Capitolo 10

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Skylar

Non mi sarei mai immaginata di arrivare a una festa scortata da Lui, tanto meno di salire sulla sua moto e indossare il suo casco, stringerlo a me per non cadere e sentire il suo odore di bagnoschiuma al pino e aria fresca.

Derek non doveva vedermi, cazzo, non doveva assolutamente vedermi con un altro ragazzo che non fosse lui. Sapevo quanto fosse geloso e avrebbe fatto qualunque cosa per farla pagare, persino a chi solo osa invitarmi a ballare o toccarmi un braccio, erano esclusi i suoi amici. Derek è uno di quelli dal pugno facile, e con questo non sto dicendo che non voglio che faccia a botte con Lui, ma perché sapevo che poi si sarebbe accanito su di me, con tutta la sua rabbia e facendomi sentire uno schifo.

Non mi ha mai alzato un dito, però, vederlo arrabbiato mi faceva accapponare la pelle. Delle volte ho pensato che fosse geloso a convenienza o quando se lo ricordava, di certo non lo era quando stavo con i suoi amici, non che ci avessi mai seriamente avuto a che fare, mi sembravano tutti dei montati di testa, tranne Dawson. Un giorno mi fece la paternale solo perché una matricola mi aveva urtato e io non me n'ero accorta, per non parlare di tutte quelle voci che sono circolate sul mio conto dandomi della troia e della puttana ruba fidanzati. Al tempo ci stavamo solo frequentando e lui ha creduto per un lungo periodo che quelle voci fossero vere, prima di accorgersi del contrario.

La festa era a casa di uno studente del club di basket, sinceramente non ne conoscevo né il nome né l'aspetto, ma qui si usa così. Uno organizza una festa, mette a disposizione la casa, offre da bere e spera che non si rubi o che non si rompa niente. Un'anno avevo proposto ai miei genitori di farla a casa nostra, inutile dire che mia madre non mi lasciò finire di parlare che mi inondò con una sfilza di "No" e di minacce di chiudermi a casa semmai avessi fatto una cosa del genere a loro insaputa. Papà ovviamente era d'accordo con lei. 

A distanza di anni non mi pentivo di non aver insistito. Conoscendomi me ne sarei pentita ancora prima dell'arrivo delle persone.

Ero sgattaiolata via dalla finestra per andare a una festa che mi ero dimenticata di dire a mia madre, e come avevo fatto tante altre volte da quando avevo iniziato le superiori, uscivo di casa silenziosamente nella speranza che non mi scoprissero. Ero diventata parecchio brava, mi alzavo dal letto quando iniziavo a sentire il russare di mio padre, avrei sfruttato il rumore per coprire l'eventuale casino che avrei fatto mentre uscivo dalla finestra e camminavo sulle tegole del tettuccio, ovviamente non uscivo in condizioni climatiche con pioggia e neve, sarei stata un'emerita idiota. Con me avevo in una borsa il cambio per la festa con le scarpe, mi sarei calata abilmente giù e poi sarei andata a cambiarmi dietro un albero o sul retro di casa, sperando di non incrociare mia madre dalle finestre.

Quella volta però ho rischiato di far saltare la mia copertura per colpa del mio ex migliore amico.

Lui si fermò a più di 20 metri dal luogo della festa, in un posto piuttosto buio e poco illuminato dai lampioni lungo la strada, spense la moto e io mi precipitai giù slacciandomi il casco. Lui non sembrò voler scendere dal sellino e restò a guardarmi mentre mi davo una sistemata ai capelli.

«Bene, puoi tornare a casa»

«Tornare a casa? Non era chiaro che rimanessi alla festa?», mi aveva colto in flagrante mentre scappavo da casa, mi aveva accompagnato a una festa alla quale probabilmente non voleva neanche andarci e adesso voleva rimanere lì, per me. Folle. Gli sbattei il casco sul petto, non saprei dire che espressione avessi in quel momento, forse un misto di sorpresa e dubbio.

«Fai quello che vuoi, basta che mi ignori e fai finta di non conoscermi. Aspetta 10-20 minuti prima di farti vedere in giro. Per il ritorno esco prima io», mi sistemai il giubbetto con un'alzata di spalle e senza aspettare una risposta lo lasciai lì e mi avviai verso la festa.

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