★quinta sezione: l'inverno

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4:l'inverno

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4:l'inverno

;this is where i wanna be, where
it's so sweet and heavenly.

è ritenuto buon senso, non rivelare ad alta voce quei desideri che esprimiamo il giorno del nostro compleanno, per nessun motivo al mondo. chiunque lo sa, poiché ciò non solo impedisce che essi si avverino, ma è generalmente considerato di cattivo auspicio.

eppure, durante il raffinato ricevimento che i genitori di felix ebbero la premura di organizzare per festeggiare il compimento dei suoi undici anni, lui mi prese per mano e decise di fuggire da quegli imbacuccati invitati che mai aveva visto prima di quel momento, conducendomi nel giardinetto dietro casa, dove ci sdraiammo sull'erba fresca di tosatura, noncuranti degli abiti chiari che le nostri madri avrebbero poi dovuto lavare. confessò, a cuor leggero, di aver spento le candeline con una sola, modesta preghiera in mente: svegliarsi, all'alba del giorno dopo, con qualche lentiggine in più, così da poter ricominciare a contarle daccapo, assieme. io, dall'alto del materialismo tipico del ragazzino benestante quale ero, lo rimproverai, ammonendolo per non aver impiegato quell'unica ed annua concessione dell'universo in qualcosa di concreto, come uno dei nuovissimi videogiochi sul mercato o un secondo animale da compagnia. ma il mio migliore amico non aveva bisogno di niente del genere, la sua collezione di giochi era tanto vasta da far sfigurare i magazzini dei negozi in centro, e aveva già un affettuosissimo cagnone.

così, la mattina del lontano sedici settembre che seguì, felix aprì gli occhi a fatica, ed impiegò tutta la buona volontà che aveva in corpo per combattere quell'inusuale torpore che l'aveva intontito, riuscendo a raggiungere, goffamente, lo specchio accanto all'armadio. la maledizione del desiderio svelato non aveva risparmiato neppure lui. notò con stupore come sul suo viso fossero fiorite sì, un paio di nuove macule, ma non erano certo lentiggini, erano rosse, erano grandi e la sua pelle pizzicava come fosse caduto tra le foglie d'ortica. l'epidemia di varicella che aveva colpito la nostra scuola quell'anno, aveva mietuto l'ennesima delle sue bollose vittime, e l'intera villetta cadde nel panico. la signora lee telefonò immediatamente al loro pediatra di fiducia, suo marito si fiondò in macchina e sfrecciò fino alla farmacia più vicina, alla ricerca di qualunque medicina avrebbe potuto alleviare il prurito ed abbassare la febbre di suo figlio, ed una delle sorelle del piccolo malato ebbe la geniale idea di lanciare un ciottolo alla mia finestra, per avvisarmi di quanto stesse accadendo.

ricordo che tentai di sgusciare via dalle braccia di mia madre come fossi stato un'anguilla, mentre lei mi teneva fermo per le spalle, fortemente intenzionata ad impedirmi di correre da lui, una volta giunta anche a lei la notizia. dopotutto, la varicella era estremamente contagiosa, ed io avevo avuto la fortuna di risparmiarmela per ben tredici anni di vita, non avrebbe lasciato mi ammalassi per lo sciocco, nonché infantile capriccio del voler tenere la mano ad un amichetto infermo, come diceva lei. così, m'impedì categoricamente di vederlo fino alla sua guarigione, e quando mi venne detto che ciò avrebbe potuto richiedere addirittura un paio di settimane, capii non sarei stato in grado, ancora una volta, di comportarmi dal bravo figlio che mia madre avrebbe voluto ed ascoltare gli ordini impartiti dell'autorità famigliare, composta da una sola, cinica donna, nel mio caso. quello stesso pomeriggio, infatti, sgattaiolai di casa e mi intrufolai nel lazzaretto in cui si era tramutata la cameretta di felix, con l'aiuto di quelle canaglie annoiate che erano le sue sorelle. non ero riuscito a stargli lontano neppure per ventiquattro ore, ed ovviamente, finii col beccarmi anch'io un esantema. ne trassi che, se neppure la varicella era riuscita a separarci, null'altro ce l'avrebbe fatta.

𝐬𝐩𝐢𝐥𝐥𝐞𝐝 𝐦𝐢𝐥𝐤 • 𝐡𝐲𝐮𝐧𝐥𝐢𝐱Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora