Capitolo 22

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Skylar

Cosa era quella cicatrice? Era lunga almeno quanto una spanna della sua mano. Non l'ha mai avuta, per non parlare delle altre piccole e sottili lungo il suo corpo. Lo avevo spiato nascosta dietro la porta socchiusa, ma quando lo vidi senza maglietta e il suo corpo ridotto in quello stato, mi gelai sul posto. 6 anni potevano essere troppi o troppo pochi a seconda di come lo si vuole vedere, per me erano tanti e lui non era più piccolo, non era più quel bambino che tanto amavo e che volevo bene incondizionatamente, in 6 anni le cose potevano cambiare ed egoisticamente pensai di essere cambiata solo io, eppure, più il tempo passava, più capivo che neanche lui era più la stessa persona di prima. Il sorriso è quello, così come i suoi occhi, eppure il suo corpo diceva tutt'altro.

Per colpa mia è stato sospeso e io non potevo sentirmi più in colpa di così. La mamma aveva ragione, era ingiusto, come stava diventando ingiusto il mio odio nei suoi confronti. Mi disse che non ero io la causa della sua assenza, mi sarei dovuta mettere il cuore in pace, eppure non ci riuscivo perché quello che ho passato, per me, veniva prima di tutto.

Dalla porta della mia camera vedevo la sua ancora aperta. La luce del corridoio era spenta e ogni tanto vedevo della luce soffusa venire da lì, forse stava trovando un modo per addormentarsi guardando video o messaggiando con qualcuno. Prima di sdraiarmi presi la mia terapia, sarebbe stata l'ultima, la mia gola diventò il deserto del Sahara ripensando alla borraccia nascosta dentro il cassetto, ma solo quando la luce della stanza degli ospiti non si riaccese più per circa un'ora buona, capii che lui si era addormentato.

Feci il minimo rumore possibile, mi misi a sedere sul letto e mandando a puttane la lezione di qualche sera prima sul non mischiare farmaci e alcool, dopo qualche ora ero così stordita e confusa, che quasi mi piaceva quella sensazione, ebbi anche il coraggio di aprire i vari social come Instagram e Twitter.

Il cellulare in una mano e la borraccia, semi vuota di Gin, nell'altra, mentre leggevo tutti i commenti di merda che la gente mi lasciava nei messaggi privati, sotto i miei post e nella sezione commenti di quella pagina Twitter che ormai non faceva altro che parlare solo e soltanto di me. Ritornai al giorno dell'aggressione e, un contenuto dopo l'altro, c'erano solo foto e video di noi che andavamo nell'ufficio del preside, qualcuno era riuscito a farmi qualche foto di nascosto prendendomi il viso, così che tutti potessero vedere la bella opera d'arte che avevo impressa sulla pelle; Derek che veniva etichettato come un santo e io come la vipera, ma ormai ero abituata a tutto questo. La gente non sapeva di tutti gli insulti che ricevevo quotidianamente da persone che facevano tanto le gradasse, però poi, incrociavo il loro sguardo per i corridoi, e non avevano manco il coraggio di guardarmi. Sapere però che qualcuno era pur sempre dalla mia parte, almeno per quell'accaduto, mi faceva sperare bene.

Ormai Lui era diventato il mio amante, così lo chiamavano. Jillian e Violet non mi mandarono neanche un messaggio, mentre Chloe mi scriveva ogni giorno. Era proprio vero che le vere amicizie si vedono nel momento del bisogno.

Mentre scorrevo l'ennesimo video fra i centinaia di commenti maligni sul mio conto dopo quelli che mi parvero almeno 20 minuti buoni, mi assalì un fortissimo senso di nausea e giramento di testa. Appoggiai la borraccia aperta sul comodino, lanciai il cellulare sul letto e mi catapultai in bagno, feci appena in tempo ad aprire la porta e inginocchiarmi a terra, che iniziai a vomitare nel gabinetto, lasciando luce e porta aperta.

"Certo che non impari mai dai tuoi errori, eh?", quella vocina lontana mi parlò di nuovo e per l'ennesima volta le diedi ragione. Dopo aver rimesso per la seconda volta, iniziai a tossire aggrappata alla porcellana del cesso per poi sedermi sul pavimento freddo piastrellato e la vista mi si appannò, sentendo le lacrime rigarmi le guance.

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