★pre-sezione: l'agente immobiliare

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2: l'agente immobiliare

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2: l'agente immobiliare

;i would rather not go back,
to the old house.

sono mesi ormai che la serratura di casa mia fa i capricci. non importa con quanta forza io m'impegni nel girare le chiavi al suo interno, quanto le mie nocche si sbianchino nel tentativo, perché prima della terza volta, non vi è neppure la più remota possibilità che la porta si apra.

e quando finalmente gli ingranaggi si smuovono, è ormai abitudine per me lanciare l'esiguo mazzo in un posacenere di vetro, sollevato dalla sua tipica mansione di elegante pattumiera per mozziconi, attualmente un portachiavi che decora solitario un altrettanto triste comodino. la vera ceneriera, l'addetta alle ceneri, è in ceramica, sul tavolino in ferro battuto del balcone, è azzurra e bianca, come lo siamo noi. come lo eravamo, noi.
getto lo zaino ai piedi del divano, e mi ci sbraco, gemendo sconsolato contro i cuscini.

saranno giorni che non dormo, tre notti in bianco passate a fare le radici tra lo schienale e i braccioli del sofà, mentre tengo la televisione accesa su quei canali che neppure i loro produttori ricordano di aver finanziato, e neanche li seguo, non ricordo mezza parola dei biliardi di dialoghi dei protagonisti di quella serie poliziesca che danno verso le tre e un quarto. mi manca la confusione, il trambusto, e detesto il silenzio, è il peggiore dei coinquilini.

maledetto agente immobiliare, penso. quando mi alzerò, recupererò il mio portatile dal tavolo della cucina e lascerò la recensione peggiore nella storia dei commenti negativi, circa la sua dannata agenzia. l'ho inquadrato immediatamente, dal primo istante in cui mettemmo piede nel suo studio, anni fa. due ragazzi soli, giovani, alla disperata ricerca di un tetto e lui ci parve come un angelo custode, per la frenesia dell'appartamento promessoci, ma che alla fine trovammo da soli.
e non afferrerò il computer, per ora sono seduto, so che per un paio d'ore, qui resterò. a guardarmi intorno, in attesa che il sole cali e io possa definire anche questa, così come tutte le precedenti nell'ultima settimana, l'ennesima giornata non degna di essere vissuta.

mi sento come se la felicità mi fosse per qualche motivo preclusa, e quel motivo fossi io stesso, la prima ed ultima causa dei miei mali. non mangio, non chiudo occhio, piango sotto la doccia e prego affinché l'acqua mi si blocchi in gola, togliendomi il respiro una volta per tutte. ma poi mi asciugo i capelli, e ripenso a quanto, probabilmente, io più di chiunque altro meriti di soffrire. di certo non lo augurerei a lui, non gli augurerei niente di male, niente che potrebbe strappargli quel sorriso mozzafiato, non di nuovo.

perché lee felix è la persona più buona che io abbia mai conosciuto, ha sempre saputo trattarmi con la stessa delicatezza con la quale ci si prende cura di un fiore, e il mio più grande rimpianto è di non essere mai stato in grado di fare altrettanto per lui. io sono rancoroso, sono egoista, sono pieno di tutte quelle qualità che felix non ha mai tollerato in nessuno, tranne che in me, fin quando non sono riuscito ad allontanare perfino lui. ma lee felix è la mia vita, il mio passato, il mio presente, e se non può essere il mio futuro, non vedo perché dovrei viverlo.

di tanto in tanto mi domando se sia normale soffrire tanto, per una persona che non è mai stata realmente mia. e trovo la risposta nascosta nel dubbio stesso: io soffro, perché non è mai stato mio, perché non ho permesso che lo fosse, quando avrebbe potuto esserlo. e il suo ricordo mi perseguita, dovunque guardi, lui è qui.

è nella carta da parati cerulea che tanto lo affascinava, e che col tempo è sbiadita in un celeste sporco, è nei mobili, nello stesso divano su cui siedo, sul quale troneggia vincitrice una macchia che mai riuscimmo ad eliminare, è nelle fotografie che scattai in sua compagnia e decidemmo di appendere in soggiorno, è perfino negli scatoloni in corridoio che ne annunciano il trasloco. è nell'aria, è dentro di me.

nei momenti di rabbia, quando nel buio mi ripiego su me stesso e mi tiro i capelli fino a strapparne ciocche intere, mi ritrovo a pensare che forse, sarebbe tutto più semplice se fosse morto; almeno, in quel caso, non sarebbe colpa mia. e il mio disprezzo nei miei confronti aumenta a dismisura, non credo si possa essere più crudeli di quanto ogni tanto il mio stesso meccanismo di difesa non mi spinga ad essere. mi odio, mi odia, lo capisco.

e mi distendo, stanco.
c'è chi conta le pecore, chi si fa cullare da dolci melodie, e chi, come me, rimugina sul passato, e per addormentarsi, piange sul latte versato.




𝐬𝐩𝐢𝐥𝐥𝐞𝐝 𝐦𝐢𝐥𝐤 • 𝐡𝐲𝐮𝐧𝐥𝐢𝐱Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora