In un certo senso per un po' dormimmo. Non ricordavo quando ci addormentammo, né cosa successe prima, ma ricordavo le mani di Giulia e i morsi di Rosa. Li sentivo ancora sulla pelle, ricordavo ancora quelle sensazioni non appena mi svegliai. Quando aprii gli occhi mi sentii un attimo in black out, il mio cervello non connetteva e io rimasi per qualche minuto a fissare il soffitto. La luce che entrava nella stanza era debole, fioca, le tapparelle erano abbassate abbastanza da non permettere nemmeno al sole del pomeriggio di entrare, quindi sembravano ancora le 6 del mattino. Lentamente il mio cervello iniziò a riavviarsi e tutti i miei sensi si fecero sentire. Iniziarono le mie orecchie, velocemente si stapparono e sentii subito il respiro calmo e profondo di Rosa e Giulia. Poi mi accorsi di avere qualcosa poggiato sul lato destro, sul mio braccio e vicinissimo al mio petto. Abbassai con calma il mio sguardo verso ciò che avevo lì e notai i capelli scuri di Giulia, non vidi il suo viso ma sentii il suo respiro caldo contro la mia pelle. D'istinto sorrisi, la trovavo dolce poggiata lì contro di me. Poi lentamente mi voltai verso sinistra, lì c'era Rosa. Lei era ugualmente poggiata contro di me, ma in modo differente, decisamente differente. La prima cosa che vidi del suo corpo fu una sua mano, quando spostai il mio sguardo da Giulia a Rosa vidi la mano di quest'ultima poggiata su un mio seno. Sorrisi di nuovo, ma in quel caso il mio sorriso fu più divertito, Rosa non era etero proprio per niente! Quando il mio sguardo si posò completamente sul suo corpo rimasi incantata. Giulia era nascosta per metà da un lenzuolo, e anche se fosse stata scoperta non avrei visto nulla poiché era letteralmente rannicchiata contro il mio corpo, Rosa no. Rosa era distesa a pancia in giù, il suo braccio libero insieme al mio sinistro erano sotto la sua testa, e infatti sentivo il mio braccio un po' indolenzito. Il suo corpo era magnificamente scoperto, la sua schiena, il suo sedere e le sue gambe erano in bella vista, e per qualche istante mi incantai a guardare la sua pelle. Ricordavo bene la sua schiena, ricordavo bene ciò che successe quella notte... Ci stetti bene addosso a lei, a contatto con la sua pelle, con le mie mani sul davanti del suo corpo e la mia bocca a mordere e baciare le sue spalle. Fu una notte lunga, ricordavo tanto, le sensazioni soprattutto, ma sentivo che comunque alcuni dettagli mi mancavano. Per la parte finale soprattutto, in quel caso ricordavo poco, ma avrei chiesto a loro se ricordavano qualcosa.
«Tua madre non ti ha detto che non si guarda così una persona?» mi chiese la voce di Rosa all'improvviso.
Io ero immersa nei miei pensieri, nei ricordi di quella notte, e non mi accorsi nemmeno di lei che si era svegliata. Quando sentii la sua voce mi prese un colpo, ma feci finta di nulla. Portai il mio sguardo verso il suo viso e le sorrisi.
«La tua invece non ti ha detto che non si toccano le tette degli altri senza permesso?» ribattei facendole segno con lo sguardo verso quella sua mano.
Lei si voltò con calma, abbassò il suo sguardo sul mio petto e trattenne una risata. Poi lentamente e contemporaneamente, sia il suo sguardo che la sua mano si spostarono verso l'alto, verso il mio viso. Il suo tocco fu piuttosto delicato, il suo sguardo era bello, dolce. Probabilmente fu in quel momento che mi innamorai di Rosa. Inizialmente la mia era solo una cotta passeggera, andava e veniva quando le pareva. Un giorno l'amavo e quello dopo la odiavo, ma avevamo un rapporto complicato e il mio cuore cercava di mantenere le distanze. In quel momento non potei fare nulla contro di lei, contro il suo sguardo e la sua dolcezza. In quell'istante mi dimenticai persino di Giulia che era accanto a noi, in quell'istante la mia più totale attenzione fu verso Rosa. Lei sfiorò piano la mia pelle, continuò a sorridermi e lentamente si tirò su con l'altro braccio allungandosi poi verso il mio viso. Fece incontrare le nostre bocche, mi baciò dolcemente, senza spingersi troppo oltre. Sentii la sua lingua ma era lenta, dolce anch'ella.
«Lo sai che mi piacciono le tue tette.» commentò lei in tono divertito.
«Oh ma davvero? E tu saresti etero?» le chiesi ricambiando il suo tono.
«Certo che si.» rispose lei in quello stesso modo, forse più provocarorio, ma non pensavo che ci credesse sul serio.
Era grande, matura e intelligente abbastanza da capire che non era per niente etero. Forse lo sapeva già, forse diceva ad altri che lo era solo perché era più facile, non lo sapevo. Magari utilizzò la scusa del vino per far succedere esattamente ciò che successe, magari voleva togliersi qualche dubbio, qualche sfizio. Non sapevo nemmeno quello. L'unica cosa che sapevo era che ciò che fece lei non era da donna etero, e a me piaceva da matti.
«Quello che hai fatto stanotte avrebbe disgustato una donna etero.» ribattei in tono più serio, ma senza mai smettere di sorridere.
«Magari una donna che si scandalizza facilmente.» commentò lei con calma.
«Oh andiamo, sul serio vuoi continuare a reputarti etero?» le chiesi con un sorriso ironico.
«Perché? A te cosa cambia?» replicò lei facendomi l'occhiolino.
«Niente, anzi puoi continuare a dire di essere in qualsiasi modo tu voglia, basta che non smetterai di scopare con me.» risposi io ricambiando quel suo occhiolino.
«Oh, delicata la ragazzina, eh?» disse sorridendo. «Tranquilla, dopo oggi non smetterò di scopare con te.» aggiunse stampandomi un dolce bacio sulle labbra.
«Ah si? Dopo oggi? Quindi prima avevi intenzione di smettere nonostante la tua proposta della settimana scorsa?» le chiesi piuttosto confusa, e anche un po' delusa, a me piaceva la sua idea.
«Non esattamente, diciamo che ci stavo ripensando. Era troppo per te.» mi spiegò con un sorriso divertito.
«Era troppo la proposta, o tu eri troppo per me?» continuai in tono ironico, sapevo già cosa avrebbe detto.
«Io, ovviamente!» mi disse ridendo. «Sono effettivamente troppo per te, potresti avere un infarto ogni volta che mi vedi nuda.»
«Ma sentila...» replicai ridendo. «Tu sei troppo sicura di te.»
«Eh, picceré... Quando una cosa è bella, è bella e basta.» commentò lei con fare altezzoso, ma il mio cuore perse un battito sentendola chiamarmi in quel modo, mi piaceva quando non si tratteneva e parlava in dialetto.
«Tu ti sei fottuta il cervello.» contestai, senza smettere di sorridere però.
«Ah si? Non mi sono fottuta te?» domandò lei con un sorrisetto scemo che mi fece perdere quel poco di serietà che avevo.
Mi scappò da ridere. Quella volta fu la prima in cui sentivo di star davvero bene con Rosa, anche molto più di quella prima volta in cui facemmo sesso, quella seconda volta ci avvicinò di più. Rosa rise con me, nemmeno lei riuscì a trattenere le risate per quella stupida cazzata che disse. Ridere con lei era bello, sentivo il cuore esplodermi nel petto, peccato che quella felicità non durò molto. Giulia si svegliò poco dopo, purtroppo non riuscimmo a contenere il volume delle nostre voci e lei ci sentì. Quando si svegliò lo fece con calma, la sentii muoversi accanto a me e subito io e Rosa ci zittimmo. Ci voltammo verso di lei e aspettammo che tirasse in su lo sguardo, ma ci mise un po', qualche minuto. Sia io che Rosa sapevamo che era sveglia, lo sentivamo, ma Giulia non sembrava volersi tirare su. Non capivo cosa avesse ma la situazione mi sembrava strana.
«Ehi Giulia, sei sveglia?» le chiesi io, ma non ottenni alcuna risposta.
Allora Rosa si mosse verso di lei, scivolò poco più giù e si fermò solo quando il suo viso fu ben visibile.
«Giulia, che cos'hai?» domandò Rosa un po' preoccupata.
In quel momento notai la testa di Giulia muoversi leggermente verso l'alto, verso il viso di Rosa probabilmente, ma ciò che fece dopo fu letteralmente strano. Si tirò su velocemente, ancora avvolta in quel lenzuolo bianco, e scappò nel bagno senza dirci nulla. Chiuse la porta dietro di sé e non ci permise nemmeno di seguirla poiché si chiuse dentro con la chiave.
«Che succede?» chiesi a Rosa tirandomi su e mettendomi seduta.
«Non lo so, aveva gli occhi lucidi.» mi spiegò lei che sembrava preoccupata quanto me.
Lentamente ci tirammo su, ci mettemmo addosso perlomeno l'intimo e ci fermammo accanto alla porta del bagno.
«Giulia...» disse Rosa bussando alla porta. «Ci dici che succede?»
«Ti senti male?» le chiesi io ricordandomi che quella notte bevve molto più di noi.
«N-no, sto bene.» rispose lei in tono non molto convinto.
«Allora puoi dirci che cos'hai? Perché sei scappata lì dentro?» continuai io decisamente confusa.
«Non è niente.» rispose lei che dal volume della voce sembrava essere poggiata contro la porta.
«Andiamo Giulia, stanotte abbiamo fatto cose ben peggiori rispetto a qualsiasi cosa tu stia pensando.» commentò Rosa in tono ironico ma per un po' Giulia non disse nulla.
«Giulia...?» la chiamai con calma.
«È proprio questo il problema.» disse lentamente.
«In che senso?» domandai io senza capire.
«Ti vergogni di ciò che abbiamo fatto?» ipotizzò Rosa.
«N-no, non è questo... Cioè, non lo so...» disse lei piuttosto nervosa. «Possiamo, per piacere, evitare di parlarne?»
«Cosa?» chiesi velocemente.
«Possiamo fingere che non sia mai successo?» propose lei.
Si sentiva che quella cosa la metteva molto a disagio, era palese, ma io non volevo far finta di nulla. Finalmente il rapporto con Rosa era cambiato, finalmente mi sentivo bene ad averla intorno, e non potevo ignorare ciò che ci fece avvicinare.
«Perché ce lo chiedi?» domandai io con calma.
«Perché ero ubriaca, e adesso mi sento una stupida.» rispose lei in tono titubante.
«Non sei stupida, Giulia.» le dissi. «Ti prego, esci fuori, così ne parliamo.»
«No, non voglio parlarne, né ora né in futuro.» continuò lei.
«Ma non possiamo ignorare tutto quanto.» ribattei provando a farla ragionare.
«Vi prego...» continuò lei col tono rotto dal pianto.
Stava piangendo, era evidente, lo capii io e lo sentì anche Rosa. Entrambe ci guardammo in faccia piuttosto confuse, a entrambe quella notte servì per far crollare il muro che ci divideva, ma a Giulia fece l'effetto opposto. Io odiavo quella sensazione, odiavo dover nascondere ciò che provavo, non lo feci mai, nemmeno quando mi presi la prima cotta per una ragazzina della mia scuola. Ricordavo che anche in quel caso mi feci avanti io. Fui piuttosto dolce, le regalai dei dolcetti che sapevo le piacevano, e le confessai ciò che provavo. Avevo 11 anni, avevo iniziato da poco le scuole medie, e quella ragazzina mi colpì subito. Io non volevo farmela scappare, fondamentalmente non sapevo cosa avrei potuto fare con lei, ero troppo piccola, ma sapevo che era nella mia testa costantemente, la pensavo ogni giorno e quando la vedevo mi batteva forte il cuore. Non mi chiesi come mai, non mi domandai perché guardavo proprio lei piuttosto che un maschio. In quel momento sapevo poco del mondo Queer, ma non mi feci alcun problema. Ero piccola, sì, ma i problemi facevano parte del mondo degli adulti, non dei bambini. Io ero ancora piuttosto innocente, nulla di ciò che facevo era ragionato, mi veniva dal cuore. E quello fu il gesto più puro e sincero che conoscevo, fare qualcosa per qualcuno col cuore, non con la mente. La bambina rimase felicemente sorpresa quando le diedi quei cioccolatini, ne mangiò subito un paio e me ne diede uno. Ascoltò con calma il mio discorso, ciò che avevo da dirle, e quando finii mi fece un gran bel sorriso. Lei mentalmente era più piccola di me, io avevo già avuto piccole cotte per qualcuno, quella per lei fu la più forte, quella che riuscii ad esprimere a parole, ma lei no. Lei non aveva mai avuto una cotta, non sapeva bene cosa significava ma disse che le piacevo anche io. In quel momento non mi chiesi se le piacevo perché le avevo dato dei cioccolatini, perché le avevo detto che per me era bella o in quale senso lo intendesse, ma a me andava bene così. Le diedi un bacio su una guancia e per le ultime 4 ore di scuola restammo sedute vicino. Fu una bella giornata per me, ridemmo spesso cercando di evitare di farci sentire dagli insegnanti, le disegnavo cuori ovunque, e quando ci dividemmo non vedevo già l'ora di tornare a scuola il giorno dopo, ma non andò come avevo sognato. Il mattino seguente l'aspettai davanti scuola con il peluche di un gattino bianco in mano, chiunque mi passava accanto mi guardava, ma io non ci feci caso, non ci pensai in quel momento. Non mi importava. Nella mia testa avevo solo il sorriso di quella bambina, e speravo di poterlo rivedere grazie a quel peluche. Non appena la vidi tra la folla, il mio cuore iniziò a palpitare, sentivo la gola secca e le mani sudate. Rimasi ferma davanti al cancello della scuola, l'unico punto per entrare a piedi nel cortile dell'edificio, e l'aspettai con impazienza. Quando si avvicinò abbastanza notai che aveva uno strano sguardo, sembrava triste. Inizialmente non lo notai ma sua madre era accanto a lei e la teneva per mano. Lei provò a fermarsi non appena mi vide, ma sua madre la trascinò via e mi passarono accanto. Io allora mi voltai e la chiamai, lei si voltò e io le porsi quel gattino. Per un attimo la vidi sorridere di nuovo, ma poi sua madre si mise in mezzo e rovinò tutto. Mi urlò contro, mi disse che dovevo lasciare in pace sua figlia, che non era interessata a ricevere le mie "porcherie" e che non dovevo più avvicinarmi a lei. Io ero terrorizzata da quella donna, avevo una paura fottuta degli adulti che urlavano, ma provai ugualmente a chiederle perché si comportava in quel modo, che cosa avevo fatto di sbagliato. Fu un discorso difficile, mi tremavano la voce e le gambe, e quel giorno imparai cos'era l'imbarazzo. Mi ci sentii per tutto il tempo. Ero in mezzo a quei ragazzini, quegli adulti, mentre una donna che non era mia madre mi stava sgridando. La frase che mi fece più male fu quella che mi disse quando provai a dare quel peluche a sua figlia. "Noi non vogliamo niente da una sporca lesbica". La ricordavo ancora, ricordavo quella sensazione di confusione mista a paura e imbarazzo, ricordavo che innocentemente pensai di non essere sporca, che mia madre mi sgridava spesso quando le dicevo che non mi andava di fare il bagno, ma non sapevo cosa intendeva quella donna. Ingenuamente non sapevo nemmeno cosa intendesse con "lesbica", avevo sentito spesso la parola "gay", ma lesbica mai. Non mi chiesi cosa fosse, ma mi sentii ugualmente in difetto. Come ultima cosa, perché quella donna doveva metterci il carico da 90 sopra, mi strappò il gattino dalle mani e lo gettò a terra nella pozzanghera più vicina. In quel momento smisi di parlare, smisi di guardarle, guardai il mio gattino immerso per metà in quell'acqua sporca. Quel peluche era il mio preferito, lo tenevo ancora con me su una mensola del mio studio, mi ricordava tante cose. Quando quella donna andò via, molti ragazzini iniziarono a prendermi in giro, mi chiamarono "sporca lesbica" ridendo nonostante nemmeno loro sapessero cosa significava. Alcuni genitori trascinarono dentro i loro figli, nessuno si fermò pensando a me, nessuno disse nulla di gentile né provò a difendermi dall'attacco di quella donna. Nessuno fece assolutamente nulla per me, e io mi sentii dannatamente male. Le lacrime iniziarono a scorrere sul mio viso ma non volevo che quei ragazzini mi vedessero, così mi piegai verso il mio peluche, lo presi e corsi via lontano dalla scuola. Casa mia era ad un chilometro da lì, ogni mattina andavo a scuola da sola e tornavo da sola, mia madre mi aveva insegnato ad essere responsabile fin da piccola, ma il mio lato istintivo prendeva il sopravvento sul cervello quando ero nervosa. Lo faceva sempre, anche quando ero piccola. Corsi velocemente lontano da quell'edificio, mi avviai verso casa, ma per arrivarci avrei dovuto oltrepassare una strada che aveva quattro corsie, due da un lato e due dall'altro. Non ci pensai molto, non avevo voglia di fermarmi, dentro di me avevo così tanta rabbia che potevo smaltirla solo correndo. Quando arrivai sul lato del marciapiede da cui dovevo oltrepassare tutta la strada, sentii una voce femminile chiamarmi. Non disse il mio nome, io non conoscevo lei e lei non conosceva me, mi chiamò "ragazzina" e io non pensai che ce l'avesse con me. Continuai a correre fino a quando non sentii un forte impatto e mi mancò la terra sotto i piedi. La persona in questione si mise in mezzo, si avvicinò velocemente a me e mi prese in braccio. Io fui piuttosto confusa, non capivo cosa fosse successo, ma tirai su il mio sguardo e dietro le spalle di quella donna vidi le auto correre veloci. In quel momento non lo capii ma quella donna mi salvò la vita. Era una vigilessa. La conoscevo di vista, su quella strada c'era sempre la mattina presto per fermare il traffico quando i bambini accompagnati da nonni e genitori si avviavano verso la scuola. Per me non c'era alcun pericolo in ciò che stavo facendo, avevo le lacrime agli occhi e le uniche cose che riuscii a vedere furono le persone che incontrai per strada e che evitai, ma le auto non le avevo proprio considerate.
«Stai bene?» mi chiese quella donna mettendomi lentamente giù.
Io le dissi di si, non sapevo perché lei avesse uno sguardo tanto preoccupato ma volle sincerarsi delle mie condizioni.
«Come mai stavi correndo in quel modo? Non devi andare a scuola?» mi chiese con un dolce sorriso.
«No, non mi va, stavo tornando a casa.» le dissi frettolosamente.
«D'accordo, ma puoi dirmi il perché?» continuò lei che non voleva fare altro che aiutarmi, ma io non lo sapevo.
«La mia mamma mi ha detto di non dare confidenza agli estranei.» commentai in tono troppo duro.
«Va bene, hai detto che stavi tornando a casa, giusto?» mi chiese e io annuii. «Ti posso almeno accompagnare? Così sono sicura che ci arrivi sana e salva.»
Io non sapevo cosa dirle, quella donna mi sembrava strana, ma accettai la sua compagnia. Io ero pronta per attraversare la strada, ma la vigilessa voleva accompagnarmi in auto.
«La mia mamma mi ha anche detto che non devo accettare passaggi dagli sconosciuti.» le dissi stando ben piantata al mio posto.
La donna allora sorrise, tornò indietro e si piegò sulle ginocchia per mettersi faccia a faccia con me.
«D'accordo, andiamo a piedi allora, ma appena vedo tua madre devo dirle di dirti anche che non puoi correre in quel modo senza guardare la strada.» mi disse sfiorandomi dolcemente una guancia.
Non appena si tirò su mi porse una sua mano. Lei avrebbe potuto usare la scusa della sua divisa per convincermi a seguirla, dicendomi magari che era una vigilessa e che era lì per aiutarmi, non per rapirmi. Ma in quel caso mi avrebbe trasmesso il messaggio sbagliato, e cioè che tutte le persone in divisa erano buone, e probabilmente anche lei sapeva che non era così. In quel caso lei doveva solo convincermi a fidarmi di lei come persona, non come la figura che rappresentava, e io mi lasciai convincere. Attraversammo la strada insieme, lei disse al suo collega che doveva guardare un attimo tutte le corsie e insieme ci avviammo verso casa mia. Per quel breve tragitto chiacchierammo un po', mi convinse a parlarle e dopo un po' le dissi ciò che successe al mio gattino. Le parlai di quella donna, le spiegai come si era comportata con me e lei fu piuttosto dolce. Si fermò più volte per dirmi ciò che doveva guardandomi negli occhi, per farmi imprimere quel pensiero in testa. Mi spiegò cosa significava essere lesbica, mi disse che non era una cosa brutta, ma che molti lo usavano come termine dispregiativo verso persone che non apprezzavano particolarmente, e che io dovevo solo ignorarle. Per me non era facile ignorare quella situazione però, sentivo un forte dolore al centro del petto, e nonostante le sue belle parole per giorni non riuscii a guardarmi allo specchio. Mi sentivo sbagliata, sentivo che qualcosa dentro di me non andava, ma quella donna riuscì a convincermi ad essere me stessa. La vidi quasi ogni giorno su quella stradina, c'era anche di pomeriggio quando uscivo da scuola, a volte si fermava a chiacchierare con me dopo aver fatto passare la strada a tutti i passanti. Mi convinse a non abbattermi, a non nascondermi da nessuno, perché ero speciale. Non sapevo se lo credeva davvero, o se davvero io fossi speciale, ma da quel giorno decisi di non nascondere più nulla di me.
Per quel motivo non riuscivo ad accettare la richiesta di Giulia, io non volevo nascondermi, non volevo nascondere ciò che provavo per loro né tantomeno volevo fingere che non fosse successo nulla quella notte.
«Va bene...» disse Rosa notando che io ero in silenzio da un po', ma non approvavo la sua decisione.
«E invece no, non va bene per niente. Tu adesso esci fuori e ne parliamo.» mi lamentai io sorprendendo anche Rosa, di solito ero io quella che scendeva a patti, in quel caso no.
«No, non voglio.» ribatté Giulia in tono fermo.
«D'accordo, allora se vuoi ne parliamo così.» commentai io duramente.
«Io non voglio parlarne affatto.» ripeté lei.
«E io non voglio evitare di farlo, quindi come la mettiamo?» le chiesi nervosamente.
«Andrea, ti prego...» mi supplicò quasi, non voleva proprio saperne.
«No, Giulia, non riesco a far finta che non sia successo nulla.» le dissi.
«Beh puoi fare quello che vuoi con Rosa, puoi parlarne con lei...» ribatté Giulia lentamente.
«Io voglio parlarne anche con te, c'eri anche tu stanotte.» mi lamentai io, ero piuttosto nervosa a causa di quella situazione, non la sopportavo.
«C'ero, si, ma è stato un errore.» commentò lei.
E in quel momento sia io che Rosa avevamo la stessa espressione in faccia. Delusione, era questo che si leggeva. Rosa scosse la testa lentamente guardandomi, mi mimò con le labbra un semplice "lascia stare" e io a malincuore lo feci.
«Va bene, Giulia, non ne parleremo più.» le dissi dopo un lungo sospiro.
«D-davvero?» mi chiese abbastanza sorpresa.
«Si, davvero.» risposi lentamente. «Non è successo nulla.»
«Sei sicura?» continuò lei che non sembrava fidarsi.
«Vuoi fare così, e allora faremo così.» dissi semplicemente.
«Va bene...» commentò debolmente.
Dopo qualche secondo sentimmo la serratura della porta sbloccarsi e io e Rosa facemmo un paio di passi indietro, io andai a sedermi sul bordo del letto, Rosa rimase in piedi a metà tra il letto e quella porta. Quest'ultima si aprì lentamente e con fare titubante Giulia uscì. In quell'istante fu l'unico momento in cui ci guardò in faccia, guardò prima Rosa e poi me.
«Mi dispiace...» ci disse in tono effettivamente dispiaciuto.
«Tranquilla, non fa nulla.» ribatté Rosa con calma facendo un paio di passi verso di lei.
Rosa voleva abbracciarla, voleva farle capire che non ce l'aveva con lei, ma Giulia si tirò indietro.
«Possiamo vestirci?» chiese con lo sguardo basso.
Non riusciva nemmeno a guardarci, dal collo in giù almeno, di tanto in tanto ci guardava in faccia ma il suo imbarazzo era tale da non farla resistere tanto. Io ero nervosa, incazzata, non riuscivo a sopportare quella situazione. Mi tirai su velocemente, senza dire nulla, e iniziai a vestirmi. Subito dopo di me mi seguirono anche Rosa e Giulia, quest'ultima ci diede le spalle per tutto il tempo. Non capivo quale fosse il suo problema, con me non si era comportata in quel modo, anche se pure con me voleva evitare di parlare di ciò che era successo. Io non riuscivo a tenere la bocca chiusa, e non parlare di quella cosa mi risultò molto difficile.
«A che ora abbiamo il treno?» chiesi a Rosa provando ad uccidere quel silenzio.
«Alle 09:10.» rispose lei con calma, ma anche il suo tono non era totalmente tranquillo.
«E che ore sono adesso?» le chiesi allacciandomi le scarpe, anche loro erano quasi pronte come me.
«Le...» disse Rosa bloccandosi non appena sbloccò lo schermo.
«Cosa c'è?» le chiesi notando la sua espressione preoccupata.
«Sono le 10:25...» disse incrociando il mio sguardo.
«Ma che cazzo... Non avevamo una sveglia?» continuai ancora più nervosa.
«Mi sa che non l'abbiamo sentita.» commentò lei con un mezzo sorriso.
«Ma è fantastico, ci mancava solo perdere il treno.» contestai.
«Tranquilla, ci basterà farci rimborsare i biglietti e prenderne altri con un orario diverso. C'è un treno per Roma tra venti minuti, dovremmo riuscire a prenderlo se ci sbrighiamo.» commentò lei controllando il tutto sul suo cellulare, e dopo quel discorso ci muovemmo più velocemente per uscire da lì.
In effetti aveva ragione, riuscimmo a prendere facilmente quel treno, l'unico problema era che avremmo dovuto prenderne altri due per tornare a casa. Coincidenze non ce n'erano quel giorno, avemmo abbastanza sfiga, e dovemmo aspettare un'ora e mezza a Roma e una buona mezz'ora a Napoli. Quando arrivammo nella nostra città erano ormai le 21:00 passate, io ero stanca e morivo di fame. Quando ci fermammo a Roma riuscimmo a mangiare qualcosa, ma non mi bastò. Durante tutto il tragitto non parlammo molto, io ero incazzata, Giulia era imbarazzata e Rosa non sapeva come comportarsi. Di solito diceva cazzate anche quando c'erano silenzi imbarazzanti, ma quel giorno non disse nulla di stupido, nessuna battuta, nessuna provocazione, anche lei sentiva la pesantezza di quella situazione. Quando uscimmo dalla stazione non sapevo ancora cosa avremmo fatto, fino a lì ci andammo con l'auto di Rosa e casa mia era distante un paio di chilometri dalla stazione. Non avevamo detto nulla al riguardo, era scontato che ci avrebbe accompagnate Rosa, ma a me non andava più quella pesantezza.
«Beh io vi saluto.» dissi fermandomi non appena mettemmo piede fuori dalla stazione.
«Cosa? Perché?» mi chiese Rosa come se non fosse ovvio.
Entrambe si fermarono e si voltarono verso di me con fare confuso.
«Niente di che, voglio solo fare due passi.» dissi semplicemente.
«Non dire cazzate.» commentò Rosa. «Dai, vieni con noi, non ci metteremo molto.»
«Non preoccuparti, davvero, voglio camminare un po'. Siamo state sedute troppo durante il viaggio.» continuai io lentamente.
«Andrea, dai...» si lamentò lei ma io non l'ascoltai.
«Ci sentiamo...» dissi salutandole e allontanandomi da lì.
Lei non disse più nulla, si lasciò convincere e io andai via al lato opposto in cui si avviarono loro. Magari non avevo alcuna voglia di fare due passi, magari ero anche stanca e volevo tornare presto a casa, ma la cosa che mi premeva di più fare era allontanarmi da Giulia. Avevo una voglia matta di parlarle, di chiederle tante cose, di farlo anche in tono incazzato, ma non potevo. Le avevo promesso che non avrei parlato più di quella cosa con lei e così avrei fatto, o almeno ci avrei provato. Non capivo perché si sentiva così in difetto. Avevamo fatto sesso, e allora? Non era la cosa più tragica del mondo, perlomeno per me, per lei sembrava esserlo. Tornai a casa quasi quaranta minuti dopo, di solito in mezz'ora riuscivo a farmi quei due chilometri a piedi, ma quella sera ero troppo stanca. Giulia durante il viaggio si sentì anche male, corse nel bagno del treno per vomitare almeno un paio di volte, e quella che si preoccupò per lei fu Rosa. Di solito ero io a starle dietro quando non stava bene, ma quel giorno non mi andava per niente. Il nervosismo che provavo era troppo forte per farmi abbassare la guardia, io e lei non ci guardammo nemmeno più molto dopo che uscimmo dall'hotel, fu Rosa che ci tenne insieme. Quando tornai a casa non pensai a mangiare nulla, era presto anche per dormire, ma io ero esausta. Mi trascinai verso la mia camera, mi infilai sotto le coperte dopo essermi cambiata, e mi addormentai quasi subito. Nei miei sogni ritrovai Giulia e Rosa, ritrovai quella notte di sesso, ma nella mia testa il tutto era più accentuato. Mi svegliai completamente sudata nonostante non facesse più molto caldo, mi svegliai che erano quasi le 09:00, orario in cui mi sarei dovuta svegliare il giorno prima per non perdere il treno, ma quel giorno non dovevo fare nulla. Non avevo progetti, Rosa aveva spostato la data del firmacopie a Milano a metà ottobre, e io potevo rilassarmi. Mi voltai dall'altro lato e mi riaddormentai. Non avevo alcuna voglia di alzarmi dal letto quel giorno, non mi andava di fare letteralmente nulla. Non vidi né sentii Giulia per più di una settimana, Rosa si fece sentire spesso invece chiedendomi se l'avevo sentita o se avevo provato a contattarla. Lei la sentiva, parlavano di lavoro più che altro, ma anche il loro rapporto si raffreddò. Io non provai a scriverle nemmeno un messaggio, non mi andava di sentirla, tra l'altro non avevamo nulla da dirci. Giulia probabilmente pensò le mie stesse cose poiché nemmeno lei si fece sentire. Non sapevo se il nostro fosse un atteggiamento immaturo, non sapevo se esistesse un modo per riavere quel bel rapporto che avevamo, ma sapevo che mi mancava. Avevo ancora le mie amiche, avevo ancora Rosa, anche se la sentivo solo tramite messaggi e stranamente la fiamma che aveva dentro si spense. Non faceva più battute, non diceva più cose stupide, né mi provocava. Non eravamo più noi, qualcosa si era rotto. Si era rotto a causa di quella stupida notte di sesso, di quella fantastica e stramaledetta notte di sesso. Provavo emozioni contrastanti pensando a quella notte. La odiavo, mi odiavo. Avrei dovuto insistere, avrei dovuto continuare a dire a Rosa che non era il caso di fare nulla, che Giulia non era lucida. In quel caso non sarebbe successo nulla e noi saremmo state ancora le stesse, ma purtroppo non lo feci. I sensi di colpa mi divoravano da dentro. Guardai spesso la chat che avevo con Giulia, volevo scriverle, volevo sentirla, ma la rabbia e l'amarezza mi facevano stringere lo stomaco e finivo sempre per bloccare lo schermo e affondare il viso nel divano o contro il letto. In quei giorni non uscii molto, non scrissi praticamente nulla, nemmeno accesi il pc per provare a continuare una mia storia, non ne avevo voglia. L'unica persona a cui volevo scrivere e che volevo sentire era lei, Giulia, ma non avevo il coraggio, non sapevo nemmeno cosa dirle. Dopo quella settimana, però, tornai a sentirla. Successe tutto all'improvviso e non fu né per volontà mia né tantomeno sua. Rosa si mise in mezzo. Mi chiamò quella sera, mi disse che nel giro di una decina di minuti sarebbe passata da casa mia. Io non avevo molta voglia di vedere nessuno, in quei giorni rimasi quasi tutto il tempo in casa con Ruby. Mi spostavo dal divano al letto e dal letto al divano. Guardai quasi due stagioni intere di Chicago Fire, e ad una certa mi venne anche in mente di cambiare mestiere e di entrare nei vigili del fuoco, ma qualcosa mi diceva che non sarebbe stato così facile. Guardare qualcuno fare un mestiere in un film non era come farlo davvero, e accantonai subito l'idea. Scrivere storie mi piaceva, mi faceva stare bene, ma forse era il caso di prendere in mano la mia vita e smetterla di vivere solo per le mie storie. Quando Rosa arrivò suonò al citofono, mi chiese di aprirle il portone e io lo feci quasi subito. Le aprii anche la porta, la lasciai socchiusa e tornai a sedermi sul mio divano con un plaid a coprirmi quasi completamente il corpo. Quella sera sentivo freddo, stare con quella copertina addosso mi faceva sentire più coperta, più protetta dagli spifferi che entravano in casa, ma quelli non furono gli unici ad entrare senza preavviso. Giulia fece lo stesso. Io mi aspettavo di vedere entrare Rosa da un momento all'altro e invece, all'improvviso, entrò Giulia piuttosto incazzata. Poco dopo entrò anche Rosa, ma fu su Giulia che mi concentrai inizialmente.
«Tu adesso mi dici che diavolo ti passa per la testa.» mi disse lei in tono nervoso, ma io non la capivo, nemmeno mi aspettavo di vederla da me. «Ti ho detto tante volte di smetterla con le cazzate, e tu cosa fai? Una cazzata... Che diavolo, Andrea.» continuò lei velocemente, non mi diede nemmeno il tempo di replicare. «Ma adesso basta, davvero, la moto non la tocchi più.» aggiunse voltandosi nervosamente verso il mobiletto su cui sapeva che c'erano le mie chiavi, ma io non ci stavo.
Fino a quel momento rimasi a guardarla piuttosto confusa, tenni solo il mio sguardo rivolto verso di lei, ma non appena si voltò, io mi tirai su.
«Si può sapere che cazzo ti prende?» le chiesi andandole dietro.
«Che cazzo mi prende...?» ripeté lei velocemente fermandosi e voltandosi verso di me, e in quel caso ci bloccammo entrambe.
Io mi bloccai fisicamente perché lei si voltò di colpo, e io ero praticamente a un passo da lei quando lo fece, quindi volevo evitare di andarle addosso, lei invece si bloccò anche a parole. Mi squadrò per qualche secondo, con calma, dalla testa ai piedi, e poi dai piedi alla testa. Sembrava mi stesse facendo una radiografia con gli occhi. Mi sentii a disagio, non ero nemmeno al massimo dello splendore. Avevo addosso il mio pigiama blu di pile con un orsetto marrone stampato sopra, e i miei capelli chiedevano pietà. Erano raccolti in una coda bassa, scompigliata. Insomma, ero un cesso!
«Ma tu...» commentò lei in tono titubante. «Tu stai in piedi, cammini...»
«Che diavolo stai dicendo? Cammino da almeno 29 anni, tu ti sei fumata il cervello?» le chiesi piuttosto confusa.
«N-no, certo che no, ma Rosa...» ribatté lei visibilmente imbarazzata.
Ecco, le paroline magiche, "ma Rosa"... Lei, quella donna stupenda, era partita di nuovo all'attacco. Sia io che Giulia ci voltammo verso di lei, lei che era ad un misero passo dalla porta ormai chiusa e ci guardò per tutto il tempo senza dire nulla. Aveva sul viso un sorrisetto beffardo, si era divertita a far sclerare Giulia, chissà quale cazzata le aveva messo in testa.
«Cos'hai fatto?» le chiesi poco dopo.
«Ma niente...» rispose lei con un tono divertito.
«Niente?!» ribatté Giulia in tono di nuovo nervoso, quella volta verso di lei. «Mi hai detto che Andrea aveva avuto un'incidente.»
«E che cazzo, Rosa!» mi lamentai io verso di lei, ma non avevo lo stesso tono incazzato di Giulia.
«Scusa, ma è raro che tu riesca a star tranquilla quando qualcosa non va.» commentò lei allargando le braccia.
«E dovevi per forza dirle che ho avuto un'incidente?» le chiesi velocemente.
«Certo, altrimenti non sarebbe mai venuta qui tanto in fretta.» si giustificò lei in tono più serio.
«Sei corsa fino a qui solo per me?» chiesi a Giulia.
«"Corsa" è una parola grossa.» rispose lei parzialmente imbarazzata. «Ho semplicemente preso l'auto e ho raggiunto Rosa qui.»
«Ah si? E in quanto tempo?» continuai io piuttosto curiosa.
«Un po'...» disse Giulia in tono vago.
«Un po'? Alle 20:15 ti ho telefonato e alle 20:20 eri già qui.» si intromise Rosa.
«Non abitiamo tanto distanti...» contestò lei ma in giornate normali, senza troppo traffico, ci volevano almeno 10 minuti per arrivare a casa mia da casa sua in auto, in 5 era un record.
«Ti sei preoccupata per me?» le chiesi in tono lievemente ironico, ma lei non reggeva molto le provocazioni.
«I-io non ci sto più a fare questo gioco.» disse senza degnarmi di uno sguardo.
Velocemente si voltò e si allontanò verso la porta d'ingresso, ma lì c'era Rosa che fece subito un passo verso sinistra e si piazzò davanti.
«Rosa, ti prego, togliti.» le disse.
«No, tesoro. Dobbiamo parlare.» commentò Rosa.
«Non abbiamo nulla da dirci.» ribatté Giulia in tono nervoso.
«Non è vero.» protestò Rosa con calma.
«Ah si? E di cosa dobbiamo parlare allora?» domandò Giulia in tono confuso.
«Di ciò che è successo una settimana fa a Torino, del perché non parliamo più molto da quel giorno, e soprattutto perché voi due non vi parlate.» le spiegò Rosa alludendo al fatto che la cosa più strana fosse quella, che io e lei non ci sentivamo, e non aveva tutti i torti.
«Non voglio parlare di queste cose.» contestò Giulia provando a passarle accanto, ma Rosa si mosse insieme a lei e non la fece passare.
«Ah no? E per quale motivo? Perché ti è piaciuto? O perché eri ubriaca e ti sei sentita usata? Spiegaci.» continuò lei in tono duro.
«Non mi va di parlarne.» ripeté Giulia lentamente.
«Non mi importa se ti va, noi dobbiamo farlo.» continuò Rosa con quel tono.
«Perché? Perché ci tieni tanto?» le chiese Giulia alzando poi il suo sguardo sul viso di Rosa, dato che fino a quel momento non riuscì a guardarla molto in faccia.
«Perché a me è piaciuto ciò che abbiamo fatto. Mi è piaciuto baciarvi, toccarvi, mi è piaciuto fare sesso con entrambe contemporaneamente.» rispose lei in tono piuttosto tranquillo. «Non ho mai fatto nulla del genere in tutta la mia vita.»
«Quindi stai dicendo che ti piacerebbe rifarlo come se niente fosse?» domandò Giulia velocemente.
«No, cioè magari si, insomma...» provò a rispondere Rosa, ma era in una palese difficoltà.
«Ma non ti fai schifo?» continuò Giulia forse troppo duramente.
«Perché dovrei?» domandò Rosa con un sorriso ironico, ma i suoi occhi erano lucidi, quella domanda e quel tono l'avevano ferita.
«Perché?! Perché tu pensi solo al sesso, non hai spazio per altro in testa.» le disse Giulia quasi urlando, ormai erano partite.
«Che cazzo stai dicendo?» le chiese Rosa in tono decisamente offeso.
«Io ero ubriaca, Rosa, ti saresti dovuta fermare.» le spiegò Giulia.
«Sei stata tu a dire ad Andrea che non era vero, tu hai iniziato tutto quanto.» ribatté Rosa incazzata quanto lei, non sapevo chi stava peggio.
«Ero ubriaca.» ripeté Giulia in tono fermo. «Ero come un pazzo che dice di non essere pazzo, come un colpevole che dice di essere innocente... Tutti mentiamo, con più o meno consapevolezza, ma tutti lo facciamo.»
«E quindi da me cosa vuoi?» domandò Rosa in tono stufo, era stanca di discutere.
«Voglio che ti togli dalla porta e mi lasci uscire.» disse Giulia lentamente.
«D'accordo, vai, togliti dai piedi.» commentò lei aprendo la porta e facendole segno con una mano di uscire.
Giulia si mosse quasi subito, con passo deciso, ma io fui più veloce di lei. Le passai accanto, mi misi vicino a Rosa e chiusi quella dannata porta.
«Si può sapere che diavolo vi prende a voi due?» chiesi nervosamente a entrambe.
«A me nulla, è lei che non vuole dirci la verità.» disse Rosa con più calma.
«La verità la sai, te l'ho appena detta.» continuò Giulia che invece ci metteva di più per sbollire la rabbia.
«Allora io non ho più intenzione di stare qui.» disse Rosa voltandosi verso di me. «Spostati, per piacere.»
«Cosa? No, te lo scordi! Ve lo scordate entrambe, noi adesso parliamo.» protestai in tono duro, in quel momento toccava a me cercare un modo per far parlare quelle due.
«Ti ha appena detto che non ha nulla da dire, quindi non perdiamo altro tempo.» commentò Rosa con un sospiro nervoso.
«Non penso che voi non abbiate nulla da dire, ma va bene, andate pure via.» dissi allontanandomi lentamente da quella porta e avvicinandomi alla mia scrivania, presi il portatile e lo tenni con una mano in aria lontano dal corpo all'altezza delle mie spalle. «O mi dite cosa c'è che non va o lascio andare il mio computer e mando a puttane anni e anni di lavoro.» le minacciai io.
Sapevo che ciò che stavo facendo era un azzardo, che era probabilmente troppo plateale per essere preso sul serio, ma dovevo provarle tutte. Quelle due sapevano entrambe quanto avevo sudato per arrivare lì, per poter dire di essere una scrittrice, e mettere in pericolo il mio lavoro non era roba da poco. In quel pc c'erano tutte le mie storie, tutte le mie idee, tutte le trame che ancora non avevo sviluppato. Potevano uscirci una cinquantina di libri, come minimo, ma avrei mandato tutto a monte se significava doverli fare senza quelle due al mio fianco.
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Di notte.
RomanceAndrea è una ragazza di 30 anni, fisicamente ne dimostra 20, alcuni non la prendono sul serio a causa del suo viso pulito e anche il suo lavoro ne risente. Lei è una scrittrice, scrive romanzi d'amore ispirandosi alla sua vita. È piuttosto sicura di...