18.

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«Io e te dobbiamo parlare» torno nel mio quartiere e vado fuori al bar dove so che troverò Antonio. È lì seduto al tavolino coi suoi compari, con la solita sigaretta penzolante dalle labbra e lo sguardo serio. Mi fissa per qualche secondo, poi si porta una mano alla bocca e allontana la sigaretta dal suo viso.
«Lo decido io quando dobbiamo parlare non tu» mi dice ferreo «tornatene a casa» conclude e mi ritrovo gli occhi anche di tutti i suoi amici addosso.
«Antonio, quello che hai fatto è...»
«Ti ho detto che non ne dobbiamo parlare adesso e qua, vattene a casa» ripete e mi fa incazzare ancora di più.
«No, voglio parlare adesso. Sei un pezzo di merda, il problema ce l'hai con me, che c'entrano le altre persone? Nè stronzo?» non appena sente queste parole scatta in piedi e mi trascina per un braccio lontano dai tavolini del bar.
«Tu qua a fare le scenate non ci vieni, nennè, hai capito?»
«Io faccio quello che mi pare, tu non mi comandi, strunz.»
«Tornatene a casa, dopo vengo da te e ne parliamo. Vattene a casa» dice ancora e io scuoto la testa sotto al suo naso di proposito per sfidarlo.
«Nun me ne vaco. Devi stare lontano da me, hai capito?»
«Tu mi devi dare i miei soldi, ti avevo detto ventimila al mese e tu mi hai fatto il bonifico di cinque mila. Non hai mantenuto i patti e dovevi avere un avvertimento. Non è uno scherzo con me, piccerè» la sua voce rude e spessa mi fa venire i brividi ma devo reagire o crederà di potermi mettere sotto quando vuole.
«Te li do i tuoi soldi ma ventimila al mese da dove li prendo?»
«Nun me ne fotte. Chiedile al tuo ragazzo di cui sei tanto innamorata, che rè, non glielo vuoi dire che tieni i debiti con me?» mi prende di nuovo per un braccio e mi strattona ma io mi divincolo subito.
«A lui non lo mettere in mezzo, hai capito? Lui in questa merda non c'entra niente» ora sono io a puntargli un dito contro e a sbatterglielo sul petto. In tutta risposta mi ride in faccia.
«Se non vuoi mettere altre persone in mezzo lo sai che devi fare, io la via d'uscita te l'ho data» i suoi occhi vagano sul mio corpo e poi allunga una mano appoggiandola su un mio fianco. A quel tocco, non ci vedo più. Non farò come con Riccardo, non stavolta. In un attimo la mia mano è sul suo viso, gli rifilo uno schiaffo in pieno volto lasciando anche lui senza parole.
«Non ti azzardare mai più a mettermi le mani addosso, hai capito pezzo di merda?» lo spingo con due mani sul petto e lo allontano da me. Averlo così vicino mi ha fatto mancare l'aria.
«Vavatten a casa e dammi i miei soldi. Domani voglio il resto per questo mese, quindicimila, non un euro in più né uno in meno. Mi hai capito? E non mi venire a sfidare mai più perché le cose per te si mettono male, ti è chiaro?» digrigna i denti e si abbassa leggermente per mettersi con i suoi occhi all'altezza dei miei. «E mo vattene a casa» conclude.

Stavolta me ne vado davvero perché quello che dovevo fare l'ho fatto e ho anche dato un messaggio ai suoi amici, con me devono stare al loro posto. Non sono più la ragazzina fragile che ero anni fa, ora combatto e sono presente a me stessa.
Ora, però, il problema è un altro: i soldi. Come cazzo li trovo quindicimila euro in un giorno? In realtà un'idea l'avrei ma scuoto la testa per allontanare quel pensiero. Non lo posso fare, non posso. Mi sdraio sul mio divano e prendo il cellulare, oggi dovrebbero arrivarmi dei soldi di alcune sponsorizzazioni ma non sono nemmeno mille euro, troppo pochi ma comunque qualcosa. Lo stipendio lo prendo la settimana prossima, quello di Giovanni tra dieci giorni. Cosa posso fare? Forse devo davvero aprirmi un OnlyFans ma non potrei svelare la mia identità e comunque impiegherei mesi per vedere i primi soldi, credo. Ah, dannazione! Non ho altre strade, non ho alternative. Mi alzo dal divano e corro verso lamia cabina armadio da dove tiro fuori lo scatolo arancione che conservo con tanta attenzione. Lo apro e mi rigiro tra le mani quel gioiellino di borsa che mi ha regalato Giovanni. Faccio una ricerca online e per la pelle che ha scelto e per la grandezza della borsa, l'avrà pagata intorno ai ventimila euro. Cristo mio, quanti soldi. È bellissima e mi piange il cuore ma ora onestamente questi soldi mi servono come l'aria.
Metto lo scatolo in una busta che non faccia vedere l'interno, salgo sul mio motorino e guido fino ad un paese dell'area nord di Napoli in cui c'è un negozio vintage che acquista questo tipo di borse. Arrivo lì e il proprietario si innamora subito della mia borsa e me la valuta diciassette mila euro. Mi faccio dare in cambio una borsa identica a questa ma fake pagandola trecento euro e mi bonifica i diciassette mila euro istantaneamente.
Quando esco da lì mi sento una persona tremenda ma purtroppo non ho avuto alternativa. Faccio subito il bonifico ad Antonio e poi me ne torno a casa. Faccio una doccia, mi vesto e riscendo andando da Giovanni che è da poco tornato a casa dopo essere stato in giro con Amir. Ho messo la borsa che dovrebbe essere quella che lui mi ha regalato così da non fargli capire che non è più in mio possesso. Mi sento una falsa ma ormai non so più che fare.
Arrivo da lui che non si accorge minimamente della borsa fake, anzi, mi dice che mi sta benissimo e che l'ho abbinata alla perfezione con le mie Dunk bianche e azzurre. Io sorrido e lo ringrazio ancora per poi cambiare argomento. Decidiamo di uscire fuori a cena e andiamo in uno dei ristornati più in voga della citta dove spende quasi cinquecento euro per la cena.
Mi viene da piangere vedendo tutti i soldi inutili che a volte spreca e davvero se gli chiedessi un aiuto non avrebbe alcun problema ma non ce la faccio, mi vergogno troppo, non riesco a chiedergli nessun aiuto di tipo economico.
Torniamo a casa sua e ci mettiamo a letto. La mia borsa è lì sul comò proprio di fronte ai miei occhi e più la guardo meno sonno ho. Giovanni dorme già profondamente mentre io non riesco proprio a dormire. Per tutta la notte non faccio altro che girarmi e rigirarmi nel letto e non dormo praticamente mai se non un paio di ore a mattina inoltrata. Verso le nove mi sveglia per la colazione e gli dico che lo raggiungo in dieci minuti.
Il fatto che il bar sia chiuso non fa che peggiorare la mia situazione, non ho alcuna distrazione e penso sempre e solo ad Antonio e ai miei debiti.
Mi alzo dal letto e metto una maglia da calcio di Giovanni che ha appoggiato su uno scaffale qui in camera e lo raggiungo in cucina. Appena mi vede spalanca gli occhi e scatta in piedi.

«Ma che ti sei messa addosso?»
«Una tua maglia? Non vedi?»
«Una mia maglia Fede? Questa non è solo 'una mia maglia'...»
«No?»
«Questa è la maglia della vittoria dello scudetto, avevo questa addosso quando ho alzato la coppa. Ci tengo molto ed è molto preziosa» dice serissimo e io annuisco.
«Ok perdonami non lo sapevo, la tolgo e ne metto un'altra.»
«Sì ti ringrazio.»

La tolgo e la ripongo sullo scaffale su cui era quando l'ho presa e metto una t-shirt di Giovanni che trovo in suo cassetto. Torno da lui e facciamo colazione.

La giornata scorre tranquilla e lui non si accorge del mio tormento interiore. Meglio così, meno sa e meglio è, deve stare più lontano possibile dai miei guai.

Nonostante tutto | Giovanni Di LorenzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora