Capitolo 15

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Skylar

«Scusami», non so quante volte lo dissi da quando calò il vociferare in sottofondo, mentre l'unica cosa che continuava ad andare era la musica proveniente dalle casse. Jill restò immobile per almeno 20 secondi - i venti secondi più lunghi della mia vita - dandomi le spalle, sin quando lentamente iniziò a girarsi. Teneva le mani alzate all'altezza del suo petto con i palmi rivolti davanti a sé, come a non voler osare, minimamente, a toccarsi. Mi guardava con il fuoco negli occhi, avrebbe potuto disintegrarmi da un momento all'altro se avesse potuto. Bocca spalancata, occhi fuori dalle orbite, viso pallido e il retro del suo vestito schizzato di vomito, meglio non soffermarsi sui suoi piedi, «scusami, scusami Jill», mi morsi il labbro, sforzai con tutta me stessa di non sorridere o riderle in faccia. Contraevo le labbra tra di loro per trattenermi, «scus-», la mia pancia non riuscì a contenerla.

Non era la sua espressione a farmi divertire, ma è stata la scena di per sé a esserlo.

Risi, risi così tanto che anche le persone attorno a noi mi seguirono, chi la indicava, chi faceva foto e video, anche Violet si tratteneva, ma le bastò l'occhiataccia fulminante della sorella per farla smettere.

«Ti avevo detto che non riusciva a stare in piedi», esordì Chloe dalle mie spalle, con un sorriso complice sul volto, Jill batté un piede a terra come fosse una bambina viziata con i pugni stretti lungo i fianchi.

«Stai zitta! Tutti voi, state zitti!», stridette la mia amica con il fumo che le usciva dalle orecchie. La mia risata si fermò subito quando vidi Derek rosso dalla rabbia avvicinarsi a noi, e solo dopo mi resi conto di quello che avevo fatto.

Avevo rimesso l'anima su un pavimento in parquet bellissimo, in una casa che non fosse la mia, addosso alla mia migliore amica e davanti a tutti, il mio sguardo vagò in cerca dei proprietari della festa e dell'abitazione. Dovevo scusarmi, dovevo rimediare al mio errore, non era da me cadere così in basso.

«Scusatemi, scusatemi... Scus-», una mano fredda, da uomo, mi afferrò per il braccio strattonandomi, quasi persi l'equilibrio e Derek mi costrinse a guardarlo.

«Che cazzo stai facendo?», parlò a denti stretti, con uno scossone riuscii a liberarmi il braccio dalla sua presa troppo forte.

«Ho solo vomitato, non le ho cagato addosso. Datevi una calmata», dissi guardandolo in cagnesco. Jill mi fronteggiò facendo un passo in avanti.

«Forse non hai capito quello che hai fatto», lei urlò a pochi centimetri dal mio viso, con le vene del collo in rilievo.

«Se tu stessi ferma eviteresti di peggiorare la situazione che Io, ho creato, ci stai mettendo i piedi», cercai di rimanere calma, ma quella voglia di riderle in faccia tornò. Sentivo la vocina lontana che mi punzecchiava lo stomaco istigandomi a farlo.

«Non mi interessa! Adesso ho i vestiti sporchi! Puzzo! E le scarpe sono inguardabili!», lei strillò di nuovo, così forte da farmi quasi male a un timpano. Dalla folla si fecero spazio due ragazzi, biondissimi con due occhi color nocciola, dalla somiglianza e dal modo in cui si facevano avanti, intuii fossero i proprietari della casa e gli organizzatori della festa, che, quando videro la scena che gli si parava davanti, si ghiacciarono sul posto. Dietro di loro, intravidi Will, probabilmente li aveva chiamati lui. Uno dei due fratelli deglutì, il suo petto iniziò a gonfiarsi sempre più velocemente.

Feci un passo verso di loro, «lasciatemi rimediare, per favore», volevo davvero ripulire tutto, cancellare quella figuraccia dalla memoria di tutti.

«Louis, lasciaglielo fare», fece Chloe guardando nella nostra direzione. Anche lui, come Jill, se avesse potuto mi avrebbe incenerito lì sul posto, e ne aveva tutte le ragioni per farlo, a differenza della mia amica. Gli abiti si potevano lavare, una macchia su parquet avrebbe portato via dei soldi per farla scomparire del tutto.

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