Capitolo 23

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Skylar

Dopo quella notte, Lui venne a trovarmi ogni giorno nel pomeriggio, con la scusa di voler studiare insieme. Non disse ai miei genitori il reale motivo del mio malessere, anche perché, poco prima che se ne andasse, lo supplicai di tenere il segreto promettendogli che avrei smesso. Mi stavo impegnando tanto nonostante ne avessi una gran voglia, quando papà e mamma non c'erano mi fermavo inconsciamente davanti alla vetrinetta degli alcolici di papà, che fortunatamente, ancora non si era accorto di niente, prendevo le bottiglie in fondo così che non potesse accorgersi dell'assenza di quelle 5 bottiglie che gli avevo rubato in tutto quel lasso di tempo. Per la cronaca, aveva un'intera collezione che però non apriva mai, erano tutti regali da parte di colleghi e pazienti e, invece che berli nelle grandi occasioni, li lasciava lì in esposizione nella sua vetrinetta perché astemio.

La promessa che Gli feci però, mi teneva ancorata a quella notte, al suo sguardo preoccupato, così vicino e premuroso, non mi lasciò da sola neanche per mezzo minuto. Sentivo che quella barriera che all'inizio costruii attorno a me si stava pian piano distruggendo, voleva a tutti i costi rientrare nella mia vita e per farlo era persino disposto a ignorarmi - per quel breve periodo che ci riuscì - e infatti, è stato il karma a interferire, mandando a monte la mia richiesta. Il resto è stato un susseguirsi di attenzioni e azioni che pian piano hanno solo migliorato la nostra situazione portandomi a dubitare dell'odio che dicevo di provare per lui.

Lo sopportavo, forse. O forse no. Non mi dispiaceva averlo attorno, che fosse per studiare o anche solo per averlo a pranzo o a cena, perché sì, mamma insisteva che rimanesse a mangiare e ogni volta dovevo ricordarle che anche lui aveva una famiglia.

I miei genitori cercavano di indagare chiedendo come stessero sua madre e suo padre e che gli farebbero molto piacere se un giorno venissero anche loro a casa nostra per un brunch, ma lui restava molto vago e nonostante morissi dalla curiosità di sapere di più, mi faceva pena e così mi ritrovavo a tirarlo fuori da quelle situazioni scomode.

Era Domenica, sarei ritornata a scuola il mercoledì, stavo distesa sul mio letto, con il computer sul grembo mentre a lui gli avevo gentilmente - a malincuore - ceduto la mia scrivania per studiare, stavamo andando avanti così da più di un'ora e quando vidi la sua testa alzarsi per scrocchiarsi il collo, capii che era ora di fare una pausa.

«Hai una sedia scomodissima», si lamentò lui stiracchiandosi su di essa.

«La prossima volta vieni col pannolone, magari senti meno dolore al culo», lo punzecchiai, ma la verità era che anche a me faceva piuttosto male il fondoschiena, ma orgogliosa com'ero, non volevo certamente farlo vedere.

«Tu dici? O forse dovrei pensare a una ciambella?», si girò a guardarmi roteando sulla sedia. Distese le gambe e scese col sedere fino al bordo di essa.

«Tipo quella che usano i vecchi?»

Ci pensò un po' su prima di rispondere, portando il naso al soffitto, poi lo riabbassò e riportò lo sguardo su di me, «sì, tipo quello».

«Dipende», alzai lo sguardo dallo schermo incrociando i suoi occhi, «hai il sedere come quello di un anziano?»

«Detta così suona diversamente da come la stavo immaginando», rispose lui, poi si inchinò sul suo zaino e tirò fuori una busta bianca, potevo già immaginare che cosa ci fosse. Tirò fuori un contenitore di plastica con dentro due grandi fette di torta allo yogurt e due confezioni di latte al cioccolato, «ne vuoi una? L'ha fatta mamma», mi guardò in attesa di una risposta.

Annuii sentendo lo stomaco brontolare dalla fame e così, in un momento di tregua, gli diedi il permesso di sedersi accanto a me, sul letto, a patto che si togliesse le scarpe e non mi sbriciolasse le coperte.

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