Capitolo otto.

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Jack accosta davanti a me ed io salgo sulla moto. Non dice una parola finchè non ci troviamo nel parcheggio del Memorial Hospital.
«Alice, ho paura» mi dice togliendosi il casco.
Mi metto di fronte a lui e gli accarezzo la guancia. Non l'ho mai visto così vulnerabile, di solito sembra che nulla possa ferirlo o scalfirlo. Jack chiude gli occhi sotto il mio tocco, godendoselo.
«Ehi, andrà tutto bene»
So di non potergli dare questa garanzia, ma credo sia abbastanza devastato e una parola di conforto non può che farlo stare un po' meglio.
Entriamo nell'ospedale mano nella mano, quasi per darci forza l'un l'altro. Seduti in sala d'attesa trovo tutti i ragazzi. Lisa è da sola, rannicchiata sulla sedia che piange in maniera disperata.
«Le vado a parlare» dico a Jack lasciandogli la mano.
Mi siedo accanto a Lisa e la avvolgo in un abbraccio. Lei mi stringe ancora più forte, aggrappandosi a me.
«Il dottore ha detto che è instabile, potrebbe morire come non potrebbe morire» dice tra i singhiozzi.
«Lisa, Nash è forte. Supererà anche questo» le do coraggio.
Sto per cedere alle lacrime, ma mi ricordo che devo essere una roccia. Per i ragazzi. Per Jack. Per Nash. Per me stessa.
Asciugo le lacrime cadute sul volto di Lisa e le sorrido rassicurante.
«Lo conosco da poco, ma sai cosa? Sento che lui è la mia persona, non so se capisci che intendo» continua a sfogarsi Lisa.
«Ti capisco meglio di chiunque altro, credimi»
Quest'affermazione mi fa pensare a me e Jack. Fin dall'inizio avevo capito che lui era la mia persona.
«Non posso permettermi di perderlo» Lisa continua a piangere.
La lascio con un abbraccio e torno dai ragazzi per vedere come stanno.
«Amico, è colpa mia. Tutta colpa mia» sento Cam che parla con Aaron.
In che modo potrebbe essere colpa di Cam?
«Cam, non è colpa tua. Un'auto vi è venuta addosso» lo conforta Aaron.
«Avrei potuto dire a Nash di rallentare e invece, io sono qui tutto intero mentre lui è incosciente in chissà quale stanza di questo dannatissimo ospedale» continua Cameron parlando velocemente.
«Smettila con questi sensi di colpa, se continui così ti mangeranno vivo»
«Darei qualsiasi cosa per trovarmi io al suo posto adesso» la sua voce si spezza ed una lacrima si fa spazio sul suo viso.
Prendo posto accanto a Jack che è rannicchiato sulla sua sedia con la testa tra le ginocchia. Sembra quasi un bambino.
«Nash si riprenderà» dico abbastanza sicura.
«Non puoi saperlo» nega Jack.
«Lo so, invece» insisto.
«No, cazzo non lo sai. Nessuno lo sa e preferisco non imbottirmi di false speranze» il suo tono di voce è sprezzante.
Il dolore parla al posto di Jack, posso capirlo dai suoi occhi che si fanno gradualmente più scuri. So che anche lui sta combattendo le lacrime, come tutti noi.
«Stavano venendo a prendermi» dice Jack all'improvviso.
«Cosa?» chiedo corruciandomi?
«Cam e Nash mi stavano venendo a prendere a casa quando è successo quel che è successo» si passa le mani tra i capelli.
Per quale motivo Jack aveva bisogno di un passaggio alle due del mattino? Tralascio la domanda, conservandola per dopo e invito Jack a stendersi sulle sedie della sala d'attesa. È esausto, come tutti d'altronde. Mi stendo anch'io ed in men che non si dica cadiamo addormentati.
È il suono di una voce a svegliarci. Apro gli occhi e mi trovo davanti un uomo di circa quarant'anni con un camice bianco. Presumo sia il primario del reparto terapia intensiva, quello in cui si trova Nash. Spero con tutta me stessa che sia qui per darci buone notizie, ne abbiamo bisogno. Noto che temporeggia, sposta il peso da un piede all'altro e si gratta il capo. Il suo nervosismo è evidente e mi allarmo.
«Dica qualcosa, cazzo» urla Johnson.
Il dottore abbassa la testa.
«Ragazzi, il paziente Nash Grier sta bene» ci annuncia con un mezzo sorriso.
Le mie orecchie non credono a quello che hanno appena sentito. Nash è vivo e sta bene. Correrei ad abbracciare il primario se solo non ci avesse fatto aspettare così tanto per questa misera frase. Nel gruppo si alza un boato di urla e fischi. Sarà così che i ragazzi dimostrano la felicità. Mi sento come se mi fossi appena tolta un peso dal petto.
«Non così in fretta» interviene un'altro dottore.
Quest'ultimo è più anziano dell'altro. Sarà sulla sessantina, capelli radi e bianchi, sguardo stanco.
«Il paziente ha riportato dei seri danni» dice senza emozione.
Il peso sul petto ritorna più pesante di prima. Jack mi abbraccia in cerca di un conforto che in questo momento non posso dargli.
«Che tipo di danni?» chiede Shawn.
«Cerebrali. In gergo medico la chiamiamo 'amnesia'. È quando si perde una parte o tutta la memoria per un lasso di tempo, ma può essere anche duratura» spiega.
«P-potrebbe non riacquistarla più?» chiede tremante Lisa.
Si vede che sta cercando con tutta se stessa di trattenere le lacrime.
«Esatto. Ma per il momento ringraziate il Signore che il vostro amico sia vivo. È stato miracolato»
«Possiamo vederlo?» chiede Matt.
«Solo i parenti stretti ragazzi, è la prassi»
«È praticamente nostro fratello, cazzo» mormora in preda alla rabbia Cam.
Il dottore lo ignora e si addentra in qualche corridoio.
Lo sguardo di Jack rimane impassibile mentre io lo guardo in cerca di un'emozione. È questa la cosa che mi spaventa di più. Sembra che non provi nulla, i suoi occhi sono vitrei, spenti. Sembra risvegliarsi da questo suo stato di trance soltanto quando gli tocco la spalla. Ed il dolore si fa spazio nei suoi occhi. Mi guardo intorno: Lisa sta piangendo sulla sedia, il suo corpo è scosso dai singhiozzi; i ragazzi invece sono raggruppati tutti dall'altra parte della sala e provano a confortarsi tra loro. Poi pochi posti più in là noto Cameron. È il più devastato, gli occhi rossi e gonfi dimostrano che ha pianto. Il senso di colpa lo sta divorando vivo, come aveva previsto Aaron. Io in realtà non so come mi sento. Non riesco a piangere, ma ho un groppo in gola che quasi non mi permette di respirare. Boccheggio per un po' d'aria mentre sprofondo nel petto di Jack sperando che questo sia solo tutto un brutto sogno. Ma la situazione si fa ancora più reale quando dalla porta scorrevole entrano correndo tre individui, un uomo, una donna ed un adolescente, i quali appena ci vedono ci corrono in contro.
«Come sta Nash?» chiede la donna.
Dalla somiglianza con Nash intuisco che siano la sua famiglia, ma non ne sono sicura.
«Signora Grier?» il medico di prima domanda.
Si gira e annuisce.
«Seguitemi» si rivolge questa volta a tutti e tre.
Fortunatamente ci hanno esonerati dall'incarico di dire la sorte di Nash, che poi alle fine non è così tragica. Riacquisterà la memoria, ne sono certa. Gliela faremo riacquistare a qualsiasi costo.

Ricomincio da te || Jack GilinskyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora