Capitolo 5

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Quando attraversammo la porta dell'aula vidi tutti i ragazzi seduti e una donna sulla quarantina in piedi dietro la cattedra: era bassina, praticamente alta quanto me, forse di più, aveva i capelli scuri raccolti in una pettinatura che gli stava davvero male e gli occhi piccoli contornati da un trucco troppo pesante per la sua pelle e per gli abiti che portava. Aveva addosso un qualcosa che sembrava una specie di tunica legata in vita da una cintura nera, con dei motivi assurdi tutti colorati e ai piedi portava un tipo di sandalo simile a quello che mettevano gli antichi romani.

Sembrava una di quelle bamboline russe che infili una dentro l'altra. Una matrioska.

La donna mi guardò con un sorriso amaro sul volto mentre l'uomo sistemava il mio banco in fondo alla classe, in esterno a destra, accanto ad una ragazza coi capelli corti e biondi. Dai suoi occhi potevo capire che era abbastanza snervata dal fatto che le avessi interrotto la lezione.

Non la ragazza bionda, lei mi fece un sorriso tenerissimo da orecchio a orecchio. Fu la prof che mi squadrò malissimo, più la guardavo e più continuavo a pensare che cosa mi ricordassero i suoi lineamenti, aveva un viso sconosciuto ma che assomigliava terribilmente a qualcuno o a qualcosa di famigliare, un animale tipo.

«Bhe, benvenuta nella nostra classe» mi disse con voce stridula battendo le mani l'una contro l'altra «Non avremmo tanto tempo per presentarti, ma siccome devo interrogare credo che i tuoi compagni saranno ben felici di ripassare mentre ci dici qualcosa su di te»

Aveva ghignato mentre diceva la parola "interrogare", come se per lei le valutazioni fossero una specie gioco perverso in cui scaricare tutti i suoi pensieri repressi. E da come vidi alcune ragazze girare con foga le pagine del librò capii che la mia intuizione non era poi così lontana dalla realtà

«Allora dimmi, come ti chiami?»

«Dakota» risposi con forse un po' troppa freddezza

«Bene Dakota, io sono Breanne Barker, la tua insegnante di scienze umane. Dicci qualcosa su di te. Non so, quanti anni hai, di dove sei, che sport fai»

Mi chiedevo se le interessasse davvero conoscermi o se fosse solo un modo per mettere più ansia a quelle povere vittime interrogate più di quanta già non ne avessero di loro. Ma il loro panico non era esattamente un problema mio per cui dilungarmi sui dettagli della mia vita non era la mossa che decisi di mettere in anno

«Ho diciassette anni e vengo da un paesino su in montagna»

«Oh, la montagna, che bello! Avrai fatto molta strada per arrivare fino a qui, che cosa ti ha portata alla nostra scuola?»

Non capivo se davvero me lo stesse chiedendo per cortesia o se fosse solo un modo gentile per dirmi "perchè non sei rimasta a casa tua?", aveva un sorriso così tirato in volto che sembrava avere qualcuno dietro che glielo tirasse con delle pinze. In ogni caso avevo la risposta pronta, mi ero preparata ad un interrogatorio del genere

«Dalle mie parti non ci sono scuole con questo particolare indirizzo. Ne avevo trovate di simili non mi hanno accettato l'iscrizione»

«E come mai?» disse in tono acuto piegando la testa di lato

La sua non era una domanda ma una vera e propria insinuazione, aveva un'espressione più finta delle mie bugie sul viso. Non si stava realmente domandando perché non avessi trovato posto nelle altre scuole, ma già era partita con la testa immaginando quanti morsi dovevo aver dato ai miei ex insegnanti per farmi rifiutare l'iscrizione dagli istituti più vicini a me, Avrei tanto voluto risponderle a tono nella maniera più rude che conoscevo, ma mi contenni consapevole che non avrebbe portato a nulla la mia scenata se non a pessime conseguenze per il mio incarico

Quel fatidico gennaioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora