2. In pezzi

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Michael

Ero indeciso se baciarla o ucciderla.
Propendevo drasticamente per la seconda, ma sarebbe andato contro i miei valori. Anche se devo dire che la ragazza ce la stava mettendo tutta.
Self control, grazie.

Era tutto sommato una ragazza carina, quella che avevo incontrato in corridoio poco fa, però aveva una linguaccia lunga e biforcuta come quella di un serpente, e a dire la verità non infondeva molta gentilezza.
Devo ammetterlo, andarmi a scontrare contro di lei non è stata una cosa del tutto casuale perché sì, sono un po' rincoglionito, ma non fino al punto che non so neanche più come si cammina. Almeno quello lo so ancora fare.

La verità è che ero da poco uscito con un incontro di fuoco con la preside, con la gentile minaccia che se non avessi rigato dritto quest'anno, la bocciatura non me la toglieva nessuno. Sempre una meraviglia parlare con lei, non c'è che dire. Sembrava essere sul punto di tirarmi un ceffone.
Dite che dovrei contattare il numero azzurro?
A me sinceramente viene il dubbio.

《Michael! Tirati su, amico!》mi richiama Gianfranco, che dopo mi ricorderò di picchiare.
Mi ha appena tirato una pacca sulla schiena in stile Cannavaciuolo, con tanto di urlata letale. Giuro che prima o poi lo ammazzo.
Ringrazio solo che domani finisce la scuola.

《Sei scemo?》sbotto.

《Io no, ma forse tu lo stai diventando. Che diavolo hai fatto tutto questo tempo fuori?》mi interroga curioso.

《Te l'hanno mai detto che chi si fa i cazzi propri vive cent'anni?》

《Non quando i cazzi in questione sono quelli del mio migliore amico. Allora? Che mi dici?》
Questo ragazzo non molla proprio mai.

《Nulla. Mi sono imbattuto in una strega con tanto di lingua biforcuta e sarcasmo a perdita d'occhio》spiego con noncuranza.

《Era carina?》è la sua forbita risposta.

《Non è rilevante》

《Era carina》afferma con più convinzione.

《Andiamo? La lezione è finita e noi stiamo qua a parlare. Muoviamoci, non voglio correre il rischio di incontrarla di nuovo》
In più, oggi pomeriggio ho una partita e non ho assolutamente intenzione di giocarla con quella ragazza nella testa.

《D'accordo. Ti stresso più tardi per sapere nome e cognome della cosiddetta "strega"》insiste lui.
Giuro che oggi si sta impegnando parecchio per farsi menare.

《Non so quanto ti convenga, ma fai pure》ribatto con un'alzata di spalle. Non mi interessa più di tanto.

Stiamo ancora un po' a parlare finché non mi decido ufficialmente ad andarmene per l'imminente allenamento che mi aspetta pre-partita.

《Quand'è che la smetti con questa storia del rugby?》mi chiede.
Lui non ha mai approvato la mia scelta di praticare questo sport, lo ritiene troppo violento, troppo corporeo o fisico, ma a me piace proprio per quello. Ho tanta rabbia da sfogare e una mente come la mia ha bisogno di emozioni forti per essere scossa; quando sono sul campo mi dimentico del mondo, ed è proprio quello di cui necessito.

Sono consapevole che Gianfranco non può capire, ma comincio a mal tollerare il fatto che butti tanto fango su uno sport che conosce a malapena. Comprendo anche che sia preoccupato perché in effetti l'unica volta che è venuto ad assistere a una partita andai a sbattere contro un tizio, testa contro testa, ma in aria perché entrambi avevamo saltato, e quando caddi di peso per terra svenni per la botta. Se è per questo svenne anche Gianfranco quando mi vide di peso a terra che non mi alzavo più. Mi disse che sembravo morto.

Per fortuna mi ripresi, ma quello è da sempre uno dei motivi più importanti perché non vuole che giochi a rugby. Pazienza. Prima o poi se ne farà una ragione.

Lo saluto e vado ad allenarmi, dopodiché comincia la partita. Non è la prima e spero non sarà l'ultima, ma è sempre un'emozione fortissima salire in campo. Stringo i pugni per l'eccitazione, mi guardo intorno come fosse la prima volta e sugli spalti individuo mio padre che come sempre fa il tifo per me, mia madre, come sempre, invece non c'è.
Detto ciò, l'arbitro fischia e comincia la partita. Speriamo vada bene.

                        ***
2 : 0.
Per loro.
Finita la partita, torno in spogliatoio e mi cambio velocemente, gettando tutto alla rinfusa per poi farmi una rapida doccia prima di tornare a casa.
L'abbiamo persa. Abbiamo perso la partita. Ho giocato di schifo e sono frustrato, l'unica cosa che voglio è chiudermi in camera mia e non vedere nessuno.

《È solo una partita, sarà per un'altra volta》mi dice Andrea battendomi una mano sulla spalla, come per rassicurarmi.
Tentativo fallito, mi spiace.

Mi limito ad annuire ed esco il più rapidamente possibile, corro quasi perché voglio che nessuno mi veda così. In pezzi.
Raggiungo mio padre che mi aspetta fuori con uno sguardo pieno di rincoramenti, ma non funziona neanche quello. Devo solo andare in camera mia.

《Andrà meglio la prossima volta》mi assicura con voce gentile.

《Va bene, grazie, ora andiamo però》dico sbrigativo.

Lui annuisce senza fare storie. Menomale, direi.

Arrivo a casa con un peso sul petto, probabilmente perché vedo mia madre intenta a lavorare concentrata alla sua scrivania, passo di lì ma non si accorge neanche che ci sono. Di certo non sa che oggi ho avuto una partita.

《Abbiamo perso la partita》le comunico freddo.

《Oh》è la sua unica risposta.

《L'avresti saputo, se solo fossi venuta》commenta sprezzante papà.
È questo il momento in cui dovrei andarmene. Dovrei proprio.
Stringo con forza il manico del borsone e filo in camera a testa bassa, assicurandomi di non farmi vedere e di chiudere a due mandate la porta.

Misi le cuffie, alzai al massimo il volume della musica e smisi di pensare.

Un'estate di noi Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora