Rifiorire (lyssnokomis)

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Autore: lyssnokomis

Parola: Rifiorire




"Guardalo, sta là da stamattina, se sarà ghiacciato, poverino", la portinaia guardava attraverso le vetrate dell'androne costellate di tante piccole goccioline, poi si voltò verso il ragazzo che le stava di fronte, poggiato al bancone "Manuelì, vacce a parlà te, fallo pe' Fiorella tua".

Manuel, che da cinque anni che viveva in quel palazzo a Fiorella non aveva mai negato nulla, tentennò, ma alla fine si arrese agli occhi dolci della donna.

Uscì dall'androne con un ombrello giallo a coprirgli la testa e si avvicinò al ragazzo solitario seduto alla fermata del tram; fissava un punto vuoto ed era fradicio dalla testa ai piedi.

Manuel coprì entrambi con l'ombrello e si abbassò un po' alla sua altezza: "Guarda che così te prendi n'accidenti, ma che stai a fa'?"

Il corvino sollevò lo sguardo e nei suoi occhi c'era una tristezza solida, non fumosa come quella degli altri: Manuel se ne sorprese.

"Aspetto", chiosò l'altro, tornando a guardare davanti a sé.

E a quel punto Manuel sarebbe potuto tornare dentro, farsi gli affari suoi, ma c'era quella tristezza solida, quella sensazione, che lo spinse a sedersi sulla panchina fradicia accanto all'altro e a coprirlo ancora un po'.

"Guarda che tram non ne passano a quest'ora, sa'."

L'altro non rispose, ma tirò fuori dall'impermeabile un foglio spiegazzato, lo porse a Manuel che lo prese con cura, per non bagnarlo.

Era il disegno di un bambino, evidentemente. Riportava due ragazzi molto simili tra loro, stessi capelli scuri e occhi marroni, erano entrambi sorridenti, stanti in quello che sembrava un prato e tra loro c'era un fiore bianco sbocciato, accompagnato dalla scritta "Io e Simo tra 20 anni".

Fu in quel momento che Simone - così si chiamava il ragazzo - gli raccontò di suo fratello, di come lo aveva perso troppo presto e di come proprio quel giorno fossero passati vent'anni esatti dal giorno in cui quel disegno allegro di bambino aveva trovato il suo posto sul frigo, in mezzo a tanti altri, com'era giusto che fosse.

"Io e Jacopo aspettavamo qui il tram ogni volta che nostro padre ci portava alle giostre e quindi... quindi lo aspetto. Lo so, sembro pazzo, ma c'è una parte del mio cervello, una parte masochista e infantile, che spera ancora che abbia solo fatto tardi, che magari abbia solo perso il tram e quindi voglio solo- solo aspettarlo ancora un po'."

Manuel deglutì a vuoto mentre la pioggia lentamente si fermava e lui si prendeva il tempo di osservare il profilo cesellato dell'altro, sul cui volto stava lentamente affiorando un sorriso amaro legato chissà a quale ricordo troppo intimo per condividerlo.

Dopo qualche attimo, Manuel allungò la mano destra verso l'altro.

"Sono Manuel", si presentò e Simone ricambiò la stretta "Posso aspettare con te?", e allora la tristezza solida di Simone sembrò smuoversi un po', come onde del mare in tempesta.

Gli sorrise e annuì, grato, e Manuel si sistemò meglio sulla panchina accanto a lui.

Quella sera aspettarono per ore, si conobbero, mentre Simone gli parlava di Jacopo e Manuel gli parlava, chissà perché, di tutte le cose che nella vita lo avevano ferito. Erano due sconosciuti alla fermata del tram e si conoscevano meglio di persone che erano nella sua vita da sempre.

Che Manuel non l'aveva mai conosciuto qualcuno così, con l'ingenuità di un primo incontro, quando la fragilità dell'altro gli piombò addosso come uno schiaffo e avrebbe voluto solo smuovergli la tristezza, renderla fluida, per farla scivolare via dagli occhi.

Non seppe spiegarsi quel bisogno di stare seduto lì, ad aspettare un tram che non sarebbe mai arrivato, con un ragazzo che aveva appena conosciuto e che sembrava lo conoscesse da sempre.

E allora, quando si fece buio, Manuel circondò le spalle di Simone, in un tocco delicato, e gli propose di entrare almeno nell'androne, che era fradicio e doveva asciugarsi.

Simone si fece scortare dentro al palazzo e Fiorella lo avvolse in una coperta e gli offrì una tisana bollente in una delle sue tazze dai colori sgargianti.

Passarono la serata lì, accompagnati dal chiacchiericcio confortante della piccola TV che la portinaia teneva sempre accesa nel suo cubicolo.

Il giorno dopo, Manuel richiamò Simone. Stava meglio, aveva la voce rischiarata al telefono, e gli disse che aveva una sorpresa per lui, se avesse voluto raggiungerlo al suo palazzo.

Certo, si era ripetuto quella proposta nella testa mille volte per non sembrare inopportuno, e ci era riuscito poco, ma Simone gli rispose con una risata e accettò l'invito: andava bene così.

Era già buio quando si incontrarono davanti al portone, e Manuel lo guidò verso il retro, dove Fiorella teneva una piccola serra.

Entrarono e Simone iniziò a guardarsi intorno con la meraviglia negli occhi e Manuel, invece, si perse a guardare lui.

"Fiorella c'ha 'sta pianta, no, fiorisce na volta all'anno per un giorno e fa un fiore bianco come quello del disegno di Jacopo."

Simone stava guardando il piccolo bocciolo candido con gli occhi colmi di lacrime e un sorriso che fece tremare il cuore di Manuel mentre parlava.

"Vengo ogni giorno qua a guardare i fiori e quando mi so' accorto che era fiorito, ho pensato di fartelo vedere perché m'è sembrato un segno, come se- come se fosse stato tuo fratello, ecco, scusa se sembra strano."

Abbassò gli occhi imbarazzato, ma Simone gli prese il mento tra due dita e gli fece sollevare lo sguardo.

"È bellissimo, Manuel, grazie, grazie davvero."

Che forse sentirsi strani in due non era male e quel calore che gli stava corroborando l'intero essere era quanto di più piacevole avesse sentito da molto tempo.

Ogni anno, da quell'anno, Manuel e Simone si ritrovarono in quella piccola serra al centro di Roma, per guardare quel piccolo bocciolo bianco e finalmente, rifiorire, insieme, come quella prima volta ogni volta.








Autore nominato: LuceAnna_7

Parola: Bianco

One more tales | SIMUELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora