Capitolo 21

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Scusate per gli eventuali errori. 🥺
*********

Se ci fosse stato il più completo silenzio, e se avessi avuto un udito estremamente sensibile, avrei potuto sentire il mio cuore spezzarsi. Ma, essendo il mio, lo sentii ugualmente. L'attimo in cui si spezzò fu quello, decisamente quello. Quando Rosa mi passò davanti scherzando con quella ragazza. Sentii un forte dolore al petto, un vuoto allo stomaco, e la voglia incessante di gridare, ma ingoiai tutto. Dopo pochi istanti entrambe arrivarono alle scale, Rosa si fermò e la salutò con fare piuttosto allegro, e io sentii la rabbia ribollirmi dentro. Mi voltai lì, verso di lei e con passo svelto e deciso le andai in contro. Rosa si voltò proprio quando mi mossi, aveva ancora quello stupido sorriso sul volto, e la mia rabbia aumentò solo di più. Incrociammo gli sguardi per un secondo, non appena capii che mi aveva notata spostai il mio sguardo altrove, verso le scale, e continuai a camminare.
«A-Andrea...» mi chiamò lei subito dopo, ma io non mi fermai e continuai a muovermi. «Aspetta un attimo.» continuò non appena le passai accanto.
Io continuai a non risponderle e senza esitazione passai anche accanto a quella ragazza che rallentò il suo passo non appena sentì la voce di Rosa. Si voltò anche, la vidi, mi guardò passarle accanto ma io non la degnai di uno sguardo. Sentii i passi di Rosa e la sua voce dietro di me, scendeva velocemente le scale ma non mi raggiunse fino a quando non uscii dalla casa editrice. Mi prese per mano e mi fermò lì, proprio di fronte all'entrata.
«Andrea, fermati dai.» mi disse stringendo forte la sua mano attorno alla mia.
«Perché dovrei farlo, sei impegnata, no?» le chiesi piuttosto nervosa.
«Qual è il problema? Sei gelosa perché avevo da fare con un'altra ragazza?» mi chiese lei in tono confuso. «Sai che è il mio lavoro, ho a che fare con un sacco di persone, ma tu non puoi...»
«Non dirmi cosa posso o non posso fare, non sai nemmeno perché sono tanto incazzata.» la interruppi subito.
«Ah no? Allora dimmelo tu.» ribatté lei velocemente.
«Sei intelligente abbastanza da arrivarci da sola, pensaci.» dissi provando a liberare la mia mano dalla sua, ma la strinse solo più forte.
«Oh andiamo, non fare questi giochetti da etero con me.» commentò lei facendo un piccolo passo verso di me.
«Giochetti da etero?» ripetei con un sorriso nervoso. «Fino a pochi mesi fa anche tu eri etero, e adesso invece sbavi dietro una qualsiasi ragazza che ti passa davanti?»
«Sbavare? Ma di che diavolo stai parlando?» mi chiese lei, ma non ebbi il tempo di dire altro poiché un uomo si fermò accanto a noi.
A quell'ora il via vai di persone era solo in auto, le persone a piedi erano molto poche, e lui si notò facilmente.
«Rosa.» la chiamò l'uomo poco prima di fermarsi.
Sia io che lei ci voltammo verso di lui, Rosa lo fece prima di me e non appena lo vide liberò la presa sulla mia mano e fefe un passo indietro. Io non capivo chi fosse ma doveva essere una persona molto importante per lei. Era alto quanto Rosa, solo decisamente più gracilino, gli occhi erano uguali a quelli di Rosa ma quelli di lei erano più accesi, soprattutto in quel momento. Aveva i capelli sottili e bianchi, appiattiti sulla testa, due occhiali rotondi e dei baffetti spessi dello stesso colore dei capelli.
«Papà?!» domandò Rosa piuttosto sorpresa. «Cosa ci fai qui?»
«Beh sono venuto a vedere dove lavori.» commentò lui lentamente, come se fosse ovvio, ma a me non lo sembrava per niente.
Rosa lavorava in quel campo da almeno 15 anni, la casa editrice l'aprì 8 anni prima, e il fatto che suo padre fosse lì per la prima volta dopo tanto tempo era triste. Per un po' provai pena per lei, poi la mia rabbia si fece sentire e strinsi i denti. Non potevo lasciarmi impietosire solo per quel dettaglio.
«Oh... Mi fa davvero piacere che tu sia qui, ma non è il momento adatto.» gli spiegò lei, probabilmente con lo sguardo gli fece segno verso di me perché vidi l'uomo abbassare il suo sguardo sul mio viso.
«Salve signorina.» commentò lui porgendomi la sua mano destra. «Mi chiamo Paolo Santini e sono il padre di Rosa.» si presentò lui. «E tu sei...?» mi chiese non appena gli strinsi la mano.
Io ero in una palese difficoltà, se quell'uomo non conosceva il posto in cui lavorava sua figlia da 8 anni, allora come poteva conoscere me? Non sapevo cosa dirgli, mi sentivo impacciata, confusa, persino la mia rabbia era destabilizzata da quella situazione. Non sapeva se fosse il caso di restare ancora lì oppure no. Ma poi Rosa parlò, e la mia rabbia decise di rimanere.
«È una scrittrice, ha pubblicato con noi qualche romanzo. È m...» commentò lei lentamente, ma io la interruppi subito, ciò che stava dicendo non mi piaceva.
«E sono in un ritardo mostruoso.» mentii io per liberarmi da quella situazione, non mi sembrava proprio il caso di restare lì con loro.
Nessuno dei due disse nulla. Mi aspettavo una reazione da parte di Rosa, speravo in una sua opposizione, ma non fece alcun cenno. Allora mi mossi. Non dovetti spostarmi di molto, la mia moto era parcheggiata proprio lì di fronte, vicino al marciapiede. Salutai quell'uomo con fare piuttosto imbarazzato, non guardai nemmeno Rosa e salii sulla mia moto. Feci partire il motore e mi allontanai in fretta da lì. Il mio cervello era così pieno di notizie, di parole e sguardi che non riuscivo ad elaborare nulla. Avevo bisogno di pace, di tranquillità. Corsi subito verso casa mia e per strada fui fermata da degli stramaledetti vigili.
«Porca puttana...» sussurrai non appena vidi un posto di blocco in lontananza.
Il vigile non trovò nulla fuori posto, i documenti erano in regola, la patente sarebbe scaduta l'anno successivo e per una strana casualità rientravo nei limiti di velocità. L'unica nota dolente era che non indossavo il casco. Il vigile, un uomo che si credeva piuttosto simpatico, mi rise in faccia dicendo che mi sarebbe bastato indossare uno dei due caschi che avevo ben in vista sulla moto, piuttosto che tenerli legati. Il tipo decise di sanzionarmi con una multa di "solo" 85€.
«Dovrei toglierti anche dei punti dalla patente ma voglio essere buono.» commentò lui, ma se avesse voluto essere buono sul serio avrebbe evitato la multa e mi avrebbe lasciato andare.
Avrei voluto mandarlo a quel paese, la mia rabbia stava per esplodere, ma strinsi i denti e lo ringraziai della sua bontà d'animo. Se avessi parlato, se gli avessi risposto come avrei voluto, avrei rischiato di certo non solo dei punti in meno dalla patente ma anche un'eventuale fermo, altre cose da pagare insomma, e non mi sembrava il caso. Arrivai a casa con l'umore sotto i piedi, decisamente uno schifo rispetto a quando ne uscii un'oretta prima. Lasciai quella multa insieme ai due caschi sul mobiletto all'ingresso, poi mi spostai lentamente in camera da letto, ero mentalmente esausta. Avevo una voglia matta di sparire, di chiudermi nel mio mondo e lasciar perdere quello reale, ma non potevo farlo. Mi tolsi le scarpe, la giacca che misi prima di uscire, e mi lasciai andare sul letto ancora disfatto. Quella fu una pessima idea. Su quel letto, la sera prima, io, Rosa e Giulia facemmo sesso e le lenzuola sapevano ancora di loro. Il profumo di Rosa era quello più forte, si sentiva bene, e io fui subito decisa a tirarmi su. Mi mossi in fretta, non avevo voglia di pensare a lei, e così mi spostai nel mio piccolo salottino. Lì c'era Ruby distesa su una poltrona, si stiracchiò non appena mi vide, ma non appena sprofondai sul divano lei mi raggiunse. Io mi distesi a pancia in giù e lei ne approfittò per mettersi comoda sopra alla mia schiena.
«Lieta che tu stia comoda.» commentai lasciandola distendersi su di me.
Avevo il braccio destro che pendeva oltre il lato del divano, ad un certo punto la mia mano toccò il pavimento, ma non mi importava. Volevo solo chiudermi da quel mondo e per un po' ci riuscii. Lentamente mi addormentai, in fondo quella notte non dormii moltissimo, ma nemmeno quella mattina volevano farmi riposare. Mi addormentai una ventina di minuti dopo essermi buttata sul divano, e dopo altri quaranta minuti fui svegliata dal mio cellulare che suonava. Non appena mi svegliai mi sentii piuttosto confusa, avevo dormito troppo poco per il mio cervello, ma sentii subito un peso sulla parte bassa della schiena. A quanto pareva, Ruby si era raggomitolata proprio addosso a me. Io provai a non svegliarla. Nonostante fosse in una posizione scomoda (per me), e io non facevo parte del mobilio, non feci nessun movimento brusco. Il cellulare lo avevo nella tasca destra dei jeans, fortunatamente proprio il lato in cui avevo il braccio libero. Mi mossi lentamente, con calma, se i miei calcoli erano giusti al telefono era Rosa, e io non avevo alcuna intenzione di parlarle.  Mi ci volle qualche istante per riuscire a prendere il cellulare, e quando ci riuscii mi voltai col viso verso destra e guardai lo schermo. Avevo ragione, era Rosa. Non ci persi nemmeno il tempo, staccai la telefonata e basta. Lasciai il cellulare a terra, sul pavimento vicino al mio braccio e mi voltai verso sinistra, sempre e solo col viso, muovere altro mi risultava impossibile. Purtroppo per me, però, Rosa era insistente e mi richiamò. Io allora mi voltai di nuovo col viso, il collo iniziava a darmi problemi, riguardai lo schermo e staccai di nuovo la chiamata. Facemmo quel giochetto altre tre volte, escluse quelle due, e alla fine fu lei ad arrendersi. O almeno così credevo. Io tornai a rilassarmi, tornai a cercare di addormentarmi, ma una decina di minuti dopo mi arrivò un'altra telefonata.
«Giuro che se è ancora lei le rispondo solo per mandarla a fanculo.» pensai voltandomi di nuovo verso il cellulare, ma non era lei.
Giulia, era lei che mi stava chiamando. Intuii già il perché della sua telefonata, avrei potuto evitarla ma non mi andava di farlo senza sapere effettivamente cosa voleva.
«Giulia, ciao.» le dissi rispondendo a quella chiamata.
«Ciao Andrea.» mi salutò lei lentamente, già nel suo tono si intuiva che qualcosa non andava. «Senti, ti chiamo perché Rosa mi ha detto che qualcosa non va, che tu non le rispondi.»
Ecco, appunto. Rosa era furba, aveva mandato avanti Giulia. Quella povera, innocente e dolce Giulia. E io la odiavo per questo.
«Si, ehm... Non mi va di parlare con lei.» dissi semplicemente.
«Perché?» mi chiese velocemente.
«Non ti ha detto altro?» domandai io cercando di capire cosa sapesse.
«Mi ha detto che ti sei ingelosita perché l'hai vista insieme a Giovanna...» mi spiegò lei, e intuii che Giovanna fosse la ragazza che era appunto con Rosa quella mattina.
«Giulia...» la interruppi io. «Mi sembra evidente che Rosa non ha capito un cazzo.» dissi lentamente. «Quindi dille di pensarci ancora un po', e magari più attentamente.»
«Perché non mi dici tu cos'è successo?» commentò lei.
«Perché se lo facessi poi tu lo diresti a lei, e lei non capirebbe mai perché la trovo tanto stronza.» le spiegai in tono nervoso.
«Non lo pensi davvero.» contestò lei piuttosto convinta.
«E invece si, oggi è stata una gigantesca stronza, e io non voglio parlare né con lei né tantomeno di lei.» ribattei lentamente.
«Lo capisco, ma tu mi hai detto che se c'è un problema di qualche tipo dobbiamo parlarne. Questo non vale anche per te?» replicò lei mettendomi letteralmente all'angolo.
Per quel motivo non mi andava di parlare di Rosa con Giulia. A lei avevo fatto dei discorsi così belli, quella mattina, che comportarmi in quel modo mi faceva apparire immatura e incoerente ai suoi occhi.
«Questo vale anche per me, certo, ma con Rosa è diverso.» dissi provando a liberarmi da quella situazione.
«Per quale motivo?» continuò lei insistentemente.
Voleva farmi parlare, era ovvio, voleva farmi sfogare perlomeno con lei, ma non ci riuscivo.
«Perché Rosa non capisce.» dissi.
«Proprio per questo dovresti parlarle, spiegale cosa c'è che non va.» mi spronò lei, ma era inutile.
«Non mi va.» commentai in tono fermo.
«Dai Andrea...» replicò velocemente.
«Giulia, lasciami perdere.» dissi chiudendo la telefonata e poggiando di nuovo il telefono sul pavimento.
Non mi piaceva trattarla in quel modo, non mi piaceva ignorarla, ma in quel momento dovetti farlo. Non mi andava di parlare di Rosa, né di spiegare a Giulia perché ce l'avevo con lei, mi sembrava così ovvio. Subito dopo aver chiuso la telefonata mi squillò di nuovo il telefono, ero esausta, non sopportavo più nulla. Era di nuovo Giulia, vidi solo lo schermo e poi staccai la chiamata.
«Ti prego, smettila...» sussurrai affondando il viso contro il cuscino del divano.
Giulia sembrò ascoltarmi. Non mi chiamò più come fece Rosa, infinite volte, ma voleva ugualmente parlarmi. All'improvviso sentii un suono diverso rispetto a quello che sentii fino a quel momento, era comunque una suoneria del mio telefono, ma decisamente più breve rispetto alle chiamate. Lentamente mi voltai di nuovo verso il cellulare, il telefono aveva già smesso di suonare, e dopo aver sbloccato lo schermo notai che era comunque Giulia, ma mi aveva mandato un messaggio.
«Ci vediamo comunque stasera?» mi chiese.
Sapevo già cosa aveva in mente, ricordavo che glielo avevo detto quella mattina ma non mi andava di vederla se aveva in mente di discutere di ciò che successe.
«Non lo so...» le scrissi con non poche difficoltà.
Avevo appunto solo il braccio destro libero, il mio cellulare era di poco più grande della mia mano e tenerlo fermo scrivendo col pollice mi sembrava complicato.
«Andiamo, me lo avevi promesso.» ribatté lei più velocemente, aveva sicuramente entrambe le mani libere.
«Se evitiamo di parlare di Rosa va bene.» dissi con più tranquillità, il mio problema era solo quello.
«Non voglio parlare di Rosa, se non vuoi, voglio solo passare una serata tranquilla con te.» commentò lei, e io non sapevo se crederle.
«Sei sicura?» le chiesi.
«È uscita da un po' una nuova stagione di una serie tv che seguo, e vorrei vederla con te.» mi spiegò lei.
«Va bene, provo a crederti...» le scrissi io.
«Brava, vieni tu da me questa sera?» propose lei.
«Va bene, facciamo per le 19:00?» domandai.
«Perfetto!» mi scrisse lei con un cuore rosso.
Io sorrisi e tornai a mollare il telefono a terra, mi rilassai e mi addormentai sul serio. Rimasi su quel divano per buona parte della giornata, tutta la mattinata addormentata con Ruby sulla schiena. Poi quando arrivò l'ora di uscire, e andare a casa di Giulia, mi feci una lunga doccia calda, mi vestii e uscii di casa. Mi avviai verso casa sua in moto, quella volta indossai il mio casco, e una decina di minuti dopo ero su da lei.
«Ehi.» mi salutò non appena incrociò il mio sguardo davanti alla sua porta.
«Ciao.» le dissi io facendole un piccolo sorriso.
Avevo dimenticato tutto il nervosismo causato da Rosa, tutta la gelosia provata nell'istante in cui la vidi, ma quella tranquillità non durò molto. Entrai in casa sua, con Giulia che mi faceva strada nel suo salotto, e nell'aria si sentiva un buon odore di pop corn.
«Ti sei preparata per bene.» commentai io sorridendo, ma la mia gioia si bloccò lì.
«Giulia, chi era alla...» disse la voce di Rosa facendo capolino dal corridoio.
Fu in quel momento che ci rivedemmo, io e Rosa, e fu tutto a causa di Giulia. Aveva pianificato tutto. Probabilmente nemmeno Rosa voleva parlarmi, probabilmente anche lei credeva che fossi io a doverle dare delle scuse, e Giulia volle intervenire. In quel momento mi tornò su tutta la rabbia che provai quella mattina per Rosa, e dal suo sguardo intuii che per lei fu lo stesso, ma entrambe ci concentrammo su altro.
«Che cos'è questa storia?» chiesi a Giulia.
«Tu sapevi che sarebbe venuta anche lei qui?» le domandò Rosa quasi nello stesso momento, entrambe avevamo molto da discutere con Giulia, ma lei non sembrò interessarsi alla situazione.
«Avevate bisogno di vedervi, avete bisogno di discutere di questa situazione.» disse andando a sedersi tranquillamente sul suo divano, probabilmente pensava che l'avremmo seguita, ma si sbagliava di grosso.
«Non c'è nulla di cui discutere, lei è una ragazzina infantile, non c'è altro da aggiungere.» commentò Rosa velocemente.
«Io sarei una ragazzina infantile?!» ribattei nervosamente. «Ma se sei tu quella che si offende quando le persone non fanno quello che vuoi.»
«Io non mi offendo affatto.» replicò lei velocemente.
«Si, certo, come no.» commentai. «Senti Giulia, non so quale fosse il tuo piano ma non ho intenzione di scoprirlo, me ne vado.» dissi voltandomi verso l'ingresso e facendo un passo verso di esso.
«No dai, Andrea, resta qui.» disse Giulia, ma stranamente fu Rosa a convincermi a restare.
«Si, brava, scappa. Tanto è l'unica cosa che sai fare.» commentò lei, e fu in quel momento che mi bloccai.
Lei sapeva come farmi cedere, come farmi incazzare al punto tale da far uscire tutto ciò che avevo dentro. Lentamente mi voltai verso di lei, incrociai il suo sguardo e lì iniziò il nostro breve scontro.
«Io so fare tante cose, ma sopportare te non è tra queste.» dissi lentamente.
«Povera piccola, vuoi un abbraccio?» commentò lei in tono piuttosto stronzo.
«Non voglio più niente da te.» ribattei.
«Basta, smettetela.» si intromise Giulia. «Si può sapere cosa diavolo è successo stamattina?»
«Ma niente, è lei che è pazza.» disse Rosa tranquillamente.
«Io?! Io sarei pazza?!» le chiesi in tono nervoso, poi però ci pensai un po' e mi calmai. «Sai che c'è? Hai ragione. Si, sono pazza. Sono pazza perché sono venuta fino al tuo studio solo per salutarti, per chiederti un bacio e dirti che non dovevi andar via senza salutarmi.» commentai in tono nervoso, e mentre le esponevo tutta la mia rabbia vidi il suo sguardo cambiare, divenne meno nervosa e più confusa, anche un po' imbarazzata.
«Avresti potuto farlo.» disse in tono incerto.
«No, non potevo, tu eri impegnata.» ribattei io.
«Allora ammetti che sei gelosa di quella ragazza?» mi chiese Rosa con calma.
In quel momento non lo notai, ma le parole che usò avrebbero dovuto farmi capire che a lei non interessava "quella ragazza". Usò quelle determinate parole, non la chiamò per nome come fece Giulia. Probabilmente lo fece solo perché non la conosceva bene, o voleva rendere chiaro a me di chi stava parlando, ma solo successivamente capii che a lei non interessava la ragazza ma era affascinata dalla sua storia. Era facilmente intuibile, Rosa aveva una buona memoria per i nomi, ma in quel momento non ci pensai.
«Io non sono gelosa di nessuno, sono incazzata con te perché quando sei uscita dal tuo studio mi sei passata davanti senza degnarmi di uno sguardo. Nemmeno ti sei accorta che ero lì.» le dissi tutto d'un fiato e con un nodo alla gola.
In quel momento lessi nel suo sguardo tutto il dispiacere che provava. Aveva il viso rosso e gli occhi lucidi, si sentiva in colpa, era evidente.
«Andrea, io...» provò a dire, ma io non avevo voglia di discuterne, mi sentivo patetica.
«N-no, non devi dire niente. Non c'è niente che tu possa dire.» dissi voltandomi e allontanandomi verso l'uscita, ma non ebbi il tempo di aprire quella porta che subito Rosa mi fermò.
Lei era poco più alta di me, e leggermente più veloce. Portò le sue braccia attorno al mio corpo, sulla parte alta del busto, poggiò la sua testa sulla mia e mi strinse a sé.
«Mi dispiace tanto, piccola.» sussurrò lei stampandomi un bacio sulla testa.
«Lasciami andare.» le chiesi, ma non volevo realmente che lo facesse.
«No.» continuò lei con quel tono basso stringendomi più forte contro il suo corpo.
Lentamente portai una mia mano su un suo braccio che teneva poco sopra al mio petto, volevo toccarla, volevo sentirla, ma lei aveva un'altra idea. Mi lasciò andare all'improvviso, e con la stessa velocità mi fece voltare verso di sé spingendomi con le spalle contro la porta. Il suo corpo era vicinissimo al mio, la punta del suo naso sfiorava il mio, e i suoi occhi mi guardavano intensamente. Le sue mani mi accarezzavano dolcemente il viso, quasi avesse paura di farmi male, di farmi altro male.
«Mi dispiace.» ripeté lei, durante quella serata si scusò spesso, anche solo con i gesti.
«Non fa nulla.» dissi io, ma non lo credevo fino in fondo.
Quella situazione mi fece davvero molto male, mi sentii rimpiazzata da Rosa, e non lavorativamente parlando, ma peggio. In campo sentimentale. La nostra storia a tre prevedeva che nessuna di noi fosse gelosa dell'altra, ma al di fuori era facile che qualcuno ci desse fastidio.
«Non è vero che non fa nulla. Sono stata una stupida...» ribatté lei con gli occhi particolarmente lucidi, ma io allungai una mia mano verso il suo viso e l'accarezzai.
«Eri troppo concentrata per pensare ad altro.» dissi facendole un piccolo sorriso. «Il lavoro ti prende molto.»
«Mi sa di si, ma non è una giustificazione. Tu eri lì e io non ti ho proprio vista... Mi sento una stupida.» commentò con un sorriso triste.
«Oh in questo caso direi che tu lo sia.» concordai con lei in tono decisamente ironico, ma lei mi guardò ugualmente con fare confuso senza capire cosa volessi dire. «Potresti chiuderla qui baciandomi, e invece preferisci dire ovvietà.»
«Mi stai provocando, ragazzina?» mi chiese cambiando decisamente sguardo.
Non era più confusa, non era più dispiaciuta, anzi in quel momento mi sorrise anche. Era divertita, quasi intrigata da quel mio cambio di tono. Il suo corpo lo sentii premere forte contro il mio, il suo viso era sempre lì ma le sue labbra toccarono per un secondo le mie.
«È questo che vuoi?» mi chiese con quel suo bel sorriso. «Vuoi che ti baci?» continuò lei, ma non le diedi il tempo di dire altro.
Ricambiai quel suo sorriso e fui io a fare il passo successivo, fui io a baciare lei. Feci incontrare le nostre bocche in un bacio piuttosto dolce, veloce e intenso. Mi staccai poco dopo, continuando a sorriderle. Era bella, le sue labbra erano belle.
«Avrei voluto che mi baciassi tu ma, insomma, se aspettavo te...» commentai io prendendola decisamente in giro e questo a lei non piacque molto.
Si avvinghiò alle mie labbra senza lasciarmi finire la frase. Mi baciò intensamente per lunghi ed eccitanti minuti. Le sue labbra premevano forti contro le mie, mi mordeva anche, sentivo i suoi denti mordere le mie labbra e la sua lingua muoversi allo stesso ritmo contro la mia. Rosa aveva la capacità di farmi eccitare con un solo bacio, e quello fu uno di quelli. Quando si staccò sentivo le labbra dolenti, ma ne volevo ancora.
«Non provocarmi.» sussurrò con uno sguardo intenso.
«Se questo è il risultato direi che ti provocherò più spesso.» ribattei facendole l'occhiolino.
Lei mi sorrise, io feci lo stesso, e all'improvviso ci ricordammo che lì non eravamo sole. Non potevamo continuare a baciarci, a pensare a noi, quando poi c'era Giulia che aveva insistito tanto per farci rivedere. Ecco, appunto, Giulia... Quando ci voltammo, io e Rosa, praticamente nello stesso momento, vedemmo Giulia piuttosto commossa. Era seduta sul suo divano, sul tavolino aveva poggiato i pop corn, due birre e una pepsi con tre bicchieri di vetro. A quanto pareva, mentre noi ci baciavamo, lei aveva preparato tutto capendo che la serata che aveva programmato poteva continuare. Ma lei in lacrime non era nei programmi di nessuno, tantomeno in quelli miei e di Rosa.
«Ehi, piccola...» disse quest'ultima facendo un passo indietro e voltandosi completamente verso di lei.
«Che cos'hai?» domandai io confusa quanto Rosa, e lentamente insieme a lei mi avvicinai a Giulia.
«Non è niente.» commentò lei asciugandosi il viso.
«Non mi sembra "niente".» commentai io sedendomi al suo fianco e portandole un braccio attorno alle spalle.
«Non hai imparato nulla da ciò che è appena successo a queste due teste di cazzo?» le chiese Rosa sedendosi al lato opposto.
«È proprio questo il punto.» disse Giulia voltandosi verso di lei.
«Non capisco.» ribatté Rosa.
«Neanche io.» concordai.
«È che ho passato tutta la giornata a pensare a voi due, a cosa fare per farvi parlare. Sapevo che non era successo nulla di eccessivamente grave.» ci spiegò lei lentamente. «Ma tu non volevi parlarne...» disse rivolgendosi a me. «E tu non sapevi di preciso cosa aveva fatto scattare Andrea.» continuò voltandosi verso Rosa. «Io mi sentivo nel mezzo, mi sentivo in dovere di fare qualcosa.»
«Tu non eri costretta a fare nulla.» dissi con calma.
«Già, eravamo noi che dovevamo...» concordò Rosa, ma Giulia aveva da ridire.
«No.» la interruppe. «In questa storia ci siamo tutte e tre, e io ho lo stesso dovere di fare qualsiasi cosa per farvi stare bene, così come lo avete voi.»
«Anche se noi abbiamo fatto un po' schifo.» commentò Rosa, ma pensandoci bene Giulia aveva capito meglio di noi come funzionava quella situazione, esattamente come una qualsiasi storia monogama.
C'era chi si ingelosiva, chi si incazzava anche per niente, chi fraintendeva e si allontanava dall'altra persona. E poi, nella migliore delle ipotesi, dall'altro lato c'era qualcuno a cui non importava degli scazzi dell'altro, che gli voleva talmente bene da andare oltre quel suo lato a volte immaturo. Ecco, per nostra fortuna c'era Giulia. Lei, così dolce e fragile, era la colla che ci tenne insieme. Quella volta toccò a lei ma, a turno, ognuna di noi provò quella sensazione. La sensazione di forza, di stringere i pugni e prendersi carico di tutto perché volevamo davvero che quella storia andasse avanti nonostante le insicurezze delle presenti e le incomprensioni.

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