Con loro ne avevo parlato, mi ero tolta il dubbio di cosa ne pensavano, di come avrebbero potuto reagire, e avevo capito che fondamentalmente il mio cervello si faceva film ben peggiori rispetto a ciò che realmente sarebbe potuto accadere. Rosa mi sorrise, si distese comodamente in mezzo a noi e ci coprì con un lenzuolo, l'unico che rimase lì. Ogni volta che facevamo sesso finivamo per far cadere i cuscini e buona parte delle coperte che erano sul letto. In quel momento eravamo in pieno autunno, non faceva freddissimo e con i corpi di Giulia e Rosa vicino non avevo freddo, ma quel lenzuolo addosso era piacevole. Quella sera fu Rosa a dormire in mezzo, il più delle volte capitò a me, ma avere una delle due al centro mi permetteva di dormire su un fianco con la testa poggiata su una loro spalla. Rosa, in quel caso. Era una posizione che adoravo, che il mio corpo trovava comoda, e così mi rilassai anche di più. Non ci misi troppo per addormentarmi, qualche minuto, ma in quel periodo di tempo sentii Giulia e Rosa parlare. Non capivo cosa si dicevano, stavano sussurrando qualcosa, avrei voluto chiedere a loro cosa avevano da bisbigliare ma i miei occhi erano pesanti e non avevo la forza di tirarmi su per sentire meglio. Ero troppo rilassata, stavo tanto bene, e quando mi svegliai non sentii più nessun bisbiglio. Non sapevo che ore fossero, non sapevo quanto avevo dormito, l'unica cosa che sapevo era che c'era un vuoto accanto a me. Io ero distesa a pancia in su, non ricordavo di essermi mossa quella sera, ma a quanto pareva lo avevo fatto. Con calma mi stiracchiai le braccia e le gambe, mi stropicciai gli occhi e mi voltai con tutto il corpo verso destra. Giulia era lì, ancora addormentata, ma di Rosa non c'era alcuna traccia. Lentamente mi tirai su con le braccia, mi misi seduta, e ancora piuttosto assonnata mi guardai attorno. Il mio sguardo si concentrò verso la scrivania, sulla sedia c'erano ancora i vestiti di Giulia, ma quelli di Rosa erano spariti. Non capivo dove fosse andata, la sera prima non ci disse nulla, o perlomeno a me non disse niente. All'improvviso sentii Giulia muoversi piano poco distante da me, lei a differenza mia era ancora distesa su un fianco, e fu in quel momento che mi ricordai di averle sentite bisbigliare la sera prima. Lentamente mi misi di nuovo giù, mi distesi accanto a lei e allungai una mia mano sul suo viso. L'accarezzai piano, con la punta delle dita, e quando la sentii svegliarsi le lasciai qualche bacio sulla fronte. Mentre l'accarezzavo e la baciavo la sentii fare dei versi di assenso. D'istinto sorrisi, era così carina. Aveva ancora gli occhi chiusi ma la vidi muovere a tentoni il braccio destro e allungarlo verso di me. La sua mano si scontrò piano contro la mia pancia, si fermò lì per pochi secondi, poi si inoltrò verso il mio fianco e mi abbracciò. Portò il suo viso contro il mio collo e mi lasciò lì un piccolo bacio.
«Mi piace svegliarmi così...» sussurrò lei dolcemente.
Io sorrisi, le lasciai un bacio sulla testa e le accarezzai delicatamente le spalle.
«E a me piace svegliarmi e trovarti qui.» ribattei abbassando lo sguardo sul suo viso, che al contrario lo alzò verso di me.
Incrociammo gli sguardi, entrambe eravamo ancora piuttosto assonnate, ma ci sorridemmo.
«Sei sveglia da molto?» mi chiese dopo essersi staccata da me.
«No, mi sono svegliata un paio di minuti fa.» risposi io sfiorandole una guancia.
«Oh...» continuò lei bloccandosi a causa di uno sbadiglio improvviso. «Rosa è andata via quindi?»
«Penso di si, non ho controllato il resto della casa.» dissi, e senza aggiungere altro ci guardammo negli occhi ed entrambe pensammo di tirarci su e andare a controllare.
Lo facemmo poco dopo, scendemmo dal letto, indossammo il nostro intimo, Giulia si mise anche il pantaloncino, e con calma uscimmo dalla mia camera. Non appena mettemmo piede fuori dalla mia stanza ci raggiunse Ruby miagolando, probabilmente aveva fame, ma prima di darle qualcosa feci un veloce giro della casa. Rosa non c'era.
«Sarà andata al lavoro.» ipotizzò Giulia venendomi dietro non appena confermammo che Rosa non era nemmeno nel mio salotto. «Che ore sono?» mi chiese.
Era ancora presto per me, erano le 09:30. La porta della cucina era chiusa, di solito la lasciavo aperta come quasi tutte le altre porte, non ricordavo di averla lasciata in quel modo, ma non appena l'aprii capii il perché. Rosa non era nemmeno lì ma c'era un segno del suo passaggio. Sul tavolo, giusto al centro, c'erano due sacchettini di carta bianchi e al centro c'era un bigliettino piegato su sé stesso. Io e Giulia ci guardammo per un secondo, entrambe non capivamo cosa ci fosse all'interno ma ci muovemmo subito e ci avvicinammo al tavolo. Nel frattempo Ruby era ancora più impaziente di ricevere del cibo. Miagolava con insistenza, e non appena mi sedetti su una sedia, lei saltò sulle mie gambe.
«Si, Ruby, lo so.» le dissi accarezzandola tra le orecchie. «Dammi un minuto e sarò subito da te.» continuai con calma, ma Ruby non smise di miagolare.
«Ci penso io.» commentò Giulia che era ancora in piedi. «Intanto tu puoi prendere quel bigliettino e leggere cosa c'è scritto.» aggiunse lentamente.
Io annuii e mi allungai verso quel fogliettino, mentre Ruby saltò giù dalle mie gambe non appena vide Giulia avvicinarsi allo sportello sotto al lavello dove tenevo i suoi croccantini. Lei continuò a miagolare fino a quando Giulia non le riempì la ciotola, e quando iniziò a mangiare avemmo un po' di pace.
«Finalmente!» dissi ridendo e guardando Ruby azzannare i croccantini come se non mangiasse da secoli. «Il biglietto è da parte di Rosa.» commentai dopo aver aperto il foglietto.
La scrittura era sua, era elegante e non eccessivamente grande. Scriveva in corsivo, le linee erano piuttosto morbide e la calligrafia era chiara, a differenza della mia. La mia grafia lasciava molto a desiderare. Scrivevo anche io in corsivo ma la mia scrittura era spesso illegibile, era troppo piccola e se non avevo delle linee guida sul foglio finivo per scrivere un po' verso il basso e un po' verso l'alto. Erano delle montagne russe insomma. Per fortuna le storie le scrivevo tutte a computer, o sulle note del cellulare quando mi veniva un'ispirazione fuori casa. Ma se avessi scritto a mano nessuno avrebbe letto nemmeno una riga delle mie storie, non ci sarebbe riuscito più che altro.
«E cosa dice?» mi chiese Giulia sedendosi poi su una sedia accanto a me.
"Andrea, Giulia, scusatemi per questa fuga ma non ho potuto fare altrimenti. Dovevo correre in editoria per un problema tecnico e non mi andava di svegliarvi, eravate troppo carine. Prima di andare via mi sono presa cinque minuti per prendervi la colazione. Ricordo che avete gusti differenti in merito, anzi, Andrea sei tu quella che ha gusti differenti rispetto a buona parte del paese. Ma non fa nulla, mi piaci anche per questo. Appena mi libero vi chiamo e magari organizziamo qualcosa per stasera. Voi fate le brave.
Rosa." quello c'era scritto. Mentre leggevo quel messaggio mi sentii strana. Rosa la sentii più dolce del solito nonostante non avesse detto molto.
«Più passano i giorni e più si rivela diversa da come l'ho conosciuta.» commentò Giulia con un piccolo sorriso.
«Anche con te era tanto sarcastica?» le chiesi allungandomi verso quei due pacchettini.
All'esterno erano simili, entrambi fatti di carta completamente bianca, ma dentro c'erano cose decisamente diverse. In uno c'era un cappuccino in un bicchiere alto di cartone affiancato da un cornetto al cioccolato, l'altro invece aveva una pizzetta rotonda piegata a metà con una lattina di estathé al limone. Non ci volle un genio per capire cosa era mio e cosa era suo.
«Un po' sì...» rispose Giulia cacciando fuori la sua colazione e iniziando a mangiare. «Cioè all'inizio era super professionale e disponibile, se avevo qualche dubbio o problema mi aiutava tranquillamente. Poi dopo aver preso confidenza ha iniziato a fare battute, a prendermi in giro anche in modo pungente.»
«Pungente?» le chiesi un po' confusa, e in quel momento iniziai a mangiare anche io.
«Si. Rosa ha vari tipi di sarcasmo, quello che usa per flirtare, quello che usa per difendersi e quello che usa per attaccare. Ovviamente ogni tipo di sarcasmo è dosato in base alla situazione e alle persone che si trova davanti.» mi spiegò lei con calma.
«La conosci davvero molto bene.» commentai io che invece stavo imparando a conoscerla solo in quel periodo.
Quando stavo con Sara non mi guardavo molto attorno, non mi interessava conoscere persone nuove, e Giulia e Rosa erano spesso solo comparse nella mia vita che mi servivano a raggiungere il mio scopo. Mai avrei immaginato che potessero diventare in un attimo tanto importanti per me.
«Abbastanza... Ho iniziato a collaborare con lei molto prima di conoscere te, di tanto in tanto le proponevo storie di persone che conoscevo sul web, perché credevo fossero molto validi.» commentò lei lentamente. «Mi ha anche offerto un lavoro nella sua editoria, ma non ho mai accettato.» aggiunse con un sorriso. «Mi piace leggere storie di qualsiasi genere, mi piace perdermi dietro alle mille sfaccettature dei personaggi, ma non mi piace avere le ore contate. Se fossi andata da lei avrei dovuto fare tutto in orario, e a me piace fare le cose con calma.»
«E lei come ha preso il tuo rifiuto?» domandai subito ricordandomi che Rosa non era un tipo che accettava volentieri un "no".
«All'inizio non molto bene, mi pungeva con quelle sue battute sarcastiche sperando di convincermi ad accettare, ma non ho mai ceduto.» rispose lei piuttosto fiera.
«Immagino quanto questo l'abbia infastidita.» commentai io ridendo.
Sapevo che Rosa era un tipo duro, che non accettava mai un rifiuto, e che per questo era reputata sfacciata, stronza, e anche egoista. Pensava solo a sé e al proprio interesse, questo dicevano gli altri, ma non era così.
«Molto. Alla fine ha accettato la mia decisione e ha mollato la presa, di tanto in tanto continua a fare delle battute al riguardo, ma è più tranquilla e lo dice solo per provocarmi.» continuò lei tranquillamente.
«Questa cosa non è cambiata, continua a fare battute per suscitare in altri una reazione.» commentai io.
«Più che "negli altri" direi "in noi". Sono stata in editoria qualche giorno fa, anche la settimana scorsa, e l'ho trovata più professionale del solito.» ribatté lei.
«In che senso?» chiesi piuttosto confusa.
«Ricordi che anche con i suoi collaboratori era ironica, e a volte sembrava che ci flirtasse?» domandò lei, e io annuii lentamente. «Beh adesso non lo fa più.»
«Cosa? Davvero?» domandai decisamente sorpresa.
«Si, alcuni mi hanno chiesto se è successo qualcosa. Una volta era un capo rigido, ora non rimprovera nessuno, non fa battute né si preoccupa dei lavori che ci sono da fare. O si fida di chi ha intorno o è distratta.» commentò lei sorridendo.
«Sono sfacciata se ti dico che per me è la seconda ipotesi?» chiesi ricambiando quel suo sorriso.
«Non direi, penso lo stesso.» concordò lei ridendo.
«Più tardi glielo chiediamo.» ribattei col suo stesso tono.
Con calma finimmo di bere e mangiare ciò che Rosa ci aveva portato, lo facemmo ridendo, ripensando al passato e a quanto fossero cambiate in fretta le cose in quei mesi. Poi ci vestimmo e scendemmo giù. Giulia aveva delle cose da fare ed essendo venute a casa mia con l'auto di Rosa, lei non sapeva come andare via.
«Ti accompagno io con la mia bestiolina.» le dissi non appena finimmo di vestirci.
«Va bene, ma vai piano.» commentò lei seriamente preoccupata che potessi andare veloce con qualcuno dietro di me.
«Non ti assicuro nulla, non sono io a decidere.» ribattei in tono ironico.
«Si, certo...» replicò lei col mio stesso tono.
Lentamente poi scendemmo giù, salimmo in sella alla mia moto e partimmo verso casa sua. Il suo appartamento non era molto distante dal mio, ma Giulia non voleva che andassi troppo veloce e così ci mettemmo un po' di più. Durante il tragitto la sentii stringersi forte a me, era il primo novembre e l'aria era piuttosto fresca. Di tanto in tanto portavo una mia mano su una sua coscia. Aveva il pantaloncino che mise la sera precedente, e questo le faceva sentire un po' di freddo. Le proposi di prendere un mio pantalone, uno decisamente più lungo e caldo, almeno per quel giorno, ma lei fu più testarda e volle tenere il suo. Se fossi andata più veloce avrebbe sentito ancora più freddo, ma non avevo fretta di separarmi da lei. Mi godetti ogni istante, ogni secondo. Rallentai e successivamente mi fermai ad ogni singolo semaforo giallo, cosa che di solito non facevo mai. Quando lo vedevo scattare finivo sempre per accelerare, sapevo che non si faceva, ma in quel momento avevo più motivi per seguire quelle noiose regole. Mi fermavo anche per far passare le persone a piedi, tutto solo per recuperare più secondi possibili. Quando arrivai sotto casa di Giulia mi prese male, avrei voluto fare altri 50 giri con lei stretta a me, ma purtroppo non potevo. Lei scese dalla mia moto, io mi tolsi il casco e lei mi porse quello che le diedi prima di partire.
«Non prendere impegni per stasera.» le dissi sfiorando le sue dita quando ci passammo il casco.
«Perché? Hai qualche progetto?» mi chiese mentre io legavo il suo casco alla moto.
«No, al momento no, ma mi piacerebbe comunque rivederti.» dissi incrociando il suo sguardo.
«Ah si? Sicura di non voler rivedere la bionda che hai fatto attraversare la strada all'ultimo incrocio?» mi chiese con un finto tono geloso.
Lei sorrideva, mi stava provocando, ma io ero seriamente confusa.
«Di quale bionda stai parlando?» le chiesi.
«Oh andiamo, non scherzare.» continuò lei lentamente.
«Sono seria, non mi ricordo di nessuna bionda.» commentai tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi.
Ricordavo dei bambini con gli zaini della scuola addosso, un paio di anziani che si tenevano per mano, ma della bionda di cui parlava lei non avevo ricordi.
«Mi stai prendendo in giro?» domandò con un sorriso confuso.
«Perché dovrei farlo?» le chiesi scendendo dalla mia moto.
Non capivo perché si comportasse in quel modo ma volevo evitare che pensasse sul serio a male, così mi mossi. Le presi le mani e la tirai verso di me, costringendola a fare un passo in avanti.
«Non ricordo nessuna bionda che mi è passata davanti, e se anche fosse non mi importerebbe. C'eri tu con me, ci sei tu.» le dissi notando l'imbarazzo che cresceva lentamente sul suo volto. «Sul serio pensavi che avessi adocchiato una tipa qualsiasi?» le chiesi notando il suo sguardo abbassarsi dal mio.
«No.» sorrise lei riportando il suo sguardo sul mio viso con fare titubante. «Volevo solo provocarti un po', volevo sentire cosa si prova ad essere come Rosa.»
«Come Rosa?! Perché vorresti essere come lei?» continuai decisamente confusa.
«Perché lei è sicura di sé, di ciò che dice e ciò che è, io non ci riesco. Se anche tu avessi guardato quella donna non avrei reagito come Rosa, ma lo avrei fatto a modo mio, un modo piuttosto patetico.» commentò Giulia col viso piuttosto rosso e lo sguardo che cadde di nuovo giù.
«Patetico?» ripetei senza capire. «Giulia, nessuna reazione è patetica, tu non sei patetica, ok?» le chiesi sfiorandole le guance e provando a farle rialzare lo sguardo sul mio viso, ma Maria aveva creato dei seri problemi in lei. «In che modo avresti reagito?»
«Non voglio dirtelo.» rispose lei senza guardarmi nemmeno in faccia.
Anche in quel caso la trovavo carina, sembrava una bimba piccola che non aveva nemmeno il coraggio di guardarmi. Era carina, si, ma provai ugualmente a smuoverla.
«Cosa? Perché?» le chiesi accarezzandole il viso.
«Perché è stupido.» continuò lei criticando ogni suo pensiero.
«Non ci credo.» dissi con più convinzione di quanta ne aveva lei.
«Perché no? Nemmeno sai di cosa sto parlando.» ribatté lei nervosamente alzando lo sguardo sul mio viso.
«Ma stai parlando di te, del tuo modo di fare, e nulla di ciò che fai è stupido.» dissi incrociando lo sguardo con i suoi occhi lucidi. «Tu sei dolce, Giulia, e sei bella da morire. Voglio sapere tutto di te, e stai pur certa che niente di quello che mi dirai lo reputerò stupido.» aggiunsi, e all'improvviso vidi una lacrima fare capolino dal suo occhio destro.
Non riuscii a farci molto però. Giulia si morse leggermente il labbro inferiore e velocemente si fiondò tra le mie braccia. Mi strinse forte a sé, e io ricambiai subito quell'abbraccio e la sua intensità, non avevo alcuna voglia di mollare la presa. Sfiorai la mia guancia con le sua quando si fiondò verso di me, ma quando sentii la sua stretta allentarsi la baciai lì su quella guancia, poi poco più giù e di nuovo più giù. Quando ci staccammo le lasciai tanti baci sul viso, le asciugai quella singola lacrima e le sorrisi.
«Allora, adesso vuoi dirmi come avresti reagito?» le chiesi in tono basso.
«Beh avrei fatto finta di niente, ma la cosa mi avrebbe logorato dentro.» rispose lei con un sorriso nervoso.
«Cioè in pratica saresti stata gelosa ma non me lo avresti detto?» domandai cercando una conferma che non tardò ad arrivare.
«Già...» disse riabbassando di tanto in tanto il suo sguardo, non sembrava sentirsi a suo agio con quel discorso.
«E perché?» continuai lentamente.
Magari non si sentiva a suo agio ma sapevo che dovevamo parlarne. Furono i silenzi a farmi rompere con Sara, e non avrei permesso a degli altri silenzi di rovinare un'altra mia storia.
«Perché sono consapevole del fatto che ci sono persone più belle di me...» rispose lei nervosamente, ma non era questo quello che volevo sapere.
«E perché non me lo avresti detto? Sarebbe stata comunque una cosa che ti avrebbe dato fastidio, no?» ripetei aggiungendo più dettagli alla mia domanda.
«Perché sarei appunto parsa gelosa ai tuoi occhi, probabilmente patetica e anche insicura.» mi spiegò lei in tono tremante quasi.
«Tutte cose che alla tua ex non andavano bene, giusto?» intuii io.
Lei non mi rispose ma abbassò lo sguardo in segno affermativo.
«Ascoltami, Giulia...» dissi portando entrambe le mie mani ai lati del suo viso e facendolo alzare lentamente verso il mio, in modo che mi guardasse negli occhi. «Io voglio sapere tutto ciò che ti passa per la testa, ok? Ogni singola cosa, dalla più bella a quella più strana, non mi importa cos'è, io voglio saperla. Va bene?»
«V-va bene.» rispose lei piuttosto titubante.
«A me tu piaci un sacco, piccola, e ti assicuro che nulla di ciò che dirai potrà sconvolgermi.» continuai sfiorandole le guance con i pollici.
«È una sfida?» mi chiese abbozzando un piccolo sorriso.
«Prendila come ti pare, ma basta che mi parli, ok?» ribattei lentamente.
«Ok...» rispose lei con un piccolo sorriso.
Poi allungò il collo verso di me, fece incontrare le nostre labbra e mi lasciò lì un bacio piuttosto dolce.
«Ci vediamo più tardi allora?» mi chiese.
«Puoi scommetterci!» risposi io ricambiando il suo sorriso.
Poco dopo ci dividemmo. Lei salì su in casa sua e io tornai in sella alla mia moto. Tornai nel traffico di quella mattina e pensai a come poter impiegare la mia giornata. Non avevo storie da dover completare, cioè ne avevo un sacco in sospeso ma nulla che mi ispirasse abbastanza per poi farlo uscire come nuovo libro. Ormai scrivevo per abitudine, per tenere la mia mente allenata. Ciò che scrivevo mi piaceva, scrivere mi piaceva, ma non provavo più le stesse sensazioni che provavo prima. Quella voglia impulsiva di chiudermi in casa, eliminare ogni più piccolo contatto col mondo esterno, e restare nella mia bolla a scrivere, scrivere e scrivere. Quelle sensazioni non le provavo più. Quando ero preda di un'ispirazione forte nulla riusciva a smuovermi, nemmeno le mie amiche. Spesso ci riusciva Sara però, lei riusciva a farmi staccare dal mio portatile e farmi pensare solo a lei. In quel caso ci riuscirono anche Rosa e Giulia. Avevo loro in testa, ed era per questo che non avevo molta voglia di perdermi dietro a storie finte. Volevo godermi la vita reale, la mia vita con loro. Fu per questo che mi diressi verso l'editoria di Rosa. Fu una strada che feci molte volte quando una mia storia era in fase di sviluppo e fu per questo che ci arrivai subito senza neanche accorgermene. Era a nord della città, a circa 15 minuti da casa di Giulia e a 25 dalla mia. Ci misi meno di un quarto d'ora, in quel caso non andai per nulla piano e non mi fermai a quasi nessun semaforo giallo. Avevo voglia di vedere Rosa, avevo voglia di baciarla soprattutto. Non poteva scappare via in quel modo senza salutarmi. Quando arrivai lì lasciai entrambi i caschi attaccati alla moto, avevo bisogno di avere le mani libere. Oltrepassai quasi subito le ampie porte di vetro dell'ingresso e mi immersi in quel mondo che tanto amavo. La casa editrice era strutturata su due livelli, il piano terra comprendeva la reception (in cui ero io), la sala stampa piena di macchinari rumorosi e alcuni uffici, tra cui quello di Serena, la mia editor. Lei era una ragazza poco più grande di me, era carina e piuttosto simpatica. Dedicava ore e ore al suo lavoro, aveva sempre idee nuove e geniali ma con me non attaccarono molto. Lei mi seguì con tutti i libri che pubblicai, mi parlò spesso di idee che ebbe per far accadere cose che avevo già scritto, ma io ero testarda. Il mio lavoro mi piaceva così com'era e non volevo che qualcuno lo modificasse in alcun modo. Ci tenevo alle mie storie, ci tenevo ai miei personaggi. Sapevo che avrei dovuto fare dei compromessi ma quelli li feci per i primi due libri, sul terzo fui categorica, e tutto sommato andò bene nonostante le lamentele di Serena. Lei e altri li rividi quel giorno, prima di arrivare all'ufficio di Rosa, che era al piano superiore. Parlai un po' con Claudia, la receptionist, una donna molto gentile e cordiale, sempre pronta ad aiutarmi a trovare la strada ogni volta che mi perdevo. Ma quel giorno non ne avevo bisogno, ormai conoscevo a memoria la strada per l'ufficio di Rosa.
«Al momento è in riunione nel suo ufficio.» mi disse con un sorriso. «Ma puoi comunque salire e aspettarla fuori dalla porta, non dovrebbe metterci molto.» aggiunse.
Io la ringraziai e feci ciò che mi disse. Non mi andava di ripassare, né tantomeno di aspettare giù, preferivo salire e aspettarla davanti al suo ufficio. Durante il tragitto incontrai appunto Serena. I suoi lunghi capelli rossi e il suo braccio destro completamente tatuato erano inconfondibili. Lei era una fan accanita di Harry Potter e ogni suo tatuaggio era ispirato a quella saga. Sul suo braccio aveva tatuato il castello di Hogwarts sullo sfondo, sulla parte alta del braccio, Edvige, Harry e Fierobecco volavano insieme poco più in basso. I Doni della Morte e lo stemma di Grifondoro erano tatuati sull'avambraccio e una W concludeva il tatuaggio sul polso. Quella W rappresentava la famiglia Weasley, lei aveva i capelli rossi come loro e per anni venne bullizzata a scuola per quel particolare. Solo quando lesse quei libri riuscì a non far più caso alle battutine e alle risate di ragazzi troppo stupidi. Per lei quella era molto più di una saga.
«Ehi, Serena.» la salutai avvicinandomi alle sue spalle.
Lei si voltò quasi subito, lentamente, e quando incrociai lo sguardo con i suoi occhi scuri la vidi sorridermi.
«Oh ciao Andrea.» mi salutò lei. «Che cosa ci fai qui?»
«Sono venuta a parlare un attimo con Rosa.» le dissi piuttosto vaga.
«Ah... Se non sbaglio a quest'ora è in riunione.» commentò lei controllando l'ora su uno smartwatch nero che aveva al polso. «Ma dovrebbe finire tra poco.» aggiunse riportando il suo sguardo su di me.
«Si, me lo ha detto Claudia.» risposi io con un sorriso. «Qui come vanno le cose? C'è qualcosa di interessante in ballo?» le chiesi notando un uomo che faceva avanti e indietro tra i vari uffici con una cartellina in mano piena di fogli.
Lui si chiamava Tommaso, era un uomo sulla quarantina, parzialmente calvo e con una barba incolta. Era sempre vestito in abbigliamento informale, camicia e pantalone lungo, anche d'estate, e nessuno capiva come facesse. Era il capo redattore della casa editrice, un uomo di cui Rosa si fidava molto. Lo vidi correre in quel modo, tra i vari uffici, solo quando andai lì per pubblicare i miei libri, e quel dettaglio mi sembrò strano.
«Direi di si, c'è una ragazza nell'ufficio di Rosa e...» mi spiegò Serena in tono piuttosto emozionato e al mio cervello bastò quello per andare in tilt.
Avevo lasciato Giulia a casa sua una mezz'oretta prima, quindi non poteva essere lei, e una qualsiasi altra ragazza mi mise in crisi. Non ascoltai una sola parola di ciò che disse Serena, pensavo già al peggio.
«È molto bella.» continuò lei non appena le mie orecchie si stapparono, pessimo momento per farlo.
«Chi?» le chiesi senza capire.
«La storia.» mi disse lei con un sorriso confuso.
«Quale storia?» continuai io lentamente.
«Ehm, Andrea, stai bene?» mi chiese con quel sorriso, dovevo sembrarle pazza.
«S-si, sto bene. Scusami ma ho perso il filo del discorso.» risposi io provando a riprendermi.
«Oh tranquilla, stavo parlando della storia che ha portato quella ragazza, è qui per questo. Giulia l'ha presentata a Rosa e adesso è su con lei per firmare il contratto e rivedere tutti i dettagli, a breve dovremmo iniziare a lavorarci su.» mi ripeté lei. «È una storia fantasy che parla di un amore struggente tra due personaggi dalle vite completamente diverse, non posso dirti di più ma fidati che è una bomba. C'è azione, magia, amore, passione, di tutto.» mi disse con gli occhi che le brillavano, quella storia l'aveva presa molto.
Sentii una sorta di gelosia nei confronti di quella ragazza che nemmeno conoscevo, ricordavo che Giulia aveva detto di avere un appuntamento con una ragazza che scriveva storie fantasy, ricordavo che era successo prima del mio firmacopie a Torino, ma non le avevo più chiesto nulla. Ogni volta che si parlava di altre storie, altri libri, mi sentivo un po' messa da parte, anche se sapevo che i libri esistevano da prima che nascessi, che quindi era assurdo essere gelosa del lavoro altrui. Ma la mia gelosia era più che altro rivolta verso le attenzioni che Giulia e Rosa riservavano per quella ragazza. Non mi importava se fosse più brava di me, non mi importava se aveva fatto emozionare tanto Serena, ma la cosa mi diede ugualmente un po' fastidio. Mi congedai in fretta da Serena e provando ad essere più naturale possibile mi avviai verso le scale che mi avrebbero portato al piano superiore. Durante il tragitto, proprio in mezzo a quell'ampia scalinata, vidi Stefano, un ragazzo carino dagli occhi verdi e i capelli scuri piuttosto lunghi. Era il ragazzo che reputavo più simpatico lì dentro, mi faceva morire dal ridere ogni volta che parlavamo, ma in quel momento non avevo voglia di fermarmi. Lui correggeva le bozze prima che venissero portate in sala stampa, ma prima ancora di questo una copia veniva data a ogni persona che lavorava lì dentro, perché Rosa voleva che tutti sapessero a cosa stavano lavorando. Lei aveva un'opinione alta di tutti i suoi collaboratori, lavoravano con lei da anni e per ognuno aveva un pregio che la convinceva a tenerli con sé. In quel momento Stefano era intento a chiacchierare con Sofia, una ragazza che lo aiutava nella correzione delle bozze, e così potei facilmente passargli accanto senza essere vista. Una persona che purtroppo non potei proprio evitare fu Irene, la grafica dell'azienda. Lei stava svoltando l'angolo per prendere le scale, e io stavo facendo lo stesso dopo aver messo piede su quel piano. Io correvo, scappavo quasi da chiunque avrebbe potuto vedermi e fermarmi, ma non potei prevedere lei. Quelle scale posizionate in quel modo mi avevano spesso fatto fare delle pessime figure, ma quella fu la peggiore di tutte. Irene non si aspettava per niente un arrivo di quel genere, così cadde col sedere per terra.
«Oh cavolo, scusami.» dissi piegandomi di fronte a lei per prenderle i fogli che le avevo fatto cadere.
Su quei fogli notai dei disegni, tanti disegni, erano tutte bozze di una stessa copertina. C'era una donna con in mano una spada, lo sguardo era fiero, coraggioso, e davanti a sé aveva un'altra donna che nonostante fosse disarmata le sorrideva divertita, quasi a volerla sfidare. Il disegno che più mi colpì fu quello, era l'unico che si vedeva per intero, ma gli altri erano tutti sotto. I disegni avevano un certo non so che di fantasy e così ipotizzai fosse per la storia di quella ragazza. Smisi velocemente di pensarci e dopo aver raccolto quei fogli mi voltai verso Irene. Lei era ancora confusa a causa dell'impatto, attorno al collo aveva le sue cuffie bianche e rosse, di quelle che coprivano tutto l'orecchio. Le piaceva la musica, le piaceva lavorare ai suoi progetti mentre l'ascoltava, e non si separava mai da quelle cuffie. Lentamente il suo sguardo divenne più vivido, i suoi occhi blu si posarono su di me e mi sorrise.
«Ciao Andrea, cosa ci fai qui?» mi chiese con fare allegro, nonostante solo pochi secondi prima ci fossimo scontrate.
«A quanto pare ti faccio perdere tempo.» le dissi con fare imbarazzato.
«Cosa?» domandò lei senza capire.
«Beh stavi andando giù in sala stampa, no?» le chiesi poiché ricordavo che il suo studio era lì, al primo piano, mentre lei era intenta a scendere giù.
«No no, non ho ancora pronto nulla.» commentò lei con un sorriso.
Poi con calma l'aiutai a rimettersi in piedi, con quei fogli in mano.
«Sono disegni fatti per la ragazza che è con Rosa?» le chiesi.
«Oh lo sai già quindi?» ribatté lei.
«Ho sentito qualcosa, ma non so bene di cosa si tratta e Serena non ha voluto farmi spoiler.» le spiegai con calma.
«Lo capisco. Beh è più per scaramanzia che per spoiler, sai quanto sono superstiziosi qui.» commentò lei sorridendo e passandosi una mano nei suoi capelli corti. «Se vuoi posso dirti di cosa parla, io non credo alla scaramanzia.»
«No, non preoccuparti. Lo leggerò quando uscirà.» le dissi con un sorriso.
Ma il mio commento non poteva essere più falso di così. Non lo avrei mai letto, o almeno così credevo, ero impuntata a non chiedere nessun dettaglio e per un po' ci riuscii. Dopo alcuni minuti riuscii anche a liberarmi di Irene, lei aveva del lavoro da fare e io dovevo vedere Rosa. Quando arrivai davanti al suo ufficio fui fermata da Fernanda, la sua segretaria che aveva la scrivania proprio accanto al suo ufficio.
«Rosa non può riceverti al momento.» mi disse facendomi sentire una persona qualunque, e tutto sommato era così.
Per lei, per tutta la casa editrice, io ero solo una delle tante scrittrici uscite allo scoperto grazie a loro. Nell'ufficio di Rosa c'era un'altra scrittrice, un'altra ragazza che potenzialmente avrebbe riscosso più successo di me. La mia gelosia faceva capolino da tutte le parti, ogni frase mandava in tilt il mio cervello, e senza fare alcuna lamentela mi sedetti su una sedia lì vicino e aspettai che Rosa finisse la sua riunione. I minuti passavano lentamente, Fernanda non mi toglieva gli occhi di dosso nemmeno quando rispondeva al telefono, non sembravo piacerle molto. Era stato sempre così, andavo d'accordo con chiunque lì dentro, ma con lei era più complicato. Non sapevo il motivo, sinceramente nemmeno credevo ci fosse un motivo sensato, semplicemente a pelle non ci stavamo simpatiche e a me andava bene in quel modo. Non potevo piacere a tutti. Dopo una decina di minuti sentii la voce di Rosa, non capivo cosa dicesse ma d'istinto mi alzai in piedi. La porta del suo ufficio si aprì poco dopo, lentamente, e da lì ne uscì una ragazza stupenda. Era poco più bassa di Rosa, alta quanto me, i suoi capelli erano biondi e piuttosto corti ma con un ciuffo che le cadeva davanti all'occhio destro. I suoi lineamenti erano spigolosi, i suoi occhi erano di un azzurro piuttosto chiaro, quasi grigi. Il suo viso era pulito, non c'era nessuna traccia di trucco, eppure sembrava avere qualcosa che ne accentuasse la bellezza. Il suo abbigliamento era casual, indossava una camicia bianca con un jeans scuro e delle bretelle nere. La camicia era sbottonata quel tanto che bastava per mostrare il suo seno, che non era eccessivamente grande ma si notava piuttosto in fretta. Il suo sorriso era gradevole, la sua presenza emanava una luce forte, e stranamente anche Fernanda sorrise non appena lei uscì. Rosa le teneva una mano dietro le spalle, sorrideva mentre le parlava. Non le tolse per un istante gli occhi di dosso, camminavano mentre parlavano. Mi passarono anche davanti e Rosa non si accorse minimamente di me. Fu una cosa che mi fece molto male, talmente tanto che rimasi senza fiato. Ero già stata rimpiazzata.

STAI LEGGENDO
Di notte.
Roman d'amourAndrea è una ragazza di 30 anni, fisicamente ne dimostra 20, alcuni non la prendono sul serio a causa del suo viso pulito e anche il suo lavoro ne risente. Lei è una scrittrice, scrive romanzi d'amore ispirandosi alla sua vita. È piuttosto sicura di...