Capitolo XXXIX - Il Nemico del mio Nemico

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Parte XXXIX




Trigger warning

Istigazione al suicidio, scene cruente di mutilazione e tortura, massacro di bambini ma in generale massacro di tutti. E incest non grafico (al momento).

Dark themes insomma.

Lettore avvisato...






Doveva trovarsi nei campi celesti.

Inuyasha mantenne gli occhi saldamente chiusi mentre affondava nella beatitudine suprema. Cioè, non che i futon di piume d'oca non fossero già il massimo dell'esperienza mistica comparati con il tronco di Goshinboku o al manto erboso della foresta. O un pagliaio al villaggio.

Dormire a palazzo era un'esperienza sufficientemente paradisiaca, ma quella particolare condizione di sonno in cui si trovava era qualcosa di diverso.

Era un calore diverso. Una sensazione diversa.

Era al sicuro. Al caldo. Protetto da qualcosa che sovrastava su di lui avvolgendolo in un abbraccio più che in una morsa, dandogli la consapevolezza che niente avrebbe potuto attaccarlo in quel particolare momento. Era certo di essere in un luogo in cui niente avrebbe potuto fargli del male.

Era qualcosa di mai provato prima. C'erano vibrazioni sulla sua pelle che gli ricordavano soffi d'aria estiva, piccoli sbuffi di respiro che potevano rassomigliare un contatto fisico. Poi bassi vibrati, come fusa. Non era solo e non era l'unico ad essere felice.

Aprì le palpebre a quel pensiero e così come i suoi occhi dorati nel buio si fecero cangianti e seppur non fiutasse predatori, il peggiore era proprio dietro di lui.

Le iridi di Sesshomaru brillavano nell'oscurità appena sopra la sua spalla, proprio come quella mattina. L'unica mattina che avevano trascorso insieme e come allora gli aveva dato le spalle nel sonno, come un idiota.

Un altro errore madornale. Un'altra fatale svita.

Più veloce di una stella cadente la memoria della sera prima gli esplose dietro alle orbite come un fuoco d'artificio e ora, tastando qua e là, capì che non era né nel suo letto né all'interno del goten. C'era odore di salsedine, la soffice e morbida compostezza dell'ovatta sotto di lui, ma ridotta in scampoli, come in un nido improvvisato.

E il più grande dei predatori sovrastava su di lui, quegli occhi cangianti nel buio avvolti in sclere rosse come sangue.

Agì per istinto, agì per il terrore.

Sentì l'osso del naso di Sesshomaru rompersi quando lo colpì con un pugno dritto fra gli occhi, seguito da un rapido ringhio strappato di sorpresa. E fuggì.

Non aveva Tessaiga, non aveva Soung'a. Sapeva che fisicamente non poteva battersi contro suo fratello e senza spade era senza difese. Fatto. Finito.

Volò fuori dalla grotta inciampando nei propri hakama, svestito dal torace in su, e trovò di fronte a sé una scia dei suoi vestiti che andavano in una direzione precisa.

A fiuto era l'uscita. Quando incontrò la luce dell'alba e un gelido mare in procinto di tempesta trovò anche Tessaiga e Soung'a buttate a terra come pensieri irrilevanti.

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