Acqua (redastras)

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Autore: redastras

Parola: Acqua





La sabbia gli si infila nelle scarpe, la sente ruvida e polverosa strofinarsi ad ogni suo passo, fredda ad accoglierne pedestre il rovinarsi della notte. L'avverte addosso, poco, piano, quanto il vento ne riesce a gettare sulla stoffa sottile di quell'ingessatura sartoriale, quanto, più di ogni cosa, ne rimane da sentire che non sia con prepotenza soggiogato dal corpo dell'altro.

È alticcio, ma non abbastanza da prendere distanza da se, che l'avvolge quasi aguzzino, il senso di responsabilità d'ogni gesto che si ritrova a compiere.

Odia Manuel, questo riesce a ricordarlo anche sopra l'olezzo fastidioso del whisky a bagnarne il bavero. Odia Manuel, ma adesso che lo bacia con tanta prepotenza da ritrovarsi in banchisa, il cuoio delle scarpe già corroso dalla salsedine, la bocca bagnata e spadronata da se, tanto gonfia si ritrova della saliva dell'altro a colarne lungo il mento e delle lingua a farne spregiudicata conquista, non ne rammenta il motivo.

"Dio- sei insopportabile- i tuoi vestiti del cazzo, la tua voce del cazzo- me fai uscì de testa" c'è qualcosa di sorprendentemente esaltante nella sua voce, Simone si ritrova a pensare, non avesse mai preso un respiro prima d'allora, sarebbe quello che sente quando il fiato caldo di Manuel ne sfiora la gola che s'ostina a torturare, il sapore della prima aria al mattino, ancora impregnata del mare a soffiarne sul fondo.

"Posso ancora- posso ancora licenziarti" non sa perché insiste, perché s'aggrappa di cemento ai pugni quando non desidera che rendere polvere ogni suo avanzo, ma non serve, ne serve pentirsene, che Manuel ride e lo bacia ancora, e tanto basta a distruggere ogni parvenza di se nel sapore languido della sua bocca, negli schiocchi umidissimi, osceni al rumore che sporca la spiaggia anche sotto il trambusto delle onde, anche con il congresso intero, a poche centinaia di metri da loro, che ancora scoppietta di vite frettolose e sudicia musica.

"Succhiami il cazzo, Balestra"

Puzza di alcol e leggerezza la voce indomita di Manuel, che nell'assurdità del suo essere così tanto e con così tanta prepotenza pare neppure far pensiero di ciò che ha detto, come non avesse di Simone, che adesso lo guarda dal basso di ciò che desidera divenire, come gli avesse stralciato ogni parvenza d'identità.

Pensa d'aver sbagliato, per un istante, sente le sue labbra muoversi nell'istinto di chiedere scusa che - Scherzavo, Balè, non devi fa niente che non vuoi e- ma non ne ha il tempo, che il rumore bagnato delle ginocchia di Simone a scontrarsi con l'acqua bassa del bagnasciugha, l'osceno splash del suo abito a farsi fango fra la sabbia zuppa, è tutto ciò che ha la forza di percepire.

Non fa nulla Simone, se ne sta bagnato, impregnato di salsedine e lacrime a gonfiarne adesso gli occhi languidi, e lo guarda, lo guarda e basta, in un silenzio tanto sporco che anche Manuel non ve se ne avverte degno e "Oh, Balè- se non vuoi non dobbiamo-"

"Manuel" è una preghiera silenziosa, che gli conviene accogliere se non altro per la pena che quel rovinoso disastro infangato d'adriatico sia servito a qualcosa, che peccatore è solo e soltanto per averne distrutto con tanta facilità la fastidiosa purezza a costituirlo, che ne tragga, adesso, almeno qualcosa.

"Dio- cristo" bestemmia a se stesso, mentre le sue mani tremano d'anticipazione a sganciarne di fretta la cintura ai pantaloni ringonfi di quella carne pulsante che ne scivola via con la stessa lasciva facilità con la quale si scontra sul suo stomaco, la stessa con cui, lento come mai l'avesse sfiorato, ne usa le dita a trascinarne il cazzo sulle labbra semi aperte dell'altro, che ne rigurgita saliva solo per potersi dire su di lui.

"Te faresti fa' qualsiasi cosa, non è vero?" e se Simone rinasce in quella umiliazione, da lui non ne rigenera intenzione, che se lo dice è solo e soltanto perché non riesce a credere alla sua sfacciata sfortuna, che l'ha odiato così tanto solo e soltanto perché non poteva averlo, tanto in alto lui s'ergeva sulla sua umile natura, e adesso lo ha lì, alla sua mercé, che ne attende la progenie fra le labbra ed il piacere nello stomaco "Dio- te posso scopa' la bocca?" e si sente sporco, sfacciato, insulso, eppure onnipotente che non se ne attende rifiuto.

"Mh" sente solo proferire dall'altro nello sfogo di un capriccio, e pare quasi infantile adesso che ne allarga le labbra nell'attesa.

Lo pensa mentre il cazzo si strofina contro le pareti di carne e velluto, mentre ne tiene i capelli stretti fra le dita, mentre ne spinge la testa fino a fargli sentire niente se non l'odore pungente del suo pube, mentre s'ubriaca di quei suoni sottili e delle lacrime a lubrificarne la strada, che il viso di Simone è uno con cui farne l'amore.

Aumenta il ritmo, poi diminuisce tutto assieme, ed aumenta ancora allora, che è tanto bello che fatica a sopportarne la sensazione, e desidera di concludere se solo per ripulire il suo animo dalla sensazione indegna d'essere usurpatore.

Gli viene in viso, fra le ciglia, sulle labbra, ed il seme scorre liquefatto assieme alle lacrime contro i suoi zigomi.

Simone crolla, lui ne crolla insieme, che l'acqua ne avvolge ogni stoffa a proteggerlo dalla crudele freddezza della notte.

È una visione crudele, Simone- il signor Balestra- usato e sfinito, incapace tantomeno di mantenersi in equilibrio, che anche le mani finiscono affossate nella sabbia paludosa, e pare, a guardarlo adesso con ogni pezzo di se e rifarsene sul viso, così ingiustamente solo.

"Sh, Simo- viè qua" non sa perché lo dice, ed un po' s'impressiona ad unirsi da fuori, ma ne rincrocia lo sguardo alla luce della luna, e tanto basta a farne sereno compromesso.

Lo odia ancora, ma non gli importa quando lo trascina contro il suo corpo, lo tiene fra le braccia, ginocchia contro ginocchia, tanto sporchi e bagnati da non poterne più fare ritorno, e lascia che ne riposi al petto se solo per difenderlo dal freddo.







Autore nominato: actionratio

Parola: Malinteso

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