capitolo 15: piano B?

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La giornata non era iniziata delle migliori.

Mi ero svegliata con più dolori di quando ero andata a letto.

Non mi ero mossa dalla posizione in cui Megumi mi aveva lasciato.
Cosa significa questo?
Che ero ancora con la schiena esposta, il reggiseno slacciato e la pancia premuta contro il materasso.

Non mi ero dimenticata delle parole che lui mi aveva rivolto ieri.
Oggi mi sarei dovuta allenare, per la prima volta.

Da un lato ero elettrizzata dall'altro, invece, mi veniva l'ansia solo al pensiero.

Mi sarei dovuta scontrare contro dei ragazzi che sicuramente avevano capacità fisiche migliori delle mie.
In più, quello a cui avevo assistito ieri con Yuji, confermava le mie ipotesi.
Quel ragazzo era arrivato da poco tempo e già aveva tutta quella resistenza, non sarei stata capace ad affrontarlo.

Il mio subconscio però la pensava diversamente e ogni giorno me lo ripeteva.

Tu hai l'asso
Tu hai l'asso
Tu hai l'asso

Sembrava come se fosse capace a captare i momenti di insicurezza per sbattermi nel cervello quella frase.

Non è che mi sottovaluto, sia chiaro, ho semplicemente paura.
Paura di non sostenere il peso.
Paura di essere giudicata.
Paura di essere uccisa.

Quella roba era pericolosa, ne avevo avuto le prove, indirettamente.

L'asso era uno dei motivi per cui avevo deciso di chiudere con questo mondo: il mondo degli stregoni, delle maledizioni, della sofferenza.

Nonostante fossimo i più forti, in realtà, eravamo i più vulnerabili.

Sempre in prima linea, sempre a difendere il prossimo, proprio come il buon samaritano.
Ma di noi?
Chi si preoccupava?
Chi ci difendeva?
Nessuno.
Solo noi stessi.

Queste convinzioni faticavano ad andarsene via.
Erano dentro di me, avevano messo le radici.
Erano il motivo per cui non volevo condurre questa vita, eppure, eccomi qui.
Pronta per un allenamento e magari, chissà, per la mia prima missione.

Avevo capito il giochetto di Satoru, non ero stupida.
Stava forzando ciò che c'era dentro di me.

Ma come io lo capivo, anche lui capiva la mia finta ingenuità.

C'era lui quando mio fratello non c'era e di certo quest'ultimo non si teneva i segreti per se.

Ma erano davvero dei segreti?
In fondo, io ero destinata a fare questo.
Suguru lo sapeva, come anche Satoru, il preside.

Quello successo al parco di Jhanguy era stato solo un preteso per trascinarmi qui e farmi concludere ciò che avevo lasciato in sospeso molti anni fa.

Io però ero cambiata.
Con i pupazzi non ci giocavo più e ne tanto meno con le maledizioni.

Non gliela avrei data vinta così facilmente.
Dovevano lottare se volevano avere quello, non giocare sporco.
Perchè a questo siamo bravi tutti, ci vuole solo fortuna, la probabilità che l'evento in cui speri si verifichi.
Questo mi avevano insegnato qualche settimana fa, a scuola, mentre spettegolavo con Mio e Ayako.

La vita che volevo era a Tokyo, nel mio appartamento; non qui, in montagna.

Adesso purtroppo non ci potevo fare più niente.
Se avessi mollato mi sarebbero venuti a riprendere.
Il profilo basso che avevo provato a mantenere durante tutti questi anni non era bastato.

Era un segno del destino?
Una punizione?
Una possibilità di riscatto?

Fui costretta ad interrompere il mio flusso di pensieri.
Si stava facendo tardi e dovevo ancora lavarmi, fare colazione e, soprattutto, truccarmi.

ritrovarsi - megumi fushiguro Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora