Capitolo 2 - Una famiglia come tante.

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Quando chiamai la polizia ero tranquilla, quando attesi il loro arrivo lo ero ugualmente tanto, anche quando mi misero le manette e mi portarono via. Mia madre era in lacrime, le mie sorelle erano sconvolte, ma io ero serena. Non avevo più lacrime, quell'uomo mi aveva completamente prosciugato l'anima, ma la mia tranquillità durò poco. Nonostante mi reputai colpevole, vollero ugualmente fare un inutile processo. Io volevo solo farla finita, volevo che la mia famiglia fosse libera da quell'uomo, e non mi importava ciò che sarebbe successo a me. Ero pronta ad affrontare ogni conseguenza, e per questo quando il giudice mi chiese come mi dichiaravo, gli dissi tranquillamente "colpevole". Quel giorno l'aula era piena di persone, non c'ero mai stata dentro ma mi faceva strano pensare a quante persone erano e che riuscivano a stare in silenzio. Tranne per qualche vociare di tanto in tanto, ma non molti. Il giudice sembrava sconvolto dalla mia tranquillità, mi guardò più volte con uno sguardo triste, aveva pietà per me, era evidente. Difatti poco prima di concludere tutto si rivolse a me con una certa calma.
«Sei così giovane.» disse lentamente.
«Ho 25 anni.» gli ricordai io. «Sono grande.»
«Lo so, ma sei ugualmente troppo giovane.» continuò lui. «Perché lo hai fatto? Avevi tutta la vita davanti, adesso non potrai fare più molto.»
Sembrava che cercasse un certo non so che di pentimento, magari avrebbe potuto diminuirmi la pena se provavo pietà, ma non sentivo nulla.
«Non mi importa.» ribattei con calma.
«Oh dai, com'è possibile? Sei consapevole che ciò che hai fatto ti costerà almeno 20 anni di carcere?» continuò lui senza capire.
«Certo che lo so, non mi importa ma l'ho ascoltata parlare.» risposi io con ancora quel tono calmo.
Probabilmente a quell'uomo sembravo pazza, così come lo sembravo a quelle persone lì dentro, ma non mi importava.
«E allora mi dica il perché, solo questo.» mi chiese lui debolmente.
«D'accordo, signor giudice. Lei si ricorda la sua infanzia?» gli chiesi.
«Certo che mi ricordo la mia infanzia, sono passati oltre quarant'anni ma la ricordo bene.» rispose lui con fare lievemente ironico.
«Ed è stato felice? Era un bambino sereno?» continuai io in tono più serio.
«Si, prevalentemente direi di si. Lei non lo era?» domandò lui intuendo quale fosse il problema.
«No, signor giudice, non lo ero per niente. In 25 anni non sono mai stata minimamente serena. Sa cosa si prova a veder scoccare un determinato orario e sentire l'ansia che arriva senza alcun controllo?» gli chiesi lentamente ripensando a tutte le ansie che avevo subito a causa di quell'uomo che avrebbe dovuto farmi crescere serenamente.
«No, direi di no.» disse il giudice con uno sguardo piuttosto triste.
«Beh io lo so, anche le mie sorelle lo sanno, ogni giorno alle 18:00 in punto partiva il conto alla rovescia. E quando si sentiva il citofono suonare, l'ansia era già alle stelle. Ci abbiamo provato a rendere calmo quell'uomo, ma è stato difficile.» gli spiegai.
«"Quell'uomo"? Era suo padre, no?» commentò lui e io mi lasciai scappare un sorriso sarcastico.
«Ha solo fatto sesso con mia madre 26 anni fa, non lo reputo mio padre.» risposi io velocemente.
«Ha pagato il tuo cibo e il tetto sopra la tua testa, no?» continuò ingenuamente.
«Lavorava anche mia madre. Ma il cibo e il tetto sulla testa credo fossero il minimo che ci si aspettasse da lui, sono su questo mondo a causa sua, il minimo che poteva fare era farmi crescere.» dissi con un lieve accenno di nervosismo. «Ma non si è mai comportato da padre, né con me né con le mie sorelle. Non ha mai avuto un gesto dolce nei nostri riguardi, mai una parola d'affetto, sempre e solo urla e schiaffi.»
«Vi ha fatto del male fisico quindi?» mi chiese l'uomo.
«Si, anche se psicologicamente ha fatto più danni.» risposi io con un sorriso triste.
«E perché non lo avete denunciato?» continuò lui, come se fosse facile, come se qualcuno avesse mai risolto qualcosa con una denuncia.
«Lo abbiamo fatto, mia madre lo ha fatto anni fa ma non è servito. Lei ha chiesto anche il divorzio, ma lui non ha mai voluto concederglielo.» gli spiegai. «La polizia non ha mai fatto nulla, nessuno ha mai fatto nulla di concreto per noi, così ho dovuto sistemare io le cose.»
«Capisco... Beh mi dispiace.» riuscì solo a dire quell'uomo prima che alcuni agenti si avvicinassero a me per portarmi via.
Io mi voltai un'ultima volta verso mia madre e le mie sorelle, erano sedute proprio dietro di me, chiesi agli agenti di darmi un minuto e subito dopo abbracciai tutte loro. Erano tutte in lacrime, soprattutto mia madre, lei si sentiva probabilmente in colpa ma io non gliene davo. Lei aveva fatto il possibile, magari avrebbe potuto fare di più, ma era una donna fragile e spaventata. Sarebbe potuta andare via di casa portandoci con sé anni prima, anche prima che nascesse Lucia, la mia piccola sorellina di 8 anni. Ma non lo fece. Aveva paura che quell'uomo ci venisse dietro, che ci trovasse e ci uccidesse tutte. Era violento, lo diventava ancora di più quando beveva, e sapeva che era capace di tutto. Provò a restare con lui, provò a tenerlo buono il più possibile, ma non bastò. Io in quel momento ero tranquilla, sentivo di aver liberato le mie sorelle e mia madre da quell'uomo e non mi importava di altro.
«Ragazze, mi raccomando.» dissi guardando in faccia ognuna delle mie tre sorelle. «Restate unite, non ascoltate nessuno.» commentai. «Vi voglio bene.» aggiunsi prima di fare un passo indietro, pronta per andare via con quegli agenti, ma purtroppo dovevano aspettare ancora un po'.
«Chiara, aspetta.» mi disse una voce familiare che mi fece salire il magone.
Mi voltai lentamente verso destra, lungo un corridoio, e la vidi. Veronica, la mia ex, mi venne in contro. I due agenti mi lasciarono libera per qualche minuto e io potei abbracciarla. Solo quell'abbraccio mi fece stringere il nodo alla gola, solo in quel momento capii cosa avevo perso.
«Cos'è successo?» mi chiese staccandosi lentamente da me e guardandomi negli occhi, i suoi mi erano mancati tanto.
«Te lo avevo detto che sarei finita al telegiornale.» le dissi col mio solito tono ironico.
«Speravo tanto riuscissi ad andar via prima.» commentò lei tristemente.
«In verità ero riuscita a farlo.» continuai con calma.
«Cosa?» mi chiese piuttosto confusa.
Noi non ci sentivamo da oltre 5 mesi e la mia vita era cambiata molto negli ultimi 2, non ci sentivamo ma ci volevamo ancora bene.
«Sono andata via di casa 2 mesi fa.» le spiegai.
«E come ti sei ritrovata lì?» domandò lei lentamente.
«C'era la mia famiglia, le mie sorelle, c'era Lucia.» le dissi sentendo il nodo alla gola farsi più stretto.
Lucia era la più piccola, aveva 8 anni e la sua infanzia poteva ancora essere in un certo senso salvata.
«Non volevo che vivesse la sua vita come l'ho vissuta io.» continuai debolmente.
«Ma adesso la tua è rovinata.» ribatté lei con uno sguardo triste.
«Non fa nulla, tienimi d'occhio le ragazze.» replicai avvicinandomi a lei e abbracciandola.
«D'accordo...» disse lei stringendomi forte.
«E tu fai la brava eh.» commentai accarezzandole piano il viso non appena ci staccammo da quell'abbraccio.
«Sai che non posso promettertelo.» ribatté lei con quel sorriso tanto dolce e triste che mi fece male al cuore.

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