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ANGELO

Mi sei volato tra le mani.


C'erano tante cose che facevano girare la testa a Tom per la loro amarezza, e Bill gli piantò un mattone nello stomaco, un peso che dovette sopportare, un peso aspro. Era davvero questo il costo dell'amore? Non semplicemente l'amore che gli faceva girare la testa come una vertigine, ma l'amore importante di un legame che lo piantava al suolo come la gravità.

Così si addormentó con la luce del sole, guardando il quadro che gli aveva regalato. Immaginava di essere al timone di quella barca e accanto a lui Bill, diretti sull'isola dove tutti i loro sogni sarebbero diventati realtà. Una margherita tra i suoi capelli neri illuminati dal sole, come fossero fatti della superficie del mare. D'un tratto, mentre si godevano quel paesaggio vuoto, un boato li fece sussultare; la barca prese un iceberg, e si capovolse.
B

ill non sapeva nuotare, fu la prima preoccupazione di Tom. Sprofondó nell'acqua gelida che si innalzava ad alte onde, andó immediatamente in cerca del gemello, che non trovó. Nuotó tremante a caso, poi si voltó e la barca non c'era più. Urlava insistente il nome di suo fratello Bill, ma quest'ultimo, non si fece vedere.
Pianse, pianse tra i gemiti alimentando con le lacrime le acque di quel maledetto oceano infinito. E poi, una luce lo avvolse. Si voltó accorgendosi della figura angelica di Bill che lo guardava perplesso. Era vestito in una tunica in bianco celestiale che riprendeva il colore pallido del viso, i capelli neri, intrecciati da rose rosse, le sue preferite, e dietro, aveva un paio di ali bianche, che se solo le avesse indossate dal vivo poteva dire di essere un angelo terrestre. «Prenditi cura di me.» Gli sussurrò e scomparí come fumo non appena Tom si sveglió con il cuore in gola.
Si mise a sedere sentendo il fiato corto, si voltó bisognoso di un supporto da parte della persona che era il motivo del suo malessere. Respiró pesantemente quando si sentí toccato da dietro.

«Tom. Tesoro, calmati.» Diceva una donna accarezzandolo, ma il moro era in preda ad un'attacco di panico. Si sentí morire e prese ad agitarsi contorcendosi, colpendo accidentalmente la povera che lo affiancava, che si allontanó guardandolo preoccupata.
Lui si portó le mani al viso facendo una cosa fuoridasè: piangere. Tom piangeva. Anni di conoscenza e Marceline — la vicina di casa, grande amica di famiglia — poteva giurare di non aver mai visto Tom piangere.

«Ecco quá.» Sorrise la signora porgendo al ragazzo dallo sguardo assente𝅙una tazza di camomilla. Tom odiava la camomilla, sapeva di piscio, e se l'aveva in casa, era perché piaceva a Bill.

Marceline era a casa Kaulitz per badare ad essa, non che Tom non si sapesse badare da solo, ma era rispettoso che dopo l'accaduto avesse bisogno di compagnia.

Il ragazzo mise le braccia conserte sul tavolo utilizzandole come cuscino per la sua testa. Afferró con due dita la maniglia della tazza — la preferita di Bill — e la fece girare scuotendo il liquido al suo interno. Continuó a giocare percorrendo lo stesso gesto per più di un quarto d'ora, non accorgendosi dello sguardo preoccupato della donna che aveva preso posto accanto lui.

«Tom.» Gli sussurró accarezzandogli timidamente la schiena. «Che ne dici se dopo andiamo a fare una bella passeggiata?» Chiese in un sussurrò e lui, per risposta, afferró il manico della tazza troppo violentemente capovolgendola. La donna sospiró per poi alzarsi e pulire tutto.
Sapeva quanto Tom avesse un carattere tremendamente forte. Per tutti quegli anni, non aveva provato ad essere un tantino piú sdolcinato con lei o il vicinato. Nei suoi confronti ad esempio, i dispetti non mancavano mai, ed essere maleducato e menefreghista era il suo marchio di fabbrica.
E persino quando era il momento meno opportuno, non si arrendeva a farle un dispetto.

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L'ambulanza sfrecciò per le strade buie con tanto di sirena che poteva stonare chiunque le passasse accanto. Simone piangeva disperata sul corpicino giacente di Bill mentre tentava con tutte le sue forze di aggrapparsi a qualcosa per prevenire una caduta causata dalla velocità del veicolo. Due infermieri, attorno la barella, cercarono al piú presto di riabilitare il ragazzo compressandogli il torace, schiacciandogli la pancia, il petto, e provarono ad alzargli le gambe. Non ebbe successo. Bill rimase inerte, indifferente.
Una volta arrivati in ospedale, si affrettarono a farlo entrare a razzo. Tutti i pazienti che stavano seduti annoiati per l'attesa, puntarono esclusivamente interesse sul ragazzo destinato a morire. I soccorritori chiesero aiuto ad altri medici che immediatamente lasciarono tutto quello che stavano facendo per telefonare e chiamare urgentemente altri infermieri del reparto. All'arrivo, non esitarono a portarlo in sala operatoria o qualunque cosa essa sia.
Almeno otto dottori accerchiarono il giovane paziente per medicarlo e riabilitarlo, cercando al piú presto di fargli riprendere conoscenza, ma a quanto pare, non c'era sorte probabile che la morte.

Simone, fuori dalla sala, teneva gli occhi socchiusi in preda al dolore. Piangeva lacrime interrotte e con lei, un vigile e due persone le tenevano saldamente la mano tentando di darle conforto.

Si sentiva tremendamente infranta nel pensare che suo figlio avesse commesso un atto del genere e voleva dire che si era probabilmente fatto una cattiva idea sulla sua persona.

Passò un'ora e la porta decise finalmente di spalancarsi catturando l'attenzione di tutti. Apparí un dottore, che sospiró annunciando con un'espressione pallida che Bill non ce l'aveva fatta. Chiunque lí perse il respiro e Simone soprattutto sganció un urlo spettrale.

Mentre tutti erano già giunti ad organizzagli il funerale, una dottoressa, dagli occhi color smeraldo, cercó fino in fondo la speranza.
Guardava a occhi lucidi il ragazzo privo di sensi; era l'essere umano piú bello che lei avesse mai visto. Le palpebre di un nero colato, presupponendo fosse truccato, le ciglia erano tirate grazie ad un mascara che gliele rese quasi finte. Teneva le labbra rosee ancora schiuse, da mostrare i suoi allineati denti superiori leggermente sporgenti.
Passò una mano sulla sua pallida guancia dalla pelle gelata e si accorse del naso arrossato a causa del freddo, e pensó allora, come potesse una creatura cosí docile ridursi in quel modo.
Gli erano stati diagnosticati molte corruzioni, in particolar modo, molte fratture. Dopo una caduta dal terzo piano, doveva ritenersi fortunato se non miracolato. E chi aveva negato però, che fosse vivo?

Gli occhi della donna si illuminarono di un verde neon quando il monitor caridiaco registró le onde del cuoricino di Bill con un bip.

Andó fuori di testa per la gioia.
Saltó via dalla sala tuffandosi sulla madre del ragazzo in un abbracció. Simone ingrandí gli occhi e dopo secondi di realizzazione, le lacrime agli occhi, si trasformarono in un pianto di felicitá. Anche quando pensava fosse finita, la speranza era l'ultima a morire.
Per tutto il reparto annunciarono il miracolo.

Due ore dopo, il ragazzo era stato portato in terapia intensiva con tubi ovunque: al naso, alle braccia e in tante altre parti del corpo era attaccato da apparecchi come se la sua vita dipendesse da quelli — forse perché davvero la sua vita dipendesse da quelli —  .
Tutto l'ospedale seppe di Bill e il suo caso definito suicida.
Il cartellino dinanzi la sala indicava il suo nome, e sotto, il sottotitolo recitava "bambolina riprenditi" ornato da tanti piccoli disegnini infantili che ricordavano piú l'inaugurazione di una bambina di quattro anni.

Prenditi Cura Di MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora