Capitolo venticinque.

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Sono senza parole. Non so cosa dire nè come giustificarmi, anche se in fin dei conti non ho nemmeno bisogno di dare troppe spiegazioni. Eppure sento che devo.
«Io dico che è un po' troppo tardi per reclamare i diritti, non credi Jack?» risponde Cameron e vorrei non l'avesse fatto.
Decido di intervenire, la questione potrebbe andare a finire molto, ma molto male.
«Jack, non è successo assolutamente nulla. Smettila di agitarti» dico mettendomi interponendomi tra i due.
«Sei a casa sua, indossi i suoi vestiti, porti la sua spesa, e vorresti farmi credere che non è successo nulla?» ribatte stranamente pacato.
«In qualunque caso, ciò che facciamo non dovrebbe essere affar tuo, immagino» conclude Cameron.
Dopo questa frase, il silenzio cala nella stanza e vorrei tanto che un buco nero mi risucchiasse al suo interno.
«Non ho intenzione di restare un minuto di piú a sentire quest'inutile discussione, quindi se volete scusarmi» dico afferrando le mie cose alla rinfusa.
«No, tu non vai da nessuna parte» ribatte Jack afferrandomi per un braccio.
Non ho voglia di fare una scenata davanti a tutti, nè tantomeno riaprire ferite non ancora rimarginate completamente.
Ma Jack, testardo come sempre, mi trascina fuori, nel cortile.
«Jack, perché mi hai portata qui fuori?» chiedo esasperata.
«Ho bisogno di parlarti» risponde calmo.
A quel punto esplodo.
«Hai bisogno di dirmi ancora che non mi ami? Hai bisogno di farmi la paternale perché ero con Cam invece che a casa a piangere per te? Hai bisogno di umiliarmi ancora, Jack?» butto fuori tutto.
Jack mi guarda soltanto negli occhi senza rispondere. Ma poi, stranamente si avvicina. E poggia la sua fronte sulla mia. Una delle cose che piú mi è mancata di Jack è il suo profumo che in questo momento mi sta inebriando i sensi. Le mie barriere, come sempre, davanti a lui crollano.
«Di cosa hai bisogno, Jack?» domando con un filo di voce.
Sono sull'orlo di un pianto.
«Ti accompagno a casa» dice soltanto, ignorando la mia domanda.
Il tragitto è silenzioso e la radio non è accesa come al solito. Sono cambiate tante, troppe cose. Eppure Jack non mi sembra più così distante.
«Mi sa di deja-vu» esordisce all'improvviso.
«Cosa?» domando spaesata.
«Tu che mi fissi mentre guido, deja-vu» risponde semplicemente.
E non posso dargli torto. Lo fisso sempre mentre guida, o meglio, lo fissavo. Mi limito ad un sorriso forzato mentre i ricordi mi inondano con una violenza incontrollata.
«Aspetta, ho cambiato casa. Sto sulla 173esima» lo blocco mentre sta per prendere un'uscita.
Annuisce e ne imbocca un'altra. Sinceramente non riesco a capire perché abbia insistito ad accompagnarmi a casa. Credevo volesse parlare per chiarire un po' le cose, ma visto che sta muto come una tomba, mi sa che mi sbagliavo. Sono quasi tentata di chiederglielo, ma la mia dignità mi implora di non dire nulla. Il tragitto in macchina prosegue con questo silenzio imbarazzante e per poco non sbotto.
«Siamo arrivati» indico il palazzo a Jack.
Annuisce soltanto e accosta.
«Be', grazie per il passaggio» dico pronta a scendere dall'auto.
Ho la mano sulla maniglia, quando la sua voce mi blocca. Mi volto lentamente, quasi impaurita da ciò che sta potrebbe dire o fare. Ma i miei timori svaniscono nel momento in cui incontro i suoi occhi. Jack mi fissa intensamente come se volesse imprimere la mia immagine nella sua mente, come se fosse un addio. E io non sono mai stata brava con gli addii. Sento gli occhi riempirsi di lacrime, il familiare groppo in gola è tornato.
«Questo silenzio è assordante» esordisco con voce rotta.
Per tutta risposta, Jack sospira. Sembra che stia combattendo una guerra interiore della quale gli occhi sono lo specchio.
Le lacrime che ho cercato di trattenere mi sgorgano sul viso come un torrente e io non posso fare assolutamente nulla per fermarle. D'altra parte, questo sfogo mi serve. Per tutte i pianti trattenuti, la rabbia repressa, gli insulti incassati.
Jack ha abbassato lo sguardo. Si sta torturando le mani. Gliele prendo e me le metto in grembo. Adesso sono io a chiudere gli occhi. Se ha intenzione di lasciarmi andare, ho bisogno di qualcosa di bello da ricordare. Traccio il palmo della sua mano, quasi a riesumare il ricordo di quando le sue stesse mani mi accarezzavano. Ma poi all'improvviso, come scottata, interrompo il contatto e riapro gli occhi.
«Devo andare» sussurro rompendo il silenzio.
Afferro la maniglia ed esco dall'abitacolo del veicolo, mentre Jack rimane zitto.
Quando entro nell'appartamento, l'odore di pancetta e uova mi pervade le narici. Sono contenta di scoprire che c'è Mandy, ha sempre una parola di conforto per me.
«Sono tornata!» urlo mentre la raggiungo.
È di spalle ai fornelli e canticchia una canzone che a quanto pare si chiama 'What do you mean'.
«Mmh, non ti facevo una tipa da Justin Bieber» la prendo in giro.
«E io non ti facevo tipa da serate bollenti» mi regge il gioco.
Non posso fare a meno di arrossire.
«Ma non abbiamo fatto nulla!» protesto divertita.
«Si si, dicono tutti così» continua facendomi diventare bordeaux.
Mi siedo al bancone e Mandy mi mette davanti un bel piatto di uova e pancetta accompagnate da bacon.
«Ricordami di assumerti come chef personale quando mi sposerò» dico mentre mi gusto la colazione.
Mandy per tutta risposta ride e non posso fare a meno di unirmi a lei. Ha una risata dannatamente contagiosa, mi mette sempre di buon umore.
«Allora, hai qualcosa da raccontarmi?» chiede maliziosa.
«Per l'amor di Dio, no!» urlo esasperata.
«Abbiamo solo dormito, giuro» dichiaro mettendomi una mano sul cuore.
«Fammi capire, un figo della madonna ti invita a casa sua e tu che fai? Dormi soltanto?» mi domanda scandalizzata.
Faccio spallucce mentre me la rido sotto i baffi.
«Se vuoi te lo presento, eh» propongo.
Sono del tutto ironica, ma Mandy non pare capirlo perchè mi inizia a guardare con aria supplicante.
«E va bene, mi toccherà presentarteli tutti» dico fintamente sconfitta.
«Sei la miglior coinquilina che io abbia mai avuto!» esclama Mandy prima di saltarmi addosso soffocandomi con il suo abbraccio.
«Ma non hai avuto solo me come coinquilina?» le faccio notare.
«Saresti comunque la migliore» risponde sinceramente.
Un sorriso mi si allarga sul volto. Mandy è la cosa migliore che mi sia capitata.

Ricomincio da te || Jack GilinskyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora