★seconda sezione: il migliore amico

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3:il migliore amico

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3:il migliore amico

;such a pretty house,
and such a pretty garden.

io e felix non parlammo mai di quella breve e delirante conversazione notturna, forse fu meglio così. in tutta onestà, mi piace pensare che fosse stato tanto ubriaco da non ricordarsela, ed io tanto furbo, scaltro e silenzioso da essere riuscito a sgattaiolare con successo nella mia stanza, facendogli credere, in caso contrario, di averla semplicemente sognata.

non lo scoprii mai, e per quanto ne so io, al giorno d'oggi potrebbe rammentarne ogni dettaglio, come potrebbe darmi del visionario se solo osassi tirarla fuori dal cilindro dei nostri tabù. tuttavia, al mattino seguente, la sua attenzione sembrava riservata totalmente ad un solo, apparentemente enorme problema, un chiodo fisso. dopotutto, poco importava dei miei laceranti sentimenti e della confusione che mi ronzava nella testa come un brusio di vespe intermittente, quando persisteva la seccatura delle due orride poltrone che appestavano il soggiorno, come un morbo infettivo.

lo raggiunsi con una tazza di caffè bollente in mano, i capelli spettinati e due livide borse sotto gli occhi, ancora socchiusi e per nulla abituati alla luce del sole che felix aveva permesso penetrasse dalla porta-finestra del balconcino, aperta per far sì che la stanza cambiasse aria. lui, d'altro canto, lo ricordo radioso come sempre, come se non avesse bevuto quattro bottiglie di birra la sera prima, come se avesse dormito serenamente per tutta la notte.
«basta.» furono le prime parole che gli udii proferire quella mattina, a braccia conserte, con uno sguardo intransigente rivolto ai mobili, parlando direttamente con essi. poi si voltò verso di me, aggrottando le sopracciglia.
«devono sparire, oggi compriamo un divano.» aggiunse, ed io mi ritrovai costretto a cancellare i miei impegni giornalieri, che consistevano in una piccola spesa al supermercato vicino casa per cercare una confezione dei miei cereali preferiti, per seguirlo in un'odissea senza fine tra i negozi di arredamento sparsi per la città. prendemmo la mia macchina, e non rammento altre occasioni in cui la usammo, ma trovo piacevole che sia legata solo al ricordo di quella piacevole giornata, ci divertimmo, alla fine.

dopo una serie di tentativi falliti, tra sofà dai prezzi esorbitanti e pacchianate perfino più inguardabili delle nostre, trovammo un negozio dall'insegna rotonda e celeste che avrebbe chiuso a momenti. perciò, seppur scoraggiati, vi mettemmo comunque piede, ma la rassegnazione era ormai dipinta sui nostri volti stanchi e assonnati, fin quando un bagliore non ci illuminò, restituendoci il sorriso. fu felix, ad avvicinarsi per primo alla terra promessa, tendendogli una mano con gli occhi che luccicavano, si muoveva come un nomade in mezzo al deserto, dopo aver visto il miraggio di una piccola oasi. ma quello non era un miraggio, era un divano, il divano perfetto.

era a mezza luna, aveva dei cuscini bianchi, grandi e morbidi, non era né troppo basso, né troppo alto, e quando ci sedemmo, controllammo immediatamente il cartellino del prezzo, era piuttosto costoso, ma era in sconto, e mai ringraziammo il periodo dei saldi tanto quanto in quella occasione. felix si voltò e mi guardò, serio quanto lo sarebbe stato se avesse voluto confessarmi di aver commesso un crimine.
«è perfetto, è lui.» mi disse, invece, ed io non potei non annuire con vigore alle sue parole. mi resi conto di quanto per lui, acquistare quello specifico divano fosse una questione di vita o di morte, e che fosse determinato e pronto a tutto pur di portarlo a casa.

il primo imprevisto si palesò quando la commessa, una signorina dai lunghi capelli castani ed un paio di occhiali molto fini, ci si avvicinò con aria sprezzante, aiutandoci a fare i conti finali, tentando di rifilarci anche il tappeto abbinato, dello stesso bianco latte. rifiutammo.
«e per la consegna saranno trecento dollari.» aggiunse, indicando con una matita la cifra finale sul contratto che stringeva nella mano, noi boccheggiammo, chiedendole di darci qualche istante per rifletterci.
«non è possibile, perché costa così tanto la consegna? non possiamo permettercela.» ragionai io. il mio migliore amico sbuffò, sdraiandosi nuovamente sul sofà per abbracciarne i cuscini con sguardo triste.
«era troppo perfetto per essere vero.» si imbronciò, posando la testa sulla mia spalla ed io mi irrigidii, teso come una corda di violino. non capii come mai avessi reagito così, lo faceva spesso, si distendeva su di me per starsene comodo, non era mai stato un problema. non saprei dire per quanto restammo in quella posizione, persi la concezione del tempo, nella mia mente regnava il buio pesto.
poi lui si alzò, di scatto, e batté le mani.
«ci sono, niente consegna! facciamo da soli.» propose. storsi il naso, di certo non avremmo potuto caricare un divano del genere nella mia macchina, né tantomeno trascinarlo a mani nude fino al nostro palazzo, e di noleggiare un furgone non se ne parlava, sarebbe costato troppo.

allora piegai il capo da un lato.
«e come facciamo?» chiesi, e felix mi sorrise, contento della sua idea, strattonandomi per il braccio destro, elettrizzato. cinguettò.
«i ragazzi del secondo piano hanno un furgoncino, possiamo chiedere a loro!»
aggrottai le sopracciglia.

i tre ragazzi del secondo piano, gli stessi che avevamo invitato alla festa d'inaugurazione del nostro appartamento, facevano parte di un piccolo gruppo musicale dal genere tendente ad un indie sperimentale. taehyun al basso, beomgyu alla chitarra, e kai alla batteria, e sapevamo ne facessero parte anche altri due membri, due incognite in quel periodo, dei quali, a me, non era mai importato molto. non ero propriamente entusiasta all'idea di chiedere loro aiuto, non che non mi piacessero, ma dopo aver visto felix parlare con uno di loro, la mia immotivata gelosia aveva fatto il suo sporco dovere, facendomeli odiare di conseguenza, tutti, nessuno escluso. tuttavia, sembrava la nostra unica possibilità, e sapevo che anche in caso avessi detto di no, felix non mi avrebbe ascoltato, facendo di testa sua, com'era solito fare.

ma non posso fare a meno di pensare che, se quel giorno avessimo speso quei trecento dollari di consegna, forse, felix non avrebbe mai conosciuto choi yeonjun, ed io non avrei passato parte della mia esistenza a detestare quel maledetto divano bianco.


𝐬𝐩𝐢𝐥𝐥𝐞𝐝 𝐦𝐢𝐥𝐤 • 𝐡𝐲𝐮𝐧𝐥𝐢𝐱Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora