Stare lì, tra le braccia di Giulia e con la testa sul suo petto, mi fece tanto bene. La rabbia che provavo si affievolì lentamente, le sue mani mi accarezzavano dolcemente tra i capelli e dietro le spalle. Quei suoi tocchi leggeri mi fecero stare meglio. Io mi strinsi a lei, strusciai piano il mio viso contro quella sua maglia calda e socchiusi gli occhi. Mi rilassava da morire la sua dolcezza, il suo profumo delicato e le sue labbra che di tanto in tanto mi lasciavano dei baci sulla testa. Restammo in quella posizione, in totale silenzio, per una buona mezz'ora, poi Giulia decise che era il momento di parlare.
«Ti va adesso di dirmi cos'è successo?» mi chiese in tono particolarmente basso.
Io sorrisi, in quel momento non pensai a ciò che successe, la sua dolcezza mi scaldò dentro e non avevo altro che lei nella mente. Scossi leggermente la testa, le sussurrai un "no" e mi strinsi di più a lei.
«Vuoi che vada a prendere a calci qualcuno?» continuò subito dopo con fare lievemente ironico.
Anche quella sua frase mi fece sorridere, ma ero decisamente più divertita. Lentamente alzai il mio sguardo su di lei, sul suo viso, mi fermai quando incrociai il suo sguardo e rimasi per un po' a guardarla sorridendo.
«Guarda che lo faccio.» continuò lei intuendo già cosa stavo pensando.
Giulia non era il tipo che alzava le mani, le riusciva difficile anche quando si trattava di essere un po' più rude tra le lenzuola, fuori invece non faceva proprio per lei. Probabilmente lo avrebbe fatto solo per difendersi o per difendere qualcuno a cui teneva, ma in quel momento la vedevo dura.
«Non devi prendere a calci nessuno, resta qui.» sussurrai allungandomi verso di lei.
Le stampai un bacio sulle labbra, sfiorai la punta del suo naso con il mio e dopo averle fatto un piccolo sorriso tornai giù, ma in quel momento poggiai il mio viso contro il suo collo, o almeno ciò che ne restava scoperto. Quel maglione era piuttosto aderente, mi permetteva di vedere a pieno le sue curve ma toccare la sua pelle era quasi escluso.
«Ti hanno fatto arrabbiare?» mi chiese lei in tono dolce, ma mi sembrò quasi il tono che usava col suo cuginetto di cinque anni, e di conseguenza mi sentii anche io una bambina.
Annuii lentamente sfiorando piano la parte superiore del suo collo, e lei poggiò il palmo della sua mano su una mia guancia facendomi sentire solo il pollice che si muoveva lento. L'altra mano la sentii dietro la mia schiena, che saliva e scendeva dalla mia nuca, ma le sue braccia mi stringevano più forte. In quell'abbraccio, in quel suo abbraccio, io mi sentii al sicuro, mi sentivo protetta. Non avevo bisogno della mia famiglia né tantomeno della loro approvazione, mi bastava Giulia.
«Allora ti va di venire con me?» mi chiese lei poco dopo.
Io non capii subito la sua proposta, non sapevo dove volesse andare, così tirai su di nuovo il mio sguardo e tornai a guardare il suo viso, il suo dolce e stupendo viso.
«Dove vuoi andare?» ribattei lentamente.
«Andiamo a mangiare qualcosa, immagino che tu non abbia ancora pranzato, giusto?» domandò lei, e in un attimo il mio stomaco si risvegliò.
Era sempre così, ogni volta che ero preoccupata per qualcosa o avevo qualcosa di importante da fare, il mio stomaco si chiudeva e io non mangiavo nulla. Quando poi mi rilassavo o qualcuno mi faceva pensare al cibo, lui si spalancava di colpo e la fame iniziava a farsi sentire. Ci furono alcuni rumori di assenso, provenienti proprio dal mio stomaco vuoto, e il mio viso si ritirò di nuovo contro il suo collo provando a nascondere l'imbarazzo.
«Lo prendo come un "si".» ribatté lei in tono ironico. «Dai allora, tirati su.»
«No, non voglio. Voglio restare qui.» mi lamentai io stringendo più forte.
«Ma stai morendo di fame.» replicò lei, come se fosse una giustificazione valida per tirarmi su.
«Non fa niente, è un bel posto dove morire.» ribattei io in tono soddisfatto.
Per un attimo ci fu il più completo silenzio in quella stanza, sentii persino Giulia lasciarsi scappare un sorriso e io con calma tornai a tirarmi su. Incrociai di nuovo il suo sguardo e le accarezzai piano il viso. Mi incantai per qualche istante di troppo sui suoi occhi scuri e lei ne approfittò. Mi sorrise, mi strinse più forte e ribaltò in un attimo la situazione portandomi sotto di lei.
«Andiamo a mangiare qualcosa dai.» sussurrò sfiorandomi il naso con la punta del suo indice.
Con calma provò ad alzarsi, poggiò entrambe le sue mani ai lati del mio corpo, sul materasso, e si tirò su, ma prima che potesse spostarsi dal mio corpo la fermai.
«Aspetta...» le dissi poggiando una mano su un suo fianco.
Lei tornò quasi subito a voltarsi verso di me, lo fece con uno sguardo confuso e io allungai l'altra mia mano sul suo viso.
«Mi dai un bacio prima di andare.» le chiesi sentendo le mie guance accaldarsi velocemente.
Lei mi sorrise, poggiò una sua mano al lato del mio viso e lentamente tornò giù sul mio corpo. Il suo viso si avvicinò lentamente al mio e senza dire nulla fece incontrare le nostre bocche. Quel bacio partì lento, dolce, ma quando ricambiai ogni suo movimento l'intensità aumentò di colpo. Sentivo il suo corpo premere contro il mio, e io di conseguenza la stringevo di più contro di me. Le sue labbra erano morbide contro le mie, la sua lingua si muoveva all'unisono insieme alla mia, e i suoi denti si fecero sentire poco prima che si staccasse da me. Fu un bacio lungo, intenso, che mi fece perdere il fiato. I nostri occhi si incontrarono di nuovo non appena le nostre bocche si divisero, entrambe avevamo qualcosa da dire, qualcosa che in quel momento sentivamo forte dentro di noi. Avrei voluto dirle che l'amavo, era un momento perfetto per farlo, e sentivo che lei voleva fare lo stesso. Il suo sguardo non era semplicemente dolce, era intenso e acceso. Rimase per qualche istante a scrutare il mio sguardo come se appunto volesse dirmi qualcosa, ma non lo fece. Provavamo entrambe lo stesso sentimento, lo sapevo, ne ero quasi certa, ma entrambe sentivamo che non potevamo farlo in quel momento. Qualcosa ci bloccò. Forse l'assenza di Rosa, il fatto che era una cosa tanto importante che dovevamo farla quando c'erano tutte, o magari era semplice paura di esagerare. Non lo sapevo, non ne ero sicura, ma non ci demmo troppo peso. Giulia mi sorrise, mi sfiorò il viso e mi stampò un altro dolce bacio sulle labbra.
«Andiamo...» sussurrò spostandosi e tirandosi su dal mio letto.
Io feci lo stesso poco dopo, mi tirai su e le feci strada verso la mia cucina, ma una volta arrivate lì fece tutto lei. Non mi fece toccare nulla, mi disse che dovevo restare seduta al tavolo e basta, che avrebbe pensato a tutto lei. Fu divertente vederla alla ricerca di pentole e ingredienti per ciò che le serviva, dato che non mi permetteva nemmeno di dirle dove erano determinate cose. L'unica cosa che voleva che facessi era esporle ciò che successe con mia sorella, e così mentre cucinava le spiegai cosa mi dissero sia mia madre che Patrizia. Lei mi dava le spalle, di tanto in tanto si voltava verso di me per capire se ciò che le dicevo fosse vero, e un paio di volte trasalì a causa di cose poco carine che mi dissero quelle due.
«Che cazzo, ci credo che eri tanto arrabbiata.» commentò lei voltandosi verso di me.
«Già...» concordai io con un mezzo sorriso. «Purtroppo non posso farci molto.»
«Non è vero, saresti potuta restare lì e discuterci per tutto il tempo.» contestò lei nervosamente.
«Non sarebbe cambiato nulla, a volte discutere con qualcuno ti fa solo perdere tempo.» replicai con calma.
«Quindi hanno vinto loro? Le lasci fare così?» continuò lei con quel tono nervoso.
«Giulia...» sussurrai tirandomi su e facendo il giro del tavolo per mettermi di fronte a lei.
Le poggiai entrambe le mani ai lati del viso, le sfiorai delicatamente il labbro inferiore con il mio pollice e subito dopo la baciai. Fu un bacio breve, dolce, solo labbra. Poi mi staccai e le sorrisi.
«Per quanto mi riguarda, ho vinto io.» le dissi accarezzandole piano le guance. «Ho te, ho Rosa, ho quella dolce peste di Ruby e il mio lavoro. Non ho bisogno di nient'altro. Non ho bisogno di discutere con qualcuno per sapere che ho ragione io, non ho bisogno di andare a quello stupido matrimonio per sentirmi importante, mi basta avere quello che già ho.» continuai tenendo il mio sguardo rivolto verso il suo e notando il suo viso diventare gradualmente più rosso.
Lei non mi rispose, non sembrava riuscirci, ma i suoi occhi parlavano per lei. Era emozionata, e tanto anche. All'improvviso si fiondò tra le mie braccia, affondò il suo viso nell'incavo del mio collo e si strinse forte a me. Io ricambiai quell'abbraccio, sorrisi e poggiai la mia guancia contro la sua testa. Per un attimo sembrò che il mondo si fosse fermato, che il tempo avesse smesso di scorrere. In quel momento c'eravamo solo noi, io e Giulia strette in quell'abbraccio. Le sue braccia strette attorno alla mia vita e le mie attorno alle sue spalle, quei pochi centimetri di differenza si facevano sentire. Fuori iniziò a piovere, sentii forti e intense gocce scontrarsi contro il davanzale della finestra della cucina. Faceva freddo, probabilmente, ma io in quell'abbraccio stavo al caldo. Restammo abbracciate per qualche minuto, minuti che a me parvero infiniti, quando ci staccammo ci sedemmo al tavolo, mangiammo un po' di pasta e poi ci mettemmo comode sul mio divano a guardare un film. Non avevamo fretta di uscire, Giulia aveva detto a sua madre che ci avrebbe portato da lei quella sera, ma io non sapevo se fosse il caso di farlo proprio quel giorno.
«Non sappiamo come sia andata a Rosa, e se fosse andata peggio che a me?» ribattei io non appena mi chiese perché non volessi andare da sua madre.
«Beh in questo caso possiamo sempre chiamarla.» commentò Giulia prendendo il suo cellulare. «Sono le 15:00, immagino che il pranzo con i suoi sia finito.» aggiunse dopo aver controllato l'ora.
Io concordai con lei, misi in pausa il film che stavamo vedendo e aspettai con impazienza che Rosa rispondesse alla telefonata di Giulia, ma non lo fece. Giulia provò a chiamarla più volte ma Rosa non rispose mai.
«Squilla a vuoto, non capisco perché non mi risponde.» commentò Giulia piuttosto preoccupata.
«Magari è ancora a tavola con loro, in fondo non sappiamo se sono andati in un ristorante o se sono a casa dei suoi, e nella prima ipotesi è probabile che sia ancora lì.» ribattei io provando a tranquillizzarla, ma anche a me sembrava strano.
Anche se era ancora a pranzo con i suoi avrebbe sicuramente trovato una scusa per alzarsi e rispondere alla telefonata, ad una delle tante perlomeno. La situazione preoccupò anche me e infatti proposi a Giulia di riprovare ancora una volta. Lei lo fece, attese che il telefono facesse una decina di squilli e quando non rispose nemmeno in quel caso staccò di nuovo la chiamata.
«Nulla da fare.» commentò Giulia abbassando lo sguardo sullo schermo spento del suo cellulare.
«E se andassimo a cercarla?» proposi io notando che era davvero tanto preoccupata.
«Sul serio?» chiese lei alzando gli occhi su di me.
Giulia aveva paura che le fosse successo qualcosa, che i suoi genitori l'avessero trattata molto male, e la sua preoccupazione non sarebbe sparita all'improvviso, aveva bisogno di fare qualcosa, anche se fosse stato un giro a vuoto per la città.
«Certo, vado a mettermi le scarpe, prendo la giacca e usciamo.» le dissi tirandomi velocemente su dal divano e abbozzando un piccolo sorriso che lei ricambiò subito.
Sapevo come ci si sentiva quando si era preoccupati per qualcuno e non si poteva fare nulla per aiutarlo, quella sensazione di impotenza che ti entrava dentro e prendeva a pugni il tuo stomaco. Lo sentivo anche in quel momento, Giulia non era l'unica ad essere preoccupata per Rosa, ma non sapevo davvero cosa avremmo potuto fare. Potevamo provarci, potevamo cercarla, ma se lei non si faceva trovare potevamo fare ben poco. Quando fummo pronte scendemmo giù, entrammo nell'auto di Giulia e in quel freddo pomeriggio andammo a cercare Rosa. Non facemmo molti giri, era domenica, la casa editrice era chiusa e non sapevamo dove abitavano i suoi genitori. L'unico posto in cui potevamo cercarla, e sperare di trovarla, era casa sua. Il portone era chiuso, suonammo al citofono un paio di volte ma di lei sembrava non esserci alcuna traccia. Giulia riprovò a chiamarla al cellulare, ma anche lì non rispondeva.
«Dove possiamo cercarla?» mi chiese lei facendo un passo indietro pronta ad andare via da lì.
«Non saprei, i posti in cui cercarla sono pochi, e oggi immagino siano tutti chiusi.» risposi io lentamente, non sapevo proprio cosa fare.
«Beh allora andiamo a casa, almeno l'aspettiamo al coperto.» commentò lei dato che continuava a piovere e noi in quel momento eravamo riparate sotto un balcone.
«Aspetta, ho un'idea...» dissi voltandomi di nuovo verso il citofono.
Lì c'erano almeno una decina di pulsanti, nomi diversi e persone diverse che abitavano in quel palazzo, qualcuno ci avrebbe di sicuro aperto. Feci scivolare il mio dito su ogni singolo bottone, premendoli tutti, alcuni risposero ma io non dissi nulla, e qualcuno ci aprì il portone.
«Come hai fatto?» mi chiese Giulia mentre spinsi il portone e lo aprii.
«Non tutti rispondono al citofono, alcuni sono in attesa dell'arrivo di qualcuno e si fidano ad aprire senza accertarsi della persona in questione.» le spiegai io, che avevo fatto pratica anni prima quando abitavo ancora con i miei.
«Un po' troppo fiduciosi.» commentò lei avviandosi verso le scale.
«Già, ma al momento non è un problema nostro.» ribattei io seguendola verso l'appartamento di Rosa.
Nessuno ci aveva detto che Rosa era lì, per quanto ne sapevamo lei poteva essere ancora con la sua famiglia, ma qualcosa mi diceva che non era così, e Giulia sembrava pensare lo stesso. Non appena arrivammo davanti alla porta di casa sua ci attaccammo al campanello, suonammo una decina di volte, anche di più, ma anche lì non ricevemmo alcuna risposta.
«Non c'è proprio allora...» commentò Giulia che sembrò arrendersi all'evidenza, ma io avevo la testa sicuramente più dura di tutte.
«Aspetta.» sussurrai avvicinando il mio orecchio sinistro alla porta, lo schiacciai lì per sentire meglio e contemporaneamente presi il mio cellulare.
Cercai il numero di Rosa e feci partire la chiamata. Era un azzardo, Rosa poteva anche essere in casa ma se avesse avuto la vibrazione non l'avrei sentita. Giulia non capì subito cosa avevo in mente, mi guardò con fare confuso ma all'improvviso entrambe sentimmo un suono provenire oltre la porta e lei capì tutto. Rosa era lì, dentro il suo appartamento, e proprio vicino alla sua porta di casa. Doveva aver visto nello spioncino chi era a bussare alla sua porta, aveva visto che eravamo noi e chissà perché ci stava ignorando. E continuava a farlo. Staccò la chiamata, la suoneria non si sentì più, ma in quel momento io e Giulia eravamo ancora più convinte a voler restare lì.
«Rosa, andiamo, apri la porta.» dissi attaccandomi di nuovo al campanello.
«Dai, sappiamo che ci sei.» commentò Giulia col mio stesso tono.
Probabilmente le avevamo rotto fin troppo le scatole perché dopo qualche minuto si arrese e aprì la porta. Ciò che ci trovammo davanti, però, non ce lo aspettavamo per niente. Ad aprirci fu Rosa, non ci aspettavamo nessun altro, ma il suo aspetto era pessimo. Aveva addosso il pantalone di un pigiama e una felpa scolorita, il suo viso era quello messo peggio. Aveva dei segni evidenti ancora umidi, causati da lacrime che probabilmente le erano uscite fino a pochi istanti prima, i suoi occhi erano lucidi e tristi, il suo naso era rosso e nulla faceva pensare ad un banale raffreddore.
«Ehi, cos'è successo?» le chiesi io non appena lei ci lasciò entrare in casa.
«Niente...» rispose lei come se potesse sul serio avere la possibilità di mentire e farla franca.
«Non sei molto convincente.» continuai io seguendola nel suo piccolo salotto.
Camminammo in fila indiana, Rosa davanti, io in mezzo e Giulia poco dietro di me. Rosa mi diede le spalle per tutto il tempo, ma notai le sue braccia muoversi davanti al suo viso, probabilmente stava cercando di eliminare quei segni sotto i suoi occhi, ma era ormai impossibile. Lentamente si sedette sul suo divano, lì dove c'era una copertina che probabilmente aveva tenuto addosso fino a quel momento. Si mise al centro, tenendo lo sguardo basso, e io e Giulia ci sedemmo accanto a lei. Io ad un fianco e Giulia all'altro.
«Rosa, vuoi dirci cos'è successo?» le chiese Giulia con calma mentre le poggiò una mano sulle sue.
Rosa non rispose, scosse semplicemente la testa lentamente a destra e sinistra. Il suo sguardo era spento, perduto chissà dove, ma in un attimo i suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime. Si portò velocemente le mani sul viso e scoppiò a piangere. Non l'avevo mai vista in quel modo, tratteneva a stento i singhiozzi. Io e Giulia provammo a farla calmare, le portammo le mani dietro la schiena e sulle gambe, provammo a tranquillizzarla, ma non ci riuscì per niente bene.
«Ehi, calmati.» sussurrai io poggiando la mia fronte contro la sua tempia, ma lei continuò a singhiozzare.
Giulia, dal canto suo, le stampò un bacio sulla fronte e quello sembrò tranquillizzarla un po'. I singhiozzi diminuirono gradualmente e dopo un po' si tolse anche le mani dal viso, ma prima di farlo si asciugò quelle lacrime.
«Scusatemi...» disse in tono tremante.
«Ma sei pazza? Per cosa dovremmo scusarti?» le chiese Giulia piuttosto sorpresa.
«Perché non ho risposto alle vostre chiamate.» rispose Rosa senza alzare lo sguardo dalle sue gambe.
«Beh per quello non c'è problema.» commentò Giulia con calma.
«Sei qui da molto?» le chiesi io provando a farla aprire piano piano, per arrivare poi gradualmente a ciò che successe.
«Da un paio d'ore più o meno.» disse Rosa lentamente.
«Un paio d'ore? È durato molto poco il pranzo.» commentai. «Non avevate l'appuntamento alle 12:00?»
«Si, infatti non abbiamo mangiato molto.» replicò lei.
«Come mai?» continuai io.
«Beh... Mio padre è un tipo che va dritto al dunque, non gli piace fare troppi giri di parole, e ha subito messo in chiaro il motivo di quel pranzo.» ci spiegò Rosa dopo un lungo sospiro. «Appena ci siamo seduti, ancor prima di aprire i menu, ha chiesto a Nico se era felice del mio sviluppo, dato che appunto l'ultima volta che ci siamo visti eravamo due ragazzini.»
«Che cosa assurda.» commentò Giulia.
«Lui si sentiva a disagio ma ha provato a liberarsi dall'imbarazzo dicendo che sono molto bella, e da lì è stato tutto in discesa.» continuò Rosa. «Mio padre gli ha esposto tutti i miei pregi, cose anche non vere. Non mi conosce poi molto ma per convincere qualcuno direbbe qualsiasi cosa. L'unica cosa vera è il mio coraggio, la mia indipendenza e la casa editrice che ho avuto con tanti sacrifici.» disse. «All'inizio mi sentivo anche lusingata, sentire mio padre parlare di me con tanto trasporto mi faceva sentire fiera. Poi però ha parlato dei tasti dolenti, quelli che secondo lui non vanno bene in me.» continuò prendendo un lungo respiro. «Ha detto che alla mia età è difficile trovare un uomo, che il mio orologio biologico ormai sta per fermarsi, che tra qualche anno nessuno mi vorrà più e che probabilmente morirò da sola.»
«Che pezzo di merda!» esclamò Giulia.
«Giulia!» la rimproverai io.
«N-no, va bene, lasciala stare. Ha ragione.» commentò Rosa con un sorriso triste. «In quel momento ho capito che mio padre stava parlando bene di me solo perché voleva accasarmi, non perché pensasse sul serio quelle cose.» ricominciò lei. «Nico era super imbarazzato, non si aspettava nulla del genere, aveva conosciuto mio padre quando eravamo piccoli e lui con i bambini maschi era sempre andato d'accordo. Non sapeva cosa dire e io non volevo che continuasse con quel giochetto.»
«Quindi cos'hai fatto?» le domandai.
«Quello che avrei dovuto fare anni fa...» rispose lei. «Gli ho detto che non morirò da sola, che non ho bisogno di questi giochetti per trovare qualcuno, e che appunto quel qualcuno c'è già.»
«Davvero gli hai detto così?» continuai io piuttosto sorpresa.
«Già...» disse con un piccolo sorriso.
«E lui cos'ha risposto?» le chiesi spronandola a continuare il suo racconto.
«Beh lui si è detto entusiasta all'idea che avessi già qualcuno, ha aggiunto che avrebbe preferito saperlo prima così non avrebbe invitato Nico per nulla, e mi ha fatto un sacco di domande sull'uomo in questione.» ci spiegò Rosa.
«L'uomo?» domandò Giulia con fare confuso.
«Si, continuava a credere che parlassi di un uomo.» commentò lei.
«E tu gli hai detto che non era così?» replicai velocemente.
«Oh sì che l'ho fatto.» rispose Rosa con un sorriso ironico. «E non è andata per niente bene.»
«Cos'è successo?» continuai io che sentivo l'ansia salire ad ogni sua frase, mi aspettavo il peggio.
«Ha iniziato ad urlare, a dire che loro non mi hanno educato così...» disse con fare ironico.
«E tu?» domandai trattenendo il fiato.
«Io ho aggiunto il carico da novanta dicendo che in realtà sto con due donne, non una. E lui è impazzito del tutto.» commentò lei alzando finalmente il suo viso e incrociando il mio sguardo.
Le sue labbra erano inarcate leggermente all'insù, sorrideva quasi, ma i suoi occhi erano tristi e le sue mani tremavano di nuovo. Le poggiai subito le mie mani sulle sue, le strinsi e provai a calmarla.
«Pensavo che essendo in un ristorante non avrebbe fatto scenate di alcun tipo, e invece ha dato il peggio di sé.» ricominciò Rosa facendo sparire anche quella minima traccia di un sorriso. «Ha detto che se volevo ancora far parte della sua famiglia avrei dovuto diventare normale, che se non lo avessi fatto avrei potuto anche reputarmi orfana. All'improvviso si è alzato in piedi, ha fatto il giro del tavolo e quasi mi è venuto vicino, si è dovuto mettere in mezzo Nico per fermarlo.» aggiunse in tono tremante quasi. «Mi ha urlato di tutto, ha detto che non ero sua figlia, che se lo avesse saputo anni fa mi avrebbe fatto cambiare all'istante.»
«E in che modo lo avrebbe fatto?» domandò Giulia ingenuamente.
«A suon di schiaffi probabilmente...» rispose Rosa parzialmente ironica, ma dalla sua reazione immaginavo che suo padre lo avesse già fatto.
«No, basta, dimmi dove abita che lo vado a cercare.» commentò Giulia alzandosi velocemente in piedi, ma Rosa le afferrò una mano e la fermò lì.
«Non serve, lascia stare.» le disse alzando lentamente lo sguardo su di lei.
«Serve invece, dammi l'indirizzo.» continuò Giulia con fare decisamente nervoso.
«Per fare cosa?» le chiese Rosa.
Il suo tono era stanco, sembrava si fosse indebolita durante quell'ora trascorsa con i genitori, e sembrava faticare anche a tenere lo sguardo in alto rivolto verso Giulia.
«Per dirgli che lui non ha capito un cazzo, che tu sei stupenda, che i tuoi gusti sessuali non ti fanno apparire meno normale, che se solo ti desse la possibilità di aprirti completamente capirebbe che sei bellissima, che...» commentò Giulia a ruota libera.
Aveva in testa un sacco di cose da dire, a quanto pareva, tutte di una certa importanza ma Rosa non la fece continuare oltre. Non aveva bisogno di sentirla parlare di lei per sapere che la reputava importante, e soprattutto non voleva sentirla parlare in quel modo, con quel tono. Era nervosa, tanto, così tanto che le tremava la voce. A metà del suo discorso, Rosa si alzò in piedi e la baciò. Non conosceva altro modo per zittire Giulia, per farla calmare soprattutto, ma quello servì solo a farle perdere le parole. La sua rabbia si sfogò in un altro modo. Delle lacrime le rigarono piano il viso, ma Rosa non ci mise molto ad asciugarle.
«Calmati, piccola.» sussurrò lei stampandole un bacio sulla fronte mentre io mi tirai su accanto a loro.
«Non ci riesco.» commentò Giulia in tono nervoso. «T-tu non meriti di stare male a causa dei tuoi genitori, voi non lo meritate...» disse voltandosi poi verso di me. «Non è giusto.»
«Lo sappiamo, ma non puoi controllare ciò che fanno o dicono gli altri.» ribattei io con calma.
«E cosa posso fare?» mi chiese in tono quasi supplichevole.
«Puoi restare con noi, abbiamo bisogno di te per andare avanti.» le dissi togliendole una ciocca di capelli dal viso.
Lei abbozzò un piccolo sorriso e mi abbracciò, mi strinse così forte che quasi mi mancò il respiro, ma era bello sentirla stretta a me così non le dissi nulla. Rosa le portò una mano sulla testa, sorrise anche lei, e quando incrociammo gli sguardi le feci segno di avvicinarsi, di unirsi a quell'abbraccio. Tra le tre lei era quella che si imbarazzava di più nel fare cose dolci, ma aveva bisogno anche lei di quell'abbraccio e così si avvicinò alle spalle di Giulia e ci abbracciò entrambe. Io tenni un mio braccio attorno alla vita di Giulia e l'altro lo portai attorno alla vita di Rosa, strinsi entrambe e in un attimo mi sentii meglio. Ogni pensiero negativo si affievolì e gradualmente non lo sentii più. Ormai era chiaro a tutte, noi avevamo bisogno l'una dell'altra, avevamo bisogno di rimanere unite per affrontare quel mondo che ci remava contro. Restammo abbracciate per tanti lunghi minuti.
«Mi piace stare così con voi.» commentò Giulia all'improvviso.
«Lo dici solo perché sei in mezzo e hai tutta l'attenzione su di te.» replicò Rosa in tono decisamente ironico, non era ancora al top ma piano piano stava tornando la nostra Rosa.
«Probabile, ma al momento lo dico perché sto al caldo.» replicò Giulia col suo stesso tono.
Poco dopo ci staccammo però, fu Rosa a farlo per prima, le piaceva quella situazione ma allo stesso tempo la rendeva nervosa.
«Beh dai, vai a prepararti allora.» la spronò Giulia.
«Cosa? Perché?» domandò Rosa.
«Come "perché"? Hai dimenticato cosa abbiamo in programma oggi?» continuò l'altra con fare quasi deluso.
«Ah la cena con tua madre...» commentò Rosa come se si fosse ricordata di quell'appuntamento solo in quel momento.
«Già...» rispose Giulia con quel tono lento.
«Non possiamo evitare? Non mi va di vedere altre persone oggi.» le chiese Rosa.
«Ti prometto che mia madre non darà alcun problema, ma le ho già detto che stasera a cena le avrei presentato delle persone.» disse lei spronandola quasi.
«Le hai anticipato chi sono queste persone?» domandai io in tono lievemente ironico.
«No, non ne ho bisogno.» rispose lei con fare piuttosto sicuro.
«Sei sicura? Guarda che se anche con tua madre dovesse andare male faremmo la tripletta.» replicai io.
«Anche con tua sorella non è andata bene?» intuì Rosa.
«Già...» dissi io con un mezzo sorriso. «Ma va benissimo così, eviteremo di annoiarci a quello stupido matrimonio.» aggiunsi notando il suo sguardo diventare parzialmente più triste.
«Mi dispiace.» disse.
«Non fa niente, nemmeno ci volevo andare. Piuttosto dispiace a me per te.» ribattei io.
«Era quasi scontato che accadesse tutto questo.» commentò lei abbozzando un sorriso.
Rosa non sembrava avere alcuna voglia di uscire, e tutto sommato la capivo. Se Giulia non fosse venuta a casa mia, se non avesse insistito e non avesse avuto le chiavi di casa, a quell'ora sarei stata ancora a letto. Io e Giulia decidemmo di non forzarla, perlomeno non a prepararsi velocemente, avevamo ancora un paio d'ore prima dell'appuntamento e così decidemmo di metterci comode sul divano e continuare a chiacchierare un po'. Quella più comoda era Giulia, lei era seduta sulle gambe di Rosa, teneva il suo viso poggiato sulla sua spalla e le sue gambe erano distese sulle mie. La coperta di Rosa in quel momento era sopra i nostri corpi, ma scaldava probabilmente più Giulia che noi. Rosa mi chiese come fosse andata con mia sorella, cos'era successo, e io le spiegai lentamente tutto ciò che mi disse sia lei che mia madre.
«Credo dovremmo abituarci a queste cose.» commentò Rosa lentamente. «Non saranno sicuramente le sole nel mondo a pensarla così.»
«Lo so, dobbiamo restare unite se vogliamo sopravvivere.» concordai io.
«Non è giusto però.» commentò Giulia, che tra noi tre era quella che non accettava la cattiveria delle persone. «Perché dobbiamo far finta di niente? Noi non facciamo del male a nessuno.»
Disse tutte quelle cose senza scomporsi dalla sua posizione, aveva ancora il viso nascosto contro il collo di Rosa e sembrava non avere alcuna voglia di muoversi, in quel momento sembrava lei una bimba piccola.
«Lo sappiamo, ma non è così che la pensano gli altri.» disse Rosa accarezzandole piano il viso.
«E quindi?» domandò Giulia.
«Cosa vuoi dire?» ribattei io piuttosto confusa.
«Quindi dobbiamo restare nascoste solo perché gli altri non approvano tutto questo?» ci chiese Giulia lentamente.
Io e Rosa ci voltammo all'unisono verso l'altra, incrociammo gli sguardi e capimmo cosa dovevamo fare. Anche se non ne avevamo alcuna voglia dovevamo uscire fuori, anche se il tempo non era dei migliori, anche se le persone ci avrebbero guardato male, dovevamo farlo. Se non per noi, almeno per Giulia. Nonostante fossimo state noi a ricevere quel trattamento dalle nostre famiglie, fu lei a risentirne di più. Diceva che sua madre non era come le altre, e io le credevo.
«Dai Giulia, tirati su.» le disse Rosa lentamente.
«No, sto comoda qui.» ribatté Giulia stringendosi più forte a lei.
«Oh, quindi non vuoi più andare a cena da tua madre?» replicai io in tono ironico, e lei si tirò subito su col busto.
«Sul serio volete andarci?» chiese con un sorriso confuso.
«Hai detto che lei è diversa, no?» commentò Rosa.
«Beh si...» rispose Giulia un po' imbarazzata. «Però se non siete dell'umore non siete costrette a farlo, posso chiamarla e disdire tutto, o andare solo io.»
«Naaah, verremo con te.» disse Rosa facendole spuntare un gran bel sorriso. «Alla fine saremo tutte insieme, se dovesse succedere qualcosa di brutto ce la caveremo meglio di come abbiamo fatto da sole.»
«Non succederà nulla di brutto!» promise lei, e sotto sotto provai a crederle, volevo crederle, ma i genitori che avevo conosciuto sembravano tutti uguali, tutti con la stessa mentalità, e avevo seriamente paura di ciò che sarebbe potuto accadere.
Lentamente ci tirammo su da quel divano, Rosa ci lasciò da sole in salotto e andò a prepararsi. Non ci mise molto, circa mezz'ora, tra doccia e tutto il resto. Quando tornò da noi era già completamente vestita, aveva un pantalone rosso aderente e una camicia nera infilata dentro, ma non era del tutto abbottonata. Lei arrivò lì con tutta la serenità del mondo, teneva le sue scarpe in una mano e senza degnarci di uno sguardo si sedette sul divano e se le infilò.
«Ok, sono pronta.» disse tirandosi su poco dopo e alzando anche lo sguardo su di noi.
«Non mi sembra.» contestai io.
«Beh si, mi manca la giacca, ma quella è lì.» commentò lei facendomi segno ad un attaccapanni vicino all'ingresso.
«Non intendevo questo.» ribattei facendole un sorriso ironico che lei ricambiò quasi subito. «Dovresti coprire quelle due altrimenti prenderai freddo.» dissi facendole segno sul suo seno scoperto che mostrava inevitabilmente il suo reggiseno rosso abbinato al pantalone.
«Oh scusami, non volevo turbarti.» mi prese in giro lei.
«Certo, come no. Lo so io cosa volevi fare.» ribattei col suo stesso tono.
«Mi leggi nel pensiero adesso?» domandò in tono ironico.
«Non è così difficile.» risposi con un piccolo sorriso.
«Ah no? Stai dicendo che sono prevedibile?» continuò lei.
«Solo per chi ti conosce bene come me.» replicai io.
«Oh carina lei, pensa di conoscermi bene.» disse Rosa in tono divertito.
«Non lo penso, io lo so!» continuai piuttosto sicura.
«Vedremo.» ribatté lei facendomi l'occhiolino.
Avrei voluto dirle altrettante cose, avrei voluto mostrarle che ciò che dicevo era vero, soprattutto avevo una voglia matta di toglierle la camicia e ogni singolo indumento che aveva addosso, ma non potevo. Avevamo dei programmi, programmi importanti, e dovevamo rispettarli. Con calma ci avviammo verso la sua porta di casa, Rosa di nuovo coperta, ma dato che pioveva più forte e Giulia aveva solo il suo maglione addosso, Rosa le diede un suo giaccone, che di maniche le andava leggermente grande. Giulia si strinse in quel giaccone, inspirò profondamente e sorrise.
«C'è addosso il tuo profumo.» commentò mentre entrammo in auto di Rosa.
«Oh lo so.» replicò quest'ultima con fare ironico. «Ma non te lo regalo, è mio.» aggiunse voltandosi minacciosamente verso di lei.
«Stavo solo dicendo che mi piaceva il tuo profumo, non che lo voglio.» contestò Giulia con un finto tono offeso, nel frattempo Rosa mise in moto e partimmo.
«Ma davvero? Quindi se ti dicessi che puoi tenerlo, che te lo regalo, tu non lo prenderesti?» domandò Rosa sorridendo, ma Giulia sapeva come fregarla.
«Me lo regali?! Oh grazie, mi piace un sacco, ora non puoi più rimangiartelo però.» commentò stringendosi a quel giaccone.
«Cosa? No, la mia era solo un'ipotesi.» replicò Rosa voltandosi per un istante verso di lei.
«Non è vero, ho sentito bene la tua frase, e tu hai detto "te lo regalo" quindi ora è mio.» contestò Giulia facendole una smorfia.
«Ma non hai sentito altro?» continuò Rosa con un sospiro.
«Mi dispiace Rosa, ma ha ragione lei.» replicai io prendendola in giro.
«Non ti ci mettere anche tu, quel giaccone è mio.» protestò Rosa guardandomi per un istante, prima di voltarsi verso la strada.
«Dovrai passare sul mio cadavere per riaverlo.» replicò Giulia in tono divertito.
«Lo farò, tesoro, puoi starne certa.» concordò Rosa col suo stesso tono.
Il discorso però degenerò così tanto e così velocemente che scoppiammo a ridere. Era bello stare con quelle due, mi sentivo viva, serena, e dannatamente felice. Passammo il resto del viaggio serenamente, canticchiando delle canzoni che passavano in radio e procedendo con tutta la calma del mondo. La pioggia batteva contro il tettuccio dell'auto, la musica era un leggero sottofondo che di tanto in tanto lasciava spazio al picchiettare dell'acqua attorno a noi. Io ero poggiata con il petto contro il sedile del passeggero, in cui c'era seduta Giulia. Un mio braccio era attorno al sedile e passava tra una spalla e l'altra di Giulia, il mio mento era poggiato vicino al poggiatesta di quel sedile e respiravo tranquillamente il suo profumo misto a quello di Rosa. Quest'ultima non era poi così concentrata verso la strada, non c'erano molte auto in giro, le persone erano quasi del tutte al coperto in casa, e lei ne approfittò per portare la sua mano destra su una gamba di Giulia. Saliva e scendeva lentamente, delle volte saliva anche troppo.
«Rosa...» la rimproverò Giulia poggiando una sua mano sulla sua.
«Cosa c'è?» le chiese Rosa con fare innocente, ma sul viso aveva un sorrisetto beffardo che non era affatto innocente. «Hai detto di avere freddo, e io volevo solo scaldarti un po'.»
«Si, certo.» ribatté Giulia sorridendo e io feci lo stesso.
Quelle due mi piacevano davvero tanto insieme, erano tanto dolci e divertenti, mi faceva bene al cuore averle intorno. Rimasi immersa nei miei pensieri, nei loro gesti e nei lineamenti dei loro corpi per qualche altro minuto, fino a quando non arrivammo a casa della madre di Giulia. In un certo qual modo si intuiva che quella era la casa di sua nonna, i mobili erano antichi, molti in legno scuro e tenuti in ottimo stato. Sulle pareti c'erano tante foto di persone, feste, e anche piccoli quadri di paesaggi. Non facemmo il giro della casa, non ci sembrava il caso, vedemmo solo il salotto e l'ampia cucina. La stanza più grande, a detta di Giulia, era quella. A sua nonna piaceva cucinare e a lei piaceva aiutarla. Tra l'altro, quando c'erano compleanni e feste importanti, festeggiavano quasi sempre in quella casa. Sua nonna rimase vedova troppo presto, e prima che lei e sua madre si trasferissero a casa sua era spesso sola, di conseguenza tutta la famiglia voleva rendere allegra quella donna e quella casa. Non appena entrammo dentro, dietro a Giulia, facemmo subito la conoscenza di sua madre che ci aprì la porta. Lei somigliava tanto a sua figlia, avevano gli stessi occhi scuri, lo stesso sorriso dolce e il modo di fare gentile. Ci accolse in casa con un caloroso saluto e dopo esserci presentate ci fece strada in quell'ampia cucina. Ci fece accomodare al tavolo che avevano lì, un tavolo rotondo con una tovaglia rossa natalizia.
«So che manca ancora un mese ma l'atmosfera natalizia mi piace molto e la porto dentro casa molto prima dell'inizio.» commentò la donna alludendo appunto a quella tovaglia.
«Non fa niente, è carina.» replicò Rosa, che quando si parlava di Natale era paragonabile al Grinch.
La madre di Giulia, che ci chiese di chiamarla Sandra e non "signora", ci mise davanti qualsiasi cosa. Aveva una pepsi, del thè al limone e un'aranciata, ci propose anche di farci un caffè ma rifiutammo tutte.
«Giulia mi ha detto che vi fermate a cena, giusto?» ci chiese avvicinandosi a noi con un piattino in mano pieno di dolcetti al cioccolato.
«Se non è un disturbo.» commentai io piuttosto imbarazzata a causa della generosità di quella donna, aveva praticamente svuotato il frigo di tutte le bevande che avevano.
«Un disturbo?! Ma figurati, mi fa piacere conoscere le amiche di Giulia.» replicò la donna facendo quasi strozzare Rosa che proprio in quel momento stava bevendo un sorso di aranciata.
In effetti quella era un'opzione plausibile, eravamo entrambe lì per Giulia e nessuno avrebbe mai ipotizzato che stavamo insieme. Non gliene facevo una colpa, né io né Rosa ce la prendemmo, ma avevamo bisogno che Giulia la correggesse subito, altrimenti dopo sarebbe stato solo più difficile.
«Ho detto qualcosa che non va?» chiese la donna piuttosto confusa mentre io diedi dei colpetti dietro la schiena di Rosa.
«No, non hai detto nulla che non va.» rispose Giulia con un sorriso divertito, la reazione di Rosa la divertì molto. «Solo che devo spiegarti una cosa...» continuò lei un po' più seriamente. «Mamma, ti ricordi quel libro che ti ho fatto leggere questa estate? "Per lei..."?»
«Oh sisi, mi ricordo.» rispose la donna lasciando quel piattino al centro del tavolo e sedendosi di fronte a noi.
«Beh lo ha scritto lei, Andrea.» le spiegò Giulia.
«Davvero?» domandò lei voltandosi verso di me.
«Si...» risposi io parzialmente imbarazzata. «Le è piaciuto?»
«Oh moltissimo! Era tutto ben descritto, le emozioni arrivavano forti, e i personaggi mi sono piaciuti molto.» mi disse la donna. «Sei molto brava.»
«La ringrazio, ma se non fosse stato per Giulia a quest'ora scriverei solo per hobby.» commentai io lentamente.
«Si, lei mi aveva detto che ti aveva scoperto.» replicò sua madre.
«Lei ha fatto molto più di questo.» ribattei io allungando una mia mano e stringendo quella di Giulia.
Quest'ultima incrociò il mio sguardo e mi sorrise.
«C'è qualcosa che volete dirmi?» ci chiese la donna guardando entrambe, ma osservando più sua figlia.
«Noi stiamo insieme, mamma.» le disse Giulia.
Sul viso di sua madre spuntò un piccolo sorriso, che piano piano si allargò, ma Giulia non aveva ancora finito.
«Intendo "noi tre".» aggiunse quasi subito.
Inizialmente sua madre sembrava felice che sua figlia stesse con me, non mi conosceva ancora ma sembravo piacerle, quando però Giulia le specificò che stavamo tutte e tre insieme, la sua espressione divenne più confusa.
«Non ti seguo.» commentò sua madre. «Che cosa vuoi dire con "noi tre"?»
«Quello che ho detto, io sto sia con Andrea che con Rosa, stessa cosa per loro.» le spiegò Giulia.
«Cosa? Stai scherzando, vero?» continuò sua madre con fare ancora più confuso.
Magari Giulia aveva ragione, magari sua madre era più tollerante rispetto alle novità, magari le accettava prima, ma se non lo avesse fatto?
«No, sono seria.» ribatté Giulia in tono fermo.
«Ma... Insomma... Com'è possibile?» domandò la donna guardando quasi esclusivamente sua figlia.
«Non è così difficile in realtà. Io provo le stesse cose sia per Rosa che per Andrea.»
«Quindi, fatemi capire, voi due siete una coppia aperta e avete incluso lei nella vostra relazione?» chiese Sandra facendo segno verso Rosa che si sentì leggermente offesa da quella domanda.
«Signora, qui non c'è nessuna coppia aperta.» disse Rosa in tono nervoso tirandosi velocemente su.
«Ehi, siediti, tranquilla.» sussurrai io prendendo la sua mano e facendole segno di tornare a sedersi.
In fondo sua madre non ci stava dicendo nulla di cattivo, il tono che usava non era derisorio come quello usato da mia sorella, la madre di Giulia stava seriamente cercando di comprendere la nostra situazione. Rosa ci pensò un po', non sembrava avere alcuna voglia di sedersi, ma dopo aver guardato Giulia lo fece. Era lei a dover parlare, era lei che sapeva come parlare a sua madre, noi in quel momento rischiavamo solo di rovinare tutto.
«Mamma... Io, Rosa e Andrea siamo una troppia.» le spiegò Giulia, ma era difficile.
«Una... Cosa?!» domandò sua madre con un sorriso confuso.
«Una troppia.» ripeté Giulia tranquillamente.
«Te li stai inventando questi termini, vero?» continuò lei senza capire, in fondo quel termine suonava strano anche a me.
«No, è come per le coppie che stanno insieme, solo che noi siamo in tre.» le disse Giulia.
«Ma perché? Vi siete trovate in una relazione normale e poi siete passate a questo per comodità?» domandò sua madre.
Il tono di quella donna era del tutto ingenuo, usava termini come "normale" e "comodità" nel modo più innocente possibile. Il suo modo di fare non era cattivo, era solo ignorante. Ignorava tanto del mondo di sua figlia, conosceva le basi, probabilmente come tanti si fermava ai bisessuali, ma oltre non andava se non gli si poneva davanti come in quel caso. Lei sembrava aperta al chiarimento, a comprendere a pieno ciò che le stavamo dicendo, ma Rosa sembrava piuttosto nervosa.
«Sinceramente credo di aver sempre provato dei sentimenti per Andrea e Rosa.» confessò lei a sua madre, e anche a noi essendo davanti. «Solo che in quel periodo stavo con Maria e non volevo in alcun modo minare la serenità della nostra storia, o almeno quella che credevo ci fosse.» commentò lei timidamente. «Poi però quando ci siamo lasciate mi sono sentita più tranquilla, più libera di capire cosa provavo per entrambe.»
«E per voi è lo stesso?» ci chiese Sandra voltandosi verso me e Rosa.
«Certo, anche io sentivo qualcosa per Rosa e Giulia già da prima che ci lasciassimo andare, ma anche io ero in una relazione.» risposi io con calma.
«E tu?» continuò lei verso Rosa.
«Cosa vuole che le dica?» domandò quest'ultima nervosamente, a lei non piaceva per niente dover dare spiegazioni agli altri, specie se si trattava di parlare dei suoi sentimenti. «Non saremmo qui se fosse tutto un gioco, non ne avrei parlato con la mia famiglia se non provassi qualcosa di realmente forte per entrambe.» aggiunse tirandosi su di nuovo, non ce la faceva proprio a restare seduta. «È stato tutto un piano di sua figlia, diceva che lei avrebbe capito, ma a me non sembra. E sinceramente non mi va di continuare a restare qui.» continuò voltandosi e allontanandosi velocemente da noi.
«Rosa, aspetta...» le dissi io tirandomi su e andandole dietro.
Lei uscì dalla cucina, passò dal salotto e arrivò velocemente all'ingresso. Prese la sua giacca che era sull'attaccapanni e fece per infilarselo, ma sia io che Giulia la fermammo.
«Che stai facendo?» le chiesi prendendole una mano e fermandola.
«Vado via, non ci riesco. Lei non capisce, nessuno lo farà.» rispose lei con fare decisamente nervoso.
«Ma ci sta provando.» replicai io. «Nessuno fino ad ora lo ha fatto, lei sta sul serio provando a capirci, diamole un altro po' di tempo.»
«A quale scopo? Dobbiamo stare bene noi tre, non abbiamo bisogno di nessun altro.» disse Rosa duramente.
Quel pomeriggio passato con la sua famiglia l'aveva resa ancora più cinica del solito, la discussione avvenuta con suo padre l'aveva portata ad eliminarli di nuovo dalla sua vita. Non sembrava esserci alcuna via d'uscita per loro, per vivere serenamente, di conseguenza aveva creato attorno a noi una barriera. Diceva che non avevamo bisogno di nessun altro, e io la comprendevo bene, la rabbia che provavo per la mia famiglia mi faceva pensare le sue stesse cose, ma per Giulia era diverso. Lei era diversa, la sua situazione lo era. Lei aveva la possibilità di avere sia noi che la sua famiglia accanto, coloro che l'avevano cresciuta e sostenuta. Noi eravamo lì per quello, per cercare di uscire allo scoperto, per essere noi stesse a pieno anche fuori dalle nostre singole case. Il passo da fare era far sapere alla propria famiglia con chi si stava, se poi questi non accettavano la cosa, si andava avanti lo stesso, ma l'importante era parlarne.
«Rosa, ti prego.» le disse Giulia con voce tremante.
Io mi voltai verso di lei, che era poco dietro di me al mio fianco, e con la coda dell'occhio vidi sua madre dietro la porta della cucina. Non voleva mettersi in mezzo probabilmente, anche se capivo che sentire sua figlia in quel modo doveva farle male. Giulia cercava di trattenere le lacrime, quella situazione le provocava tanta ansia. Non lo dava a vedere, era felice di presentarci a lei, ma probabilmente pensò che fosse più facile. Quando Rosa si voltò verso di lei, smise di provare a mettersi la giacca, la riappese all'attaccapanni e si avvicinò a Giulia.
«Calmati, piccola.» le sussurrò abbracciandola e stringendola forte.
Giulia in quel momento si trattenne più del solito, voleva mostrarsi forte ma si sentiva che aveva un nodo alla gola. Rosa le baciò piano la testa, le accarezzò le spalle e lentamente la lasciò andare.
«Come ti senti?» le chiesi stampandole un bacio sulla tempia destra.
«Dipende, voi due restate qui, vero?» ribatté lei in tono speranzoso.
«Io non vado da nessuna parte, sono qui per te.» le dissi facendole un piccolo sorriso, ma il problema lì non ero io.
«E tu?» chiese Giulia voltandosi verso Rosa.
«Resto qui solo se mi dai un bacio.» rispose quest'ultima con un sorriso appena abbozzato, ma non era più nervosa e probabilmente sarebbe rimasta anche se non le avesse dato nulla.
Quel bacio, però, Giulia glielo diede. Le si avvicinò con calma, si tirò su con le punte e fece incontrare le loro bocche in un dolce bacio, il tutto sotto lo sguardo di sua madre. La donna si fermò al centro del salotto, a pochi metri da noi, e Giulia se ne accorse solo poco dopo.
«Non piangere però.» le disse Rosa in tono dolce asciugandole il viso con le proprie mani.
«Ci provo.» commentò lei con fare titubante.
Sorrise però, fu un sorriso appena accennato ma c'era ed era qualcosa. Con calma ci voltammo tutte, pronte a tornare di là e affrontare sua madre, ma non ce n'era bisogno. Lei era lì.
«Mamma...» disse Giulia piuttosto sorpresa.
Prese contemporaneamente la mia mano e quella di Rosa, voleva mostrarci che anche davanti a lei non aveva paura di mostrare ciò che provava, che avrebbe affrontato anche sua madre per noi. In fondo era ciò che facemmo anche io e Rosa, affrontammo le nostre famiglie per lei, per la nostra storia. Non andò bene, non andò bene per niente, ma né io né Rosa volevamo che finisse allo stesso modo.
«Senta signora, mi dispiace per come ho reagito.» commentò Rosa facendo un passo avanti ma senza staccarsi dalla stretta di Giulia. «Non avrei dovuto farlo, è stato eccessivo, ma non sopporto di dover spiegare a qualcuno perché sto con una persona. Per me è scontato, ci sto perché ci tengo, perché mi fa stare bene.» disse. «So cosa pensa, che è strano, che noi siamo strane, ma non è così. Noi siamo semplicemente fortunate. Molte persone trovano la persona della loro vita tra miliardi, altre purtroppo non ci riescono e si beccano gli scarti della società. Noi siamo state più fortunate tra tutte perché ci siamo trovate nello stesso momento, nella stessa vita, e farò di tutto per far sì che questa storia vada bene.» concluse con un tono particolarmente duro, ma che fece venire il magone sia a me che a Giulia.
Rosa non si era mai esposta tanto, le era sempre risultato difficile farlo davanti a qualcuno al di fuori di noi, e quel suo discorso ci commosse entrambe. In un certo senso commosse anche Sandra, la guardò con fare calmo, sereno, le sorrise persino.
«Sono io a dovermi scusare.» disse la donna. «Avevo capito cosa intendeva Giulia, ho capito che state insieme, ma avevo bisogno di sentire tutte voi dirmi ciò che provate per mia figlia.» commentò lei. «Il mondo là fuori è un posto orrendo, io ho cercato di dare a Giulia tutto quello che avevo, tutta la forza e l'amore per andare avanti. Ho cercato di proteggerla fin quando ho potuto ma ora non posso più farlo. L'unica cosa che posso fare è accertarmi che le persone con cui sta le vogliano realmente bene.» disse. «E voi mi sembra che gliene vogliate davvero tanto.»
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Di notte.
RomanceAndrea è una ragazza di 30 anni, fisicamente ne dimostra 20, alcuni non la prendono sul serio a causa del suo viso pulito e anche il suo lavoro ne risente. Lei è una scrittrice, scrive romanzi d'amore ispirandosi alla sua vita. È piuttosto sicura di...