Capitolo 15

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Ogni giorno che passava sentivo crescere sempre di più la pressione sulle spalle, quel posto mi stava facendo impazzire.

Essendo passato ormai quasi un mese gli insegnanti avevano deciso di iniziare ad interrogarmi e la cosa mi mise molto in difficoltà perchè io non ero lì per studiare o per prendere bei voti, ma loro non potevano saperlo e quindi non risparmiavano gli insulti nel dirmi quando fossero delusi quando facevo scena muta.

Più andavo avanti più comprendevo sempre di più il barbone alcolizzato con scarsa igiene personale, quel posto era molto peggio dell'inferno: almeno lì fa caldo e sei torturato fisicamente per aver fatto del male a qualcuno, ma in quella scuola venivi fatto esaurire mentalmente e trattato come una merda con le gambe senza motivazione alcuna se non quella di essere uno studente. All'ingresso avrebbero dovuto appenderci un cartello con la scritta "lasciate ogni speranza oh voi che entrate" perchè è ciò che chiunque avrebbe dovuto fare una volta messo piede lì dentro.

Non ero l'unica esaurita da tutta quella merda, tutti i miei compagni nonostante fossero solo i primi mesi erano già esausti e si lamentavano costantemente di quante pagine gli mancassero da studiare, di quanto mancasse all'estate e di quanti anni gli mancassero per prendere il diploma o la laurea in ingegneria aerospaziale.

Ogni mattina entrando in classe venivo assalita da un sentimento di angoscia tale da farmi venire la cagarella e farmi chiudere in bagno per almeno due ore: tutti ad urlare, ripassare, sfogliare freneticamente le pagine del libro, a chiedere a chiunque di scambiarsi gli appunti e a ripetere ad alta voce una stupida lezione di storia sul basso medioevo che avrebbero poi vomitato all'interrogazione per poi dimenticarsene pochi istanti dopo.

Avevo sentito spesso parlare del terribile effetto che faceva lo studio, ma non avrei mai pensato che potesse accadere ad una come me che ne strafregava dei voti e della scuola in generale: in effetti vista da fuori mi sembrava una situazione sovrannaturale, avevo iniziato a stare male per qualcosa di cui non mi interessava affatto. Ogni mattina ripetevo a me stessa perchè stato facendo tutto quello, perchè mi alzavo così presto e perchè passavo la giornata a farmi insultare dagli insegnanti per il mio scarso impegno e la mia poca intelligenza; a quanto pare lì dentro se non riuscivi a prendere valutazioni medio alte venivi considerato un cretino senza futuro e non si risparmiavano ad insultarti per questo.

Ero sempre stata una che sopportava il dolore in maniera brillante, riuscivo a trattenere le lacrime anche con un coltello conficcato nel braccio ma gestire tutto quel peso emotivo non faceva esattamente per me e per la mia testa già di suo incasinata. Avvenne infatti un giorno che svenni in classe dalla troppa rabbia che ribolliva dentro di me: quella stupida cornacchia dell'insegnante di italiano aveva criticato il mio tema sulla depressione perchè lo riteneva "irrealistico", riteneva che fosse impossibile per un essere umano poter sopportare tutto il dolore descritto nel testo e che sosteneva pure che avessi confuso la traccia, poichè diceva di fare riferimento ad "episodi personali", "accaduti realmente" aveva ribadito.

Certo non avevo raccontato la storia della mia vita, avevo sparato un paio di stronzate ma i sentimenti che avevo usato per metter giù quelle parole erano veri e profondi, per quello mi incazzai a morte: già non avevo voglia di mettermi sotto a scrivere uno stupido tema di italiano, figuriamoci se avessi pure voglia di venire criticata per il suddetto scritto.

Non ricordo nemmeno come andarono le cose, ricordo solo di aver lanciato qualcosa addosso all'insegnante, forse un astuccio trovato lì vicino e poi di aver visto tutto nero. Quando riaprii gli occhi mi venne come una strana sensazione di deja vu: le luci bianche della lampada sopra la mia testa mi accecarono così tanto che fui costretta a stringere le palpebre più volte prima di riuscire ad abituarmi a quel bagliore.

Quel fatidico gennaioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora