Capitolo 13

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Cameron

Stavo scattando le foto a bordo piscina quando il mio cellulare iniziò a vibrare. Lo presi di fretta e per poco non mi cadde in acqua quando mi resi conto che la chiamata da Instagram veniva da Lily. Restai qualche secondo a guardare lo schermo, incerto se la mia vista mi stesse giocando un brutto scherzo o fosse, effettivamente, la realtà.

Decisi di accettare la chiamata e quando avvicinai il cellulare all'orecchio, non sentii nulla, nessun movimento, non un respiro. Che avesse sbagliato?

«Lily?», mi allontanai dal frastuono della grande piscina, tra urla e fischietti, così che lei potesse sentirmi. Aprii la porta dello spogliatoio e mi sedetti sulla prima panca che mi capitò vicino. Restai in silenzio ancora qualche secondo, sentii del movimento, forse una tirata di naso appena accennata seguito da un sospiro sommesso. Allontanai il cellulare per schiarirmi la gola, «Lily?».

Non volevo mettermi a urlare nella speranza di farmi sentire da un eventuale errore da parte del cellulare, anche perché percepivo che era successo qualcosa. La nuova Lily non mi avrebbe cercato neanche se fossimo state le uniche persone sulla faccia della terra.

«Studiamo insieme?», mormorò. Feci quasi fatica a capire quello che mi stava chiedendo, poi realizzai. Mi raddrizzai sulla panca, vedevo davanti a me uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, sentivo che era l'inizio e che le cose stavano pian piano girando per il verso giusto. Guardai di scatto l'orologio, "merda, sono solo le 15".

«Sì, certo», "pensa Cameron, pensa in fretta. Andare adesso a studiare con Lily, o finire di fare le foto per il progetto di fotografia e lasciare Will con una scusa?", «ci vediamo tra 20 minuti, ok?», lei annuì e chiuse la chiamata.

"Mi dispiace Will, ma non posso perdere quest'occasione per riaverla con me". Da scuola a casa ci avrei messo esattamente 20 minuti, dovevo muovermi. Uscii dallo spogliatoio e andai alla ricerca di Will. Inventai la scusa più banale che potesse venirmi in mente, ovvero, "Le batterie della macchina fotografica sono scariche, non posso fare altre foto". Lui mi credette, ci rimase anche un po' male perché sperava di avere molto più materiale da vedere la sera quando sarebbe rientrato a casa.

Uscii di tutta fretta per dirigermi verso i parcheggi passando davanti alla mensa, sentivo il personale che ci serviva ogni giorno il cibo, parlare e armeggiare tra piatti, posate e distributore dell'acqua. Loro vendevano sempre una piccola confezione di latte al cioccolato e, da quando ne ho memoria, Lily ne andava pazza e così, nonostante fossi già in ritardo, entrai in mensa. Le donne dietro il balcone stavano mettendo in ordine i piatti puliti, così da avere già tutto pronto per il giorno dopo. I vassoi erano sistemati all'ingresso uno sopra l'altro e i banchi frigo erano vuoti. Mi avvicinai di fretta.

«Scusate»

«La mensa è chiusa», fece una, piuttosto pienotta, con indosso ancora il camice, un grembiule e un cappellino bianco in testa, mentre passava uno straccio umido sulle superfici. Non mi degnò neanche di uno sguardo. Giocai la carta del cucciolo bastonato per farle un po' pena e così, inventai una balla colossale.

«Sì, lo so, ma mi chiedevo se vi fosse avanzato del latte al cioccolato per fare merenda, ho il club fino alle 17 e... uhm... ho un certo languorino», sì, io avevo fame, ma non dovevo pensare a me in quel momento. La donna alzò gli occhi da quello che stava facendo, poi si girò verso la cucina, gonfiò il petto e si mise ad urlare.

«MARTAH! ABBIAMO DEL LATTE AL CIOCCOLATO?!», il suo vocione riecheggiò per tutta la sala, ricevette una debole risposta e sbuffò, «aspettami qui», e sparì. Il tempo passava e mi rimanevano solo 15 minuti. Quando la vidi rientrare con una bustina bianca tornai a respirare, tirai fuori il portafoglio per pagare e lei mi fece cenno di lasciar perdere, «lascia stare, ragazzo. Ti ho messo anche due muffin ai frutti di bosco, non puoi certamente fare merenda solo con del latte», no, certo che no.

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