• 𝒞𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 12 ~ 𝒮𝑜𝓅𝒽𝒾𝑒

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Siamo all'inizio di una nuova settimana e gli ultimi due giorni sono stati un vero inferno. La zia Bridget non ha fatto altro che ricordarmi in continuazione cosa dire, quando parlare, ma soprattutto quando stare zitta... cioè sempre. Praticamente posso rispondere solo alle domande, se vengo avvicinata da un possibile pretendente o dalla sua famiglia. Si esclude la famiglia reale, che deve avere l'attenzione prioritaria, qualora mi venisse chiesto qualcosa.

Tutta la giornata di ieri l'ho trascorsa a camminare avanti e indietro, da un lato all'altro della casa, con indosso le scarpe del debutto e un abito simile a quello che indosserò, in modo da abituarmi ai movimenti. Mi fa male la testa perché la zia mi ha costretta a tenere tre libri sul capo per tutto il tempo, mentre camminavo tentando di non farli cadere. E ho la faccia indolenzita per quante volte ho simulato le espressioni facciali più sorridenti che io abbia mai espresso in tutta la mia vita.

Per certi versi mi sono sentita una bambola di porcellana, una sorta di marionetta i cui fili vengono costantemente mossi da mia zia, che non mi dà tregua e mi sta sempre con il fiato sul collo. A volte non la sopporto proprio, come quando, questa mattina, mi ha detto: «Devi proprio andare da quel menomato del vicino?».

L'avrei uccisa con le mie mani.

Per quanto io non sia in perfetta sintonia con il Duca, e ormai ci ho fatto il callo, non credo lui meriti di essere additato in quella maniera. L'ho trovata volgare e fuori luogo, soprattutto perché non conosce minimamente la situazione di quell'uomo, né si è mai interessata a sapere ciò che faccio lì con lui, anche se so che lo chiede ogni giorno a Sarah, che per lei è la mia sorvegliante.

Non posso neanche difenderlo a spada tratta, d'altra parte, poiché lui non si fa problemi ogni giorno a dirmi che non dovrei continuare a farmi trattare male. È il mio nemico e si fa perfino beffe di me, devo proprio essere caduta molto in basso per non avere altro da fare nella vita che discutere con il Duca.

Prendo un profondo respiro ed esco di casa insieme alla mia cameriera personale, come ogni pomeriggio da qualche settimana a questa parte.

Ritorno in questa casa con l'animo in contrasto, diviso fra il voler dare l'ennesima possibilità di redenzione al Duca (anche se... chi sono io per giudicarlo?) e l'irrefrenabile desiderio di tornare a casa. Poi ricordo cosa mi aspetta lì, cioè mia zia con la sua ligia educazione alle buone maniere e la mania di cercarmi un marito, anche perché a cos'altro potrei aspirare, se non a quello? E in un secondo mi crolla di nuovo il mondo addosso, come ogni mattina in cui apro gli occhi su questo mondo triste e monotono. Se fossi nata uomo a quest'ora sarei probabilmente in viaggio per conoscere l'originalità e la bellezza di ogni luogo del pianeta.

La governante scorta me e Sarah, silenziosa poco dietro di me, fino alla biblioteca, e come ogni pomeriggio ci serve con riluttanza il tè con i biscotti, andandosene poco dopo con un cipiglio antipatico in viso.

Sarah mi rivolge un'occhiata colpevole. «È la madre di Thomas.»

«Oh.» Riesco a dire, con una notevole sorpresa.

«Non credo di andarle a genio, perché... Sapete...» Intreccia nervosamente le dita. «Thomas e io...»

Esita e decido di andarle incontro. «Vi state frequentando?»

Lei arrossisce all'improvviso, il che la fa diventare una sorta di pomodoro maturo, considerato già il colore rosso vivo dei suoi capelli. «Non mi impedirete di vederci...?» Mi chiede con un filo di voce.

E io le sorrido, scuotendo più volte il capo. «Per me sei come una sorella, Sarah, ti sembra che io possa in qualche modo tradirti o farti del male? Se Thomas è la tua gioia non mi opporrò per niente al mondo al vostro amore.»

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