★terza sezione: il fidanzato

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5:il fidanzato

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5:il fidanzato

;little star, feels like you
fell right on my hand.

capitava spesso, che verso la metà di settembre, in concomitanza con l'arrivo della stagione autunnale ed i suoi primi, freddi accenni, il mio migliore amico si ammalasse di quei suoi tremendi, seppur abituali raffreddori. fronte bollente, naso arrossato, gola infiammata, colpi di tosse che lo tenevano sveglio durante la notte: nulla di insostenibile, per lui, niente di nuovo sotto il sole. tuttavia quell'anno, la sua febbre sopraggiunse in un pessimo momento.

io sedevo al suo fianco, in attesa di udire il tintinnio del termometro mentre lui, coperto fino al collo da un soffice piumone bianco ed infossatosi trai cuscini del proprio letto, mugugnava sottovoce, con indifferenza forzata, il testo di una canzone, altrettanto impaziente di una diagnosi che lo avrebbe deluso. quando l'apparecchio suonò, metallico, frugai tra le coperte e sfiorai la sua pelle incandescente, sfilandolo con delicatezza da sotto il suo braccio, inerme, nonostante le innumerevoli proteste.
«trentanove.» sospirai, posandolo sul comodino. felix gemette, riemergendo per un istante dall'ammasso di trapunte sotto il quali si era rintanato, e scosse lentamente il capo.
«no, è rotto.» borbottò, imbronciandosi. io sbuffai, tenendo lo sguardo saldamente ancorato al suo, languido ed assonnato, e mi ritrovai a dover prendere un respiro profondo, prima di allontanarmi ed afferrare una delle sue pasticche dalla loro confezione, sulla sua scrivania.
«no, hai trentanove. hai il sistema immunitario di un moscerino. stanotte te ne stai a casa.» mormorai allora, prendendo posto sulla sedia, sotto il suo cipiglio infastidito, ed il suo volto si contorse in una smorfia disgustata nel momento in cui gli passai quelle tremende medicine, che avrebbe dovuto ingerire, sapevo bene quanto le detestasse. ero sempre stato io, ad occuparmi di lui quando la febbre stagionale attecchiva, sempre io ad accarezzargli i capelli arruffati mentre lui, rovente come il sole, mi si avvinghiava, bisognoso di contatto. ed amavo con tutto me stesso, prendermene cura.

felix gonfiò le guance, scivolando nuovamente tra gli strati di quel suo morbido nido, e si raggomitolò su se stesso, mentre tossiva, sconquassato. poi la sua voce, roca, squarciò il silenzio formatosi, ed io lo ascoltai.
«non posso.» aveva bisbigliato, infatti.
«non puoi, cosa?» ripetei io, allungando una mano nella sua direzione per sfiorare gentilmente il suo capo, chino, ma lo ritrassi immediatamente quando lui si scostò il piumone di dosso, ed incrociò le braccia al petto.
«non posso stare male, c'è il concerto.» spiegò, indicando un calendario a quadretti, decorato di colori pastello, ed appeso al muro della sua camera da letto, proprio accanto l'armadio. alcune delle date erano imbrattate di un giallo canarino, che ne cerchiava la casella con sotto una piccola didascalia, 'concerti di yeonjun', e dei cuori scarabocchiati attorno al suo nome.

la loro relazione, a seguito dell'incidente della marmellata di fragole sul divano, non era cambiata di una virgola, proprio come avevo infelicemente immaginato. il pensiero di biasimare yeonjun per l'errore commesso quella notte, non passò neppure per l'anticamera del cervello di felix, tanto che se ne assunse la piena responsabilità ed anzi, arrivò ad incolpare se stesso per l'accaduto e per la sua reazione, a detta sua, piuttosto esagerata. dopotutto, era stato lui a fingere che gli andasse bene, sempre lui, a non osare fermarlo, e lui, ad incitarlo a continuare nonostante avesse voluto fermarlo: e magari, la prima volta non doveva poi essere così magica come l'aveva sempre sognata, magari, non meritava qualcuno in grado di trattarlo come fosse stato un petalo di rosa. magari, doveva solo imparare ad accontentarsi. io la pensavo diversamente, ma non potevo certo dirglielo, avrebbe richiesto un quantitativo di coraggio che purtroppo, non possedevo.

alle sue parole, però, alzai gli occhi al cielo.
«sei andato a tutti i loro concerti, yeonjun capirà.» pronunciai allora, freddo. se il mio odio nei suoi confronti si fosse potuto tramutare in oro, sarei diventato l'uomo più ricco sulla terra, ed avrei assunto il migliore dei sicari per eliminarlo una volta per tutte dalle nostre vite. era terapeutico, ritenerlo la causa dei miei problemi.
«no, io devo andare. sto bene» insistette però felix, tirando su col naso, ed io dovetti racimolare gran parte della mia pazienza, prima di fargli cenno di avvicinarsi un po' a me.
«vieni qui.» sussurrai, cauto, e lui ubbidì silenziosamente, sollevandosi sui gomiti per sedersi contro la testiera del letto. allora il mio palmo, freddo, andò poi a posarsi sulla sua fronte, e lui strinse i denti, nel momento in cui la mia pelle entrò in contatto con la sua. definirla incandescente, sarebbe stato riduttivo.
«sei più caldo dei nostri termosifoni, felix. per favore, dammi retta e stai a casa.» sospirai.
e passò qualche secondo, prima che l'ennesimo, nonché brusco colpo di tosse lo aiutasse a rendersi conto che, in effetti, quella sera avrebbe fatto meglio a restarsene sotto le coperte. perciò, deluso, lasciò un messaggio alla segreteria del suo fidanzato, momentaneamente non disponibile, e mise su il suo solito broncio.

piegai il capo da un lato, ammirandolo.
«vuoi riposare? ti lascio da solo?» mormorai poi, alzandomi pigramente dalla sedia, pronto ad avvicinarmi di qualche passo a lui, qualora avesse voluto restassi, come sperai facesse.
«puoi farmi compagnia? però spegni la luce.» bisbigliò lui, tornando supino, ed io gli sorrisi lievemente, allungandomi verso l'interruttore per lasciare che la stanza calasse nel buio, alle otto di quella piovigginosa sera di settembre. mi fece spazio, rabbrividendo nel momento in cui dovette sollevare le coperte per far sì ch'io potessi scivolare sul materasso, e lì mi si avvinghiò.
«sei caldo.» sussurrò al mio orecchio, socchiudendo le palpebre, fattesi pesanti dopo ore passate a lottare contro il sonno febbrile, nella speranza di dimostrarmi quanto stesse bene. io sogghignai, circondandogli i caldi fianchi magri con la mano, la sinistra.
«senti chi parla.» bofonchiai a mia volta, divertito, e non osai spostare l'attenzione dal suo viso, finalmente sciolto dalle smorfie di prima.

avrei potuto esalare il mio ultimo respiro, in quel letto, in quell'istante, e mi sarei risvegliato nell'aldilà come il più sereno dei novelli deceduti, tanta era la pace che mi pervase. era proprio in quel modo, che avrei voluto passare il resto della mia vita, circondato dal tepore delle lenzuola, ipnotizzato dal profumo della pelle di felix, con lui stretto tra le mie braccia. ero così egoista, non m'importava di yeonjun, del fatto che non avrei dovuto lasciare che le mie dita scivolassero innocentemente sotto la maglia del mio coinquilino, e non avrei certo dovuto baciargli la fronte, troppo intorpidito, per raggiungere le sue labbra. lui non si mosse, ed anzi, sbadigliò sereno, arricciando la punta del naso.
«sei stanco, dormi.» gli intimai, e con l'altra mano andai ad accarezzare i suoi folti capelli azzurri. lui annuì, sistemandosi comodamente contro il mio petto, come fosse stato il suo cuscino.
«svegliami, se yeonjun richiama.» biascicò, ed io strinsi i denti, irrigidendomi involontariamente al sentirgli pronunciare quel nome con tanta speranza. felix cadde poi in un sonno profondo, tanto che, a differenza mia, non si svegliò, quando il suo fidanzato provò a telefonare verso le due, poi di nuovo alle due e mezza, ed infine alle tre del mattino. che insistente, pensai.

e che egoista, che fui io, a cancellare i suoi messaggi in segreteria.

𝐬𝐩𝐢𝐥𝐥𝐞𝐝 𝐦𝐢𝐥𝐤 • 𝐡𝐲𝐮𝐧𝐥𝐢𝐱Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora