Capitolo 30

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La fresca e leggera sensazione di umido sulla fronte fu la prima cosa che percepii una volta ripresa coscienza, lievi goccioline d'acqua tiepida mi percorrevano le guance fino a posizionarsi sulle labbra, dove la lingua prontamente si attivava per riuscire a catturarle e per poter dissetare la mia gola secca.

Ogni muscolo del mio corpo era intorpidito, indolenzito così tanto da provocarmi dolore al solo pensiero di flettere le dita dei piedini o di muovere quelle delle mani. Gli occhi erano così pesanti che aprirli in un colpo solo era impossibile e l'accecante luce che sentivo essere proprio sopra di me mi rendeva il tutto più complicato del previsto. Tentai di alzare un braccio per coprire quel fastidioso bagliore luminoso che premeva sulle mie palpebre, ma una lieve presa sul mio polso mi impedii di muovermi e riposizionò il mio arto sul materasso

«Non ti muovere gioia, non sei abbastanza in forma per riprenderti così velocemente» sussurrò una voce in lontananza

Era una voce che non conoscevo, troppo bassa per poter essere di una donna e troppo profonda per poter essere quella di un adolescente, neanche i miei fratelli avevano un tono così basso e gutturale.

Mugugnai e strinsi gli occhi cercando di comunicare a quella sconosciuta creatura che la luce sopra di me mi stava accecando e che se l'obiettivo era quello di riprendersi al meglio, quel fulmine diretto sul viso era assai controproducente. Sentii dei movimenti provenire dalla mia destra e poi il chiarore si fece via via sempre più leggero e sopportabile, come se fosse la lucentezza di una di quelle lampadine regolabili a mano.

Riuscii finalmente a sbattere lentamente le palpebre, la testa mi pulsava dolosamente e mi portai d'istinto una mano all'altezza delle tempie quando queste iniziarono a fare molto male

«Mi sa che ti ci vuole un'aspirina. Dammi un attimo gioia, torno subito con le medicine»

Gioia. Era un nomignolo che avevo già sentito nominare, ma mai nei miei confronti, sapevo di conoscere qualcuno abituato ad usare questo termine ma con i dolori muscolari e la testa pesante non riuscivo a ricordare chi fosse.

Mi tirai a sedere a fatica, il cuscino sotto il mio collo era morbido come una nuvola fatta di zucchero filato e il piumone che sentivo sul corpo sembrava come appena uscito dalla lavatrice o direttamente da un forno a microonde: era caldo e soffice, delicato al tatto e di un materiale liscio come se fosse fatto di seta. Eppure la seta era molto costosa, essere cullata da delle lenzuola fatte di tale tessuto era quasi improbabile a meno che non mi trovassi in una specie di reggia o di castello incantato.

Aprii totalmente gli occhi massaggiandomi il retro della testa: un enorme camera da letto mi apparve davanti al naso, mobili di legno pregiato si estendevano lungo la parte esterna della parete di fronte a me, sul lato sinistro alte tende bianche svolazzavano leggere come in una dolce danza sensuale e un gigantesco lampadario dorato ondeggiava pericolosamente sopra la mia povera figura, che si sentiva schiacciata in mezzo a tutta quell'eleganza e classe.

Un suono improvviso mi fece voltare velocemente, un'alta figura muscolosa entrò di spalle nella stanza tenendo la porta aperta con la schiena e accompagnandola poi con la punta della scarpa per evitare di farla sbattere una volta chiusa. Quando si voltò i suoi profondi occhi argentati mi colpirono a pieno e le sue guance scavate e contornate da un leggero accenno di barba quasi mi fecero perdere di nuovo i sensi dallo stupore

«Ti avevo detto di rimanere ferma» si lamentò l'uomo «Sei proprio uguale a mio figlio, non è un caso che siate così legati voi due. Avete lo stesso carattere, impulsivi e testardi come pochi» disse raggiungendomi sul materasso e appoggiando una scatola di cartone sul comodino accanto al letto

«S-Signor Harrison?» balbettai confusa «C-che ci fa qui?»

«È una bella domanda sai? Mi sa proprio che ci vivo qui dentro. Bhe non nella camera degli ospiti ovviamente» scherzò lui sorridendomi

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 28 ⏰

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