I miei stivali sguazzavano ad ogni singolo passo, i denti mi battevano per il freddo e la vista era offuscata per metà dal trucco colato e per l'altra metà dai capelli che mi finivano davanti al viso a causa del vento. Non ero mai stata una ragazza fortunata, poco dopo essermi incamminata verso la città aveva iniziato a diluviare ed ero in giro solamente con dei vestiti di pelle e gli anfibi, che per di più avevano un taglio netto sotto la suola, quindi mi entrava l'acqua dentro le scarpe e avevo i calzini così inzuppati che avrei potuto riempirci una bottiglietta con tutta l'acqua che trattenevano.
La strada era piena di tornanti, non si era ancora fatta notte ma il cielo iniziava a diventare scuro essendo ormai quasi le cinque o sei del pomeriggio. Ogni macchina che passava per quella strada mi suonava il clacson, forse per farei un complimenti al mio didietro o forse perchè girovagavo da sola lungo una carreggiata che non sarebbe potuta essere percorsa dai pedoni. In realtà nulla mi vietava di farmi quella strada a piedi, ma a lungo andare la via diventava sempre più stretta, tanto da farci passare una sola corsia di auto e un passante in mezzo alle palle poteva dare notevole fastidio, sopratutto in un giorno di pioggia.
Sentii un motociclista insultarmi, ma non capii cosa mi stesse dicendo. Pensavo solo a camminare e a scappare il più lontano possibile da casa mia, scelta decisamente stupida non avendo alcun posto dove andare e nessuno a cui rivolgermi per chiedere aiuto. Non potevo contare su nessuno, l'unica cosa che mi rimaneva da fare era assolvere il mio dannato impiego e distruggere quella maledettissima scuola superiore.
Non pensavo ad altro mentre camminavo se non ad arrivare lì, a piedi ci avrei messo almeno otto ore, non era un percorso effettivamente fattibile, sopratutto nelle condizioni in cui ero: sarei sicuramente morta di ipotermia dopo neanche metà percorso, o peggio ancora mi avrebbero investita prima ancora di poter fare il primo starnuto.
Ma non mi importava, morire non era la prima cosa da fare sulla lista, ma sapevo che non sarebbe importato a nessuno se fossi caduta di testa in un burrone o violentata da uno sconosciuto. Ero un peso per la mia famiglia e l'unico amico che avevo non voleva più rivolgermi la parola: sarei stata solo una scocciatura e una bocca in più da sfamare, con la mia scomparsa sarebbero stati tutti più felici e contenti.
Un ripetitivo rumore di clacson interruppe i miei pensieri, a quanto pare ad un automobilista il mio didietro piaceva particolarmente tanto, a tal punto da sentire la necessità di fargli più di un complimento. Storsi il naso e feci una smorfia disgustata percependo il rallentamento della macchina alle mie spalle
«Non sono una puttana, vattene a fanculo» urlai senza fermarmi e senza voltarmi
«Non è ciò che ti ho chiesto» sentii ribattere da una voce maschile «Non è sicuro camminare su questa strada, soprattutto per una ragazzina e a quest'ora. Si sta facendo buio...»
«Non mi importa, arrivederci» sbuffai accelerando il passo
L'auto sfrecciò in avanti, ma parcheggiò una ventina di metri più in là. Vidi una figura maschile scendere dalla porta del conducente, un uomo alto e slanciato, probabilmente sulla cinquantina ma comunque ben composto e decisamente muscoloso.
Cercai di evitarlo il più possibile, ma avendo a fianco la strada piena di macchine che sfrecciavano a tutta velocità era impossibile allontanarsi più di tanto. Quando fui a pochi passi da lui, si mise in mezzo alla mia camminata e mi bloccò entrambe le braccia con le mani
«Lasciami andare pervertito!» urlai agitandomi in preda al panico
«Non voglio farti del male» ribatté lui tenendomi ferma per i fianchi
«Tipica frase da porco maniaco, levami immediatamente le mani di dosso!» continuai dimenandomi e cercando di graffiare la sua pelle, in modo da potermi liberare dalla sua presa
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Quel fatidico gennaio
Jugendliteratur"𝒒𝒖𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒊𝒍 𝒔𝒐𝒍𝒆 𝒔𝒎𝒆𝒕𝒕𝒆𝒓𝒂' 𝒅𝒊 𝒃𝒓𝒊𝒍𝒍𝒂𝒓𝒆 𝒆 𝒍𝒂 𝒍𝒖𝒏𝒂 𝒅𝒊 𝒓𝒊𝒔𝒑𝒆𝒄𝒄𝒉𝒊𝒂𝒓𝒔𝒊 𝒏𝒆𝒍 𝒎𝒂𝒓𝒆, 𝒔𝒐𝒍𝒐 𝒂𝒍𝒍𝒐𝒓𝒂 𝒔𝒎𝒆𝒕𝒕𝒆𝒓𝒐' 𝒅𝒊 𝒂𝒎𝒂𝒓𝒕𝒊" Italia settentrionale, anni duemila, sei fratelli conduc...