• 𝒫𝓇𝑜𝓁𝑜𝑔𝑜 ~

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Londra, marzo 1817.

Notte.

"Elizabeth, che ora sentiva qualcosa di più di una semplice pena ed imbarazzo per la situazione in cui egli si trovava, si sforzò di dire qualcosa; e subito, se pur con una certa difficoltà, gli fece capire che i suoi sentimenti avevano conosciuto un tale mutamento dopo il periodo cui egli aveva accennato, da farle accettare con gioia e gratitudine le sue dichiarazioni. La felicità prodotta da questa risposta fu tale quale egli non aveva forse mai conosciuto prima, e Darcy si espresse con tutto il sentimento ed il calore con cui può esprimersi un uomo profondamente innamorato. Se Elizabeth avesse osato incontrarne lo sguardo, avrebbe visto quanto quell'espressione di intima gioia diffusa sul suo volto gli si confacesse; ma, pur non osando guardarlo, poteva però ascoltarlo; ed egli le esprimeva sentimenti che, dimostrandole quanto ella fosse importante per lui, rendevano sempre più prezioso il suo affetto."

La fiammella della candela sul mio comodino vibra per via di una folata di vento improvvisa che proviene dalla finestra semiaperta della stanza. È marzo e fa molto freddo, soprattutto a quest'ora della notte, ma ho bisogno dell'aria per sentirmi di più a casa e lascio sempre il vetro un po' aperto, quando è possibile.

Mi metto in piedi dal letto dov'ero sdraiata a leggere e richiudo la mia copia di Orgoglio e Pregiudizio, lo ripongo vicino alla candela mentre una goccia di cera scende giù fino a raccogliersi nella bugia di ottone. La mia lettura preferita mi guarda attraverso la copertina intarsiata che brilla sotto la fiamma: è una lettura che amo affrontare ogni sera e credo di avere letto tutto il libro almeno dieci volte, poiché mi dà conforto e mi aiuta a sognare. Inoltre è l'ultimo regalo di mia madre e non potrei mai separarmene. Forse, al momento, costituisce la cosa più cara che possiedo.

Mi dirigo verso la finestra a piedi nudi per non fare rumore e quando afferro la maniglia vengo investita da un brivido di freddo. Mi stringo il corpo con il braccio libero, non avendo indossato la vestaglia, ma nel buio della notte una luce cattura la mia attenzione: con la coda dell'occhio la vedo spiccare con il suo calore da una camera dell'edificio di fronte. Noto che la tenda è scostata e il camino è acceso. Le sue fiamme creano ombre e riflessi di luce sul dorso di numerosi libri stipati sugli scaffali di una libreria alta fino al soffitto.

D'un tratto una figura in penombra si avvicina alla finestra, è un uomo ma ha il capo chino e non posso vederlo bene in viso, anche per via della distanza. Con la mano tiene un bastone, mentre l'altra è poggiata aperta sul vetro della finestra. Rimane così qualche minuto, con le spalle che si alzano e si abbassano repentine come se fosse scosso dal pianto, tanto che mi sembra quasi di sentire i suoi singhiozzi. Il dolore che emana questa scena mi si palesa davanti agli occhi con tutta la sua pesantezza e, in qualche modo, ravviva la mia tristezza che mi fa bruciare gli occhi. Sento le ciglia pizzicare mentre lo stato d'animo che condivido con questo sconosciuto, a sua insaputa, è così devastante da costringermi a strizzare gli occhi per cercare di ricacciare indietro le lacrime.

Poco dopo l'uomo si allontana dalla finestra e io chiudo le tende in fretta, con il timore di essere scoperta a spiarlo. Non pensavo che lady Amelia vivesse con un uomo. Non era vedova? Chiederò alla zia, io non sono ancora pratica delle sue conoscenze e del vicinato. Inoltre le finestre di quella casa hanno quasi sempre le tende tirate e questo infittisce il mistero che adesso ne permea le mura.

Perché stava piangendo? Non ho mai visto un uomo piangere, nemmeno per la perdita di una persona cara. Almeno mio fratello non lo ha mai fatto, mentre io per lui ho versato lacrime fino allo sfinimento. Ed è con la tristezza nel cuore e il pensiero del mio defunto gemello, che mi accingo a spegnere la candela e ad avvolgere il mio dolore nel buio di questa notte fredda, scivolando nel sonno poco dopo.

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