavoro blablabla, Zayn Malik se non ti amassi probabilmente ti avrei già lasciato per essere terribilmente noioso».
Si avvicinò lentamente al letto mentre io schiacciavo la sigaretta finita nel posacenere. Piegò le ginocchia sul materasso e restò lì a guardarmi, il volto rilassato, le dita sottili a sbottonare la mia camicia che le faceva da vestito.
«Quand'è che ti deciderai a dipingere la tua musa?» mormorò.
Sfiorai le labbra con la punta della lingua mentre un ghigno si faceva spazio sul mio volto. L'afferrai e la inchiodai al letto sotto il peso del mio corpo, quando lei intenta a ridere portò una gamba nuda intorno al mio bacino per tenermi stretto.
Fu l'attimo in cui la guardai negli occhi, che mi accorsi di non riuscire a trovare quello che volevo, quello a cui volevo aggrapparmi e non lasciare andare mai più. Non erano degli occhi marroni come il cioccolato a guardarmi con tenerezza, in quel momento, e questo mi sembrò tremendamente sbagliato.
«Questo fine settimana vengono i miei genitori» mormorò accarezzandomi la barba corta «a mia madre prenderà un infarto non appena poserà gli occhi sui tuoi capelli». Accarezzò la mia testa, le sue dita affusolate alla ricerca di quelle ciocche di capelli che aveva tirato tante volte cavalcando l'orgasmo.
Con poco romanticismo sbuffai, buttandomi dall'altra parte del letto. Allungai meccanicamente il braccio per afferrare il pacchetto di sigarette ed estrarne una insieme all'accendino.
«A tua madre viene un infarto ogni volta che mi guarda».
Feci scattare la rotellina per poi avvicinare la fiamma al tabacco. Aspirai, i miei polmoni già in astinenza.
Perrie ridacchiò stendendosi di lato, il viso sorridente appoggiato sulla mano mentre il gomito puntellava sul materasso. Cercai di trovarla adorabile, con i capelli scombinati e il corpo snello a navigare nella camicia enorme, ma l'unica sensazione che avvertii fu solo quella di fastidio. Una di quelle che ti parte dal fondo schiena fino ad arrivare al cervello, percorrendo la spina dorsale e seminando brividi.
«Questo perché sei bellissimo».
Storsi il naso «questo perché è ancora convinta che i tatuaggi possano imbrattare solo la pelle di peccatori o comunemente chiamati carcerati» sbuffai.
Alzò gli occhi al cielo «però ancora non capisco perché l'hai fatto» la guardai, lei boccheggiò per due secondi prima di spiegarsi «tagliarti i capelli così corti intendo».
Espirai il fumo alzando le spalle, i miei occhi ora non più nei suoi ma a seguire quella nuvoletta bianca ad espandersi nell'ambiente.
«Volevo cambiare».

Cambiare forse era l'unica cosa che mi restava da fare.

«È stato un gesto improvviso».
«Sono solo capelli».
Perrie sospirò alzandosi dal letto.
«Alla tua musa piacciono comunque» sorrise, mi stampò un bacio sulla guancia ruvida «preparo la cena».
E mentre usciva dalla stanza non facevo che ripetermi che quel teatrino era così triste ma al contempo giusto, doveva essere giusto, perché i copioni erano stati già scritti e non erano ammessi errori o colpi di scena. Perché ragazzini con occhi marroni e capelli castani non erano contemplati, dovevano essere tagliati fuori, e più mi ripetevo che sì Perrie era la mia musa, più la consapevolezza che l'ispirazione per dipingere gli ultimi quadri appesi per la stanza non me l'aveva data lei ma uno stupido ragazzino con lo sguardo da cucciolo.
Strofinai la mano sulla faccia mentre scivolavo nel letto silenziosamente. Quando chiusi gli occhi, le immagini di due sere precedenti riempirono la mia mente.

Love has no ageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora