Capitolo 20

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In questo capitolo sono presenti dei contenuti forti da non prendere da esempio. Siete stati avvisati, se non vi sentite di proseguire, fermatevi qui con la lettura del capitolo.

Skylar

Mi ero completamente isolata dai social, non volevo sapere niente, se stessero girando foto, video, cosa la gente pensasse di me e della situazione in generale. Volevo tornare a scuola che ero riuscita a tenermi alle spalle quell'orribile momento, ma purtroppo, non ci stavo riuscendo.

La notte non chiudevo occhio, i ricordi di quella violenza mi tenevano sveglia, mi agitavo nel sonno e mi svegliavo madida di sudore e a corto di fiato. Mi sembrava di sentire le sue orride mani sul corpo, che mi stringevano la pelle lasciandoci lividi e segni rossi, come a volermi stampare nella mente quella sensazione e quel ricordo. Non eravamo più negli spogliatoi della squadra di football, in realtà non so dove eravamo di preciso, nei miei incubi non mi guardavo mai attorno, ma continuavo a fissare i suoi piccoli occhi stretti colmi di odio e disgusto. Gridavo, e imploravo di smetterla, che non l'avrei più fatto, che mi sarei comportata bene. Ma smettere cosa? Cosa è che gli avevo fatto?

Niente.

La notte non riuscivo a non bere, nella mia testa se bevevo, avevo più probabilità di crollare dal sonno ed evitare così di ritrovarlo nei miei incubi, ogni tanto funzionava, ma lui tornava sempre. Lo stesso incubo, si ripeteva ogni volta, e io sapevo che con i medicinali che stavo prendendo, mischiarli con l'alcool, non mi avrebbero fatto bene. Infatti, una notte, restai chiusa in bagno a vomitare cercando di fare il meno rumore possibile per non svegliare i miei genitori. Mi bastò quella sera per capire che fare un cocktail di farmaci e Gin non era la cosa giusta da fare, specialmente se tra questi c'era l'antibiotico.

Dovevo resistere ancora qualche giorno, smettere di dormire la notte e aspettare di finire la mia terapia e poi, avrei ripreso. Non ero felice, non lo ero affatto, più passava il tempo e più mi chiedevo perché lo stavo facendo e puntualmente la risposta non arrivava o forse non volevo cercarla, però, riusciva a tenermi fuori i pensieri intrusivi dei momenti No.

Un giorno Chloe venne a trovarmi, ero sorpresa, ma non potevo nascondere la gioia che provavo dentro di me nel rivedere un viso familiare che si era mostrato dolce e premuroso con me, l'unico viso a cui non avevo fatto del male, che ammiravo e che invidiavo.

"Credo di aver fatto breccia nel cuore di tua madre", mi disse.

"Davvero? Ritieniti fortunata, non succede quasi mai. Solitamente guarda tutti dall'alto al basso"

"Mi ritengo molto fortunata, allora", la risata di Chloe mi scaldava il cuore, mi sentivo meno sola. Mia madre non cercò più di riprendere il discorso dell'ultima volta, evidentemente offesa dal modo in cui le avevo risposto e da come la liquidai mandandola via da camera mia. Papà ci provò un paio di volte, ma sapendo che poi ne avrebbe parlato con mamma, mi rifiutai di parlarne anche con lui. Volevo rimanere da sola.

"Ti ho portato una cosa, spero ti possa piacere", lei mi mostrò una busta di plastica bianca che teneva nascosta dietro la schiena, fece un sorriso smagliante, contagioso. I suoi zigomi si alzarono e gonfiarono facendo alzare la grossa montatura appoggiata sul naso.

Mi portai a sedere tenendo disteso il ginocchio con il tutore e le feci cenno di sedersi sul letto, accanto a me. Lei si avvicinò, mi porse la busta e si sedette al mio fianco. Sembrava elettrizzata di vedere quale sarebbe stata la mia reazione al suo regalo.

Aprii la busta e vidi al suo interno una confezione in plastica con dei cupcakes, era da una vita che non ne mangiavo. Non riuscii a tenere a bada la bocca che questa si spalancò come i miei occhi in pura e sincera sorpresa. Li tirai fuori con cautela dalla busta e li appoggiai sul letto.

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