Capitolo 25

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Pov Louis

Non avevo mai conosciuto l'Amore prima di incontrare Harry, un sentimento così forte da anestetizzate tutti gli altri, tutto il resto. Eppure ne avevo conosciuto solo la metà, la parte bella, quella color rosso fuoco capace di accenderti come una miccia. Capace di renderti debole ma allo stesso tempo forte abbastanza da permettere al tuo cuore di distruggersi e curarsi innumerevoli volte. Credevo di aver conosciuto anche l'altra metà, quella fredda come il ghiaccio. La parte dolorosa, gonfia di tristezza e lacrime. Odiavo entrambe le parti, odiavo me stesso per aver permesso all'Amore di accarezzarmi, farmi sentire protetto, per poi rubarmi il cuore e lasciarmi spoglio, incapace di qualsiasi cosa. Mi ero annullato completamente, due settimane di apatia nei confronti del mondo che se pur felice, per me era grigio. Due settimane in cui evitare Harry era diventato una specie di gioco senza sorrisi o risate, perché anche solo pensare al suo nome chiudeva il mio stomaco e faceva impazzire il mio cuore. Ero arrabbiato anche con lui, con il cuore, perché nonostante tutto continuava a battere per lui, nonostante tutte le feriti indelebili ed invisibili.
Harry non aveva fatto altro che chiamarmi e mandarmi messaggi, deliberatamente ignorati. Un giorno, uscendo da scuola, lo notai appoggiato alla sua macchina ad aspettarmi, gli occhi attenti ad esaminare ogni ragazzo che gli si parava davanti. Fui più veloce io però, aspettai che prendesse il telefono per correre verso la macchina di Niall. Il biondo imprecò aggrottando le sopracciglia in un primo momento, guardandomi mentre ansimavo e sgusciavo sul sedile per non farmi vedere, ma appena notò la figura di Harry chiuse la bocca e non fece più domande.
Un giorno bussò anche alla porta di casa, Harry, e sentire la sua voce profonda e roca dopo tutto quel tempo mi fece ripiombare nel dolore, e nuove lacrime forse più salate, percorsero lo stesso sentiero lasciato dalle vecchie compagne.
Capitò la settimana in cui mia madre andò a trovare sua sorella a Seattle. Bussò tre volte alla porta, tre tocchi cadenzati, eleganti. Non ci pensai minimamente a lui, l'unica volta che non lo feci, aprii la porta distrattamente senza nemmeno chiedere chi fosse. Quando incontrai i suoi occhi verdi contornati da ombre scure, mi mancò il fiato per un secondo. Boccheggiai, completamente immobile, ma quando lui mosse un passo verso di me allungando una mano, chiusi la porta immediatamente. Rimasi pietrificato ascoltando la sua voce tormentata urlare cose come «Louis cazzo vuoi dirmi cosa ti succede!». Pugni sulla porta, «mi eviti da più di due settimane, perché, parlami, non puoi sparire in questo modo vaffanculo!».
Altri pugni, poi silenzio. Una parte di me sperò che non se ne fosse già andato, la parte ancora stupidamente innamorata.
Dei passi sul portico e un sospiro, poi, fecero crollare le sue speranze.
Si sa però, che più cerchi di evitare qualcosa o qualcuno, e più quella cosa o persona ti finisce sempre tra i piedi.
La mattina uscii per comprare qualcosa da mangiare, giusto per riempire un po' il frigo. Vederlo vuoto mi rendeva ancora più triste. Comprai patatine, birra, noccioline, latte, il mio amato tè, altre patatine, salse e gelato, disposto a non ingerire nulla di sano per il mio corpo. Fanculo i chili e la ciccia, sto male e mangio quello che voglio.
Pagai con gli ultimi soldi che mi erano rimasti, poi con le buste in mano mi incamminai verso casa. Lo notai subito grazie ai suoi stivaletti - orrendi stivaletti - oro, le sue gambe lunghe e snelle con i fianchi appoggiati alla sua auto, perfettamente davanti all'ingresso di casa mia. Pensai di poter scappare, non troppo vicino né lontano ma perfettamente in mezzo alla strada che conduceva alla mia meta, ma purtroppo i suoi occhi si erano già posati su di me non appena pensai di poter sparire. Desiderai di avere qualche strano potere magico capace di trasformarmi in cenere o aria o semplicemente capace di farmi diventare trasparente, ma purtroppo era giunta l'ora di affrontare i problemi. Ora non decisa da me ma, ovviamente, dalla mia immancabile sfortuna. Decisi di accelerare il passo e di non guardare Harry Styles mentre masticava una gomma così spudoratamente e fissandomi da dietro i suoi costosi occhiali da sole di marca. Lasciai le buste davanti alla porta ed afferrai le chiavi con un leggero tremolio alle mani, che tentai di scacciare stiracchiando le ossa.
Maledetto freddo e maledetto Harry Styles.
Pensai di avercela fatta, quando portai l'ultima busta di cibo all'interno della casa, ma la voce di Harry mi fece rabbrividire.
«Louis».
Morsi il mio labbro inferiore per impedire a me stesso di girarmi a guardarlo. Accompagnai la porta per non farla sbattere, ma - proprio come nei film - Harry fu più veloce nel bloccarla con un piede. Il tremolio alle mani ricominciò, forse più violento di prima, ma non permisi al senso di panico, tristezza e amore di riaffiorare dopo tutto quel tempo in cui avevo tentato di annegarli con le lacrime. Perciò afferrai il manico della porta e con uno strattone, l'aprii.
«Cosa vuoi ancora?».
Sentivo lo stomaco fare le capriole e contorcersi in movimenti dolorosi, proprio quando quegli occhi verdi forse un po' tristi incontrarono i miei, stanchi.
Le ciglia nascondevano cimiteri di lacrime incastrate, così prepotenti o forse intenerite da non voler farsi vedere.
«Cosa voglio? Beh, Louis, voglio che mi spieghi cosa diamine ti è successo!».
Deglutii sentendo il suo tono di voce così arrabbiato e spaventosamente alto. Non era la prima volta che Harry alzava la voce con me, ma forse era la prima volta in cui non mi sentivo come se la colpa fosse solo la mia. In realtà ero incazzato e basta.
«Non ti devo spiegare proprio un bel niente e adesso vattene, non voglio più vederti».
Tentai di scappare ancora, di nuovo - mi sembrava di fare solo quello da tutta una vita - ma Harry mi afferrò dal gomito per tirarmi via, evidentemente non disposto a finire lì la questione. Perché non mi lasciava andare e non mi permetteva di vivere felice?
«Non toccarmi» ringhiai, strattonando il braccio e guardandolo com espressione ferita. Boccheggiò per due secondi buoni, prima di sbattere le ciglia e passarsi le mani tra i capelli.
«Louis» mormorò «non ho l'età per queste litigate adolescenziali».
Una risatina mi uscì dalle labbra, incapace di trattenermi per le parole pronunciate.
«Mi scusi se sono un adolescente così problematico, Signor Styles. Preferisce intavolare una conversazione sull'economia londinese o sfogliare il giornale in salotto?».
«Piantala, ti stai rendendo ridicolo» sbuffò «mi hai evitato per settimane e mi stavi chiudendo la porta in faccia, cosa ti è preso?».
Perché la colpa doveva essere sempre la mia? Non avevo sbagliato io - non l'ho mai fatto -, non sono io quello che lo aveva fatto soffrire, tradendolo o semplicemente offendendolo. Non ero io, tra i due, a dover chiedere scusa. Non più.
«Cosa mi è preso? Mh fammici pensare un attimo, ah sì. Sai è iniziato tutto quando ho iniziato ad annullarmi per uno stronzo che non faceva altro all'infuori di prendermi per il culo» un sorriso senza sentimenti comparve sul mio viso «e pensa che continuava a prendermi per il culo anche dopo aver detto di aver messo la testa apposto, sai come? Continuando ad invitare la sua fidanzata del liceo di cui era innamorato, a casa sua! Non è incredibile?».
Tutto a un tratto Harry sembrò capire, notai il groppo in gola che tentò di deglutire più volte. Boccheggiò, tentò di dire qualcosa, gli occhi improvvisamente lucidi.
«Sì Harry, sono stato a casa tua dopo che mi hai ignorato per due giorni, ma la tua amorevole fidanzata mi ha detto che stavi facendo la doccia e quindi non volevo disturbare il vostro weekend di coccole e sesso» deglutii, la voce rotta dalla voglia di piangere che con arroganza tentava di riportarmi giù. Un senso di rabbia improvvisa nel guardarlo lì, inerme a fissarmi, senza tentare di recuperare l'irrecuperabile, mi fece scattare come una molla.
«Sei uno stronzo».
Lo spinsi.
«Lou». 
«Ti odio».
Lo spinsi ancora, lui tentò di afferrarmi le mani.
«Louis ti prego».
«Vaffanculo non ti voglio più vedere».
Mi accorsi delle lacrime sulle mie guance solo grazie ad una folata di vento particolarmente forte che mi congelò la pelle. Odiavo piangere davanti a qualcuno, sopratutto davanti a lui, mostrandomi ancora più bambino.
Mi afferrò i polsi e li tenne stretti cercando di tirarmi verso il suo corpo; impuntai i piedi e abbassai gli occhi, tutta la forza di prima rimpiazzata dalla tristezza.
«Louis ti prego, entriamo e parliamo. Non è come pensi, cristo, è un fottuto malinteso!».
Scossi la testa, ma lui continuò, «so che non mi credi ed hai pienamente ragione. Sono uno stronzo, non ti merito e probabilmente pagherò per tutto il male che ti ho fatto e le lacrime che ti ho fatto versare, ma» passò il pollice sulla mia guancia per asciugarmi il viso, ma ignorando i brividi allontanai il viso voltandolo dall'altro lato. Sospirò, «ma per favore, ascolta quello che ho da dirti. Hai frainteso tutto, te lo giuro».
Tirai via le braccia riuscendo a staccarmi dalla sua presa ferrea, la sua pelle a contatto con la mia a bruciare come un pezzo di ferro rovente.
Incrociai le braccia al petto per proteggermi da lui e quello che era. Sentire il tono di voce così in colpa e guardare quegli occhi pieni di sentimento, mi fece venir voglia di rifugiarmi tra le sue braccia e vivere lì per sempre.
Tirai su con il naso.
«Avanti, parla».
«Non entriamo? Fa piuttosto freddo».
Se lasciavo entrare dentro casa, poi sarebbe stato più difficile cacciarlo via. Scossi la testa ed abbassai lo sguardo, ancora.
«No. Parla, non voglio sprecare altro tempo con te».
E forse mi pentii per averlo detto, perché quando azzardai ad alzare il viso incontrando i suoi occhi, Harry mi sembrò stupito quanto terrorizzato.
Sospirò per l'ennesima volta, poi iniziò a parlare.

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