Capitolo 4

60 17 40
                                    

Arrivammo alla fine davanti a quella scuola, i parcheggi all'entrata erano eccessivamente pieni e c'era un traffico immenso manco ci fossero i saldi o il Black Friday, sembrava davvero di stare ad una svendita il 24 dicembre con i negozi pieni di cretini che si sono scordati di fare i regali di Natale. Justin parcheggiò nello stesso posto della prima volta che eravamo stati lì, una coincidenza che mi fece un po' di inquietudine, ma lui scacciò via i miei formicolii sorridendomi dolcemente. Adoravo vederlo sorridere, quel sorriso con le smagliature era contagioso, ti faceva tornare il buonumore; al contrario odiavo vederlo triste, arrabbiato o pensieroso, perché tra i fratelli era sempre il più solare, quello che ti faceva il solletico quando mettevi il broncio, quello che pur di farti ridere si sarebbe fatto staccare un braccio e sostituirlo con una chela di granchio meccanica.

Ricambiai il sorriso e feci per scendere dall'auto, ma prima di aprire la portiera i miei occhi caddero sul parco davanti a me, precisamente su un gruppo di ragazzi seduti su un tavolino da picnic. Non li vedevo bene in viso, un po' per le foglie e i rami degli alberi davanti a loro e un po' per la nebbia grigia che li circondava quasi completamente

«Fattoni!» esclamai facendo sobbalzare Jay

«Eh?!»

«Fattoni. Lì guarda!» dissi indicando la nuvola di fumo grigio che arieggiava attorno ai ragazzi

Justin si sporse dalla mia parte per poterli osservare, fece una smorfia contrariata e uno strano verso, tipo un mugugno misto ad una specie di ruggito. Lo guardai malissimo, quel verso era il massimo del fraintendimento. Lui si tirò indietro e vide il mio viso corrucciato

«Oh andiamo, davvero?!» disse facendomi scoppiare a ridere «Tu sei fuori, non era un gemito!»

«Oh si certo che non lo era» gli risposi prendendolo per il culo

«No che non lo era boia!»

«No no hai ragione, quello era proprio un orgasmo. Guarda lì, t'è pure diventato duro» gli dissi indicando il cavallo dei pantaloni.

Lui si guardò in mezzo alle gambe e osservò la sporgenza causata non da un erezione ma dalla posizione in cui era seduto e dai jeans forse un pochino troppo stretti. Poi alzò la testa di scatto sbattendo gli occhi un paio di volte

«Ma che. Ma. I- ooohh vaffanculo stronza!!» sbottò infine sbattendo le mani sul volante e ridacchiando insieme a me

Risi fino a farmi scendere le lacrime, poi controllai che non mi fosse colato il mascara e scesi dalla macchina per aprire il baule contenente il mio zaino. Jay mi sorprese, seguendomi e uscendo dal'auto insieme me

«Che fai?» gli chiesi

«Non posso più nemmeno salutarti?» disse allargando la braccia sorridente

In risposta gli feci un sorrisino sarcastico e lui mi invitò ad avvicinarmi a lui. Sapevo cosa stava facendo: voleva farsi vedere, marchiare il territorio come fa un leone alfa iperprotettivo e nonostante non amassi particolarmente la motivazione di tale gesto, non avrei mai detto di no ad uno dei suoi caldi, dolci e teneri abbracci. Mi accoccolai tra le sue braccia, lui mi strinse a sé per alcuni secondi, poi mi fece volteggiare e infine mi rimise a terra lasciandomi un bacino sulla guancia

«Stai attenta, mi raccomando» mi sussurrò accarezzandomi la pelle come se fossi fatta di porcellana

»Si, starò attenta ai maniaci che potrebbero uccidermi» gli risposi sarcastica

«Nel caso lo sai, un calcio nelle palle e via»

«Scemo» gli dissi dandogli una sberla amichevole sul petto e lui in tutta risposta mi diede un bacio sulla tempia avvicinandosi al mio orecchio

Quel fatidico gennaioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora