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SADICO

Succede anche nelle migliori famiglie...

Non volevano obbligarlo a fargli vedere dettagliatamente il gemello morente, ma Simone credeva sulle vibrazioni speranzose che Bill in qualche modo potesse sentirlo.

Il volto ricadeva centrale sul cuscino. I lividi gli divoravano la pelle e la testa era bendata da un numero spropositato di garze tra cui spiccavano ciocche di capelli neri. Le spalle erano bloccate da un'unica complicata fasciatura e due tubi di plastica gli finivano alle narici, aiutando l'apporto di ossigeno ai polmoni. Ma ciò che più di tutto distrusse Tom fu vedere che ogni respiro era talmente rumoroso da sembrare un ruggito.

Un conato tornò a serrargli la gola, mandando una scarica di gelo lungo le ossa.

«È stato miracolato» Gli sussurrò un dottore.

Ma purtroppo non era così. Aveva due costole rotte e tre incrinate. La clavicola era fratturata in più punti, e aveva una lieve lesione all'osso iliaco del bacino. Il problema era la testa. Il trauma cranico gli aveva fatto perdere ingenti quantità di sangue.

Il dottore si interruppe quando un'infermiera lo chiamò dalla porta. Si scusò un momento e si allontanò, ma Tom non lo vide nemmeno. Il suo sguardo stava fisso su Bill che grondava una devastazione sorda la quale il suo cuore non era in grado di sopportare.

Simone si riaccomodó accanto al lettino su una sedia blu e iniziò una conversazione senza un interlocutore vero e proprio.
«Bill è venuto a trovarti Tom! Ah, a proposito! Lo sai che Tobia qualche giorno fa ha imparato finalmente a fare i bisogni nella lettiera?» Raccontó sorridende accanto al figlio privo di sensi. «Solamente che dopo si è addormentato lì tra la pupú...» Disse ridacchiando con occhi solo per il ragazzo. «Ho anche annaffiato le piantine, sembano crescere bene...specialmente le tue» Aggiunse dopo una breve pausa accarezzandogli i lunghi capelli neri.

«Signora Kaulitz.» Chiamó il dottore facendo ritorno e tenendo in mano un mattone di documenti𝅙«Puó venire un momento?» 𝅙

«Cosa succede?» Domandó la donna.

Lui la guardó in un modo che non si seppe definire. E lei...sembró capire subito. Istantaneamente, gli occhi che avevano imparato ad amare si sgranarono dalla disperazione.

«Signora Kaulitz, è arrivata. La conferma dal Centro di Servizio Sociale...» 𝅙

«No» Simone scosse la testa, staccandosi da Tom. «La prego, no....» 𝅙

«Questo è un ospedale privato, lo sapete...E lui...»

«La prego!» Implorò la donna con le lacrime agli occhi, avvinghiata al suo camice. «Non lo trasferite. La prego, questo è l'istituto migliore della città, non potete mandarlo via! La prego!»

«Mi dispiace.» Rispose il dottore, contrito. «Non dipende da me. Ci risulta che lei e suo marito divorziato non siate più gli affidatari del ragazzo»

Il cervello di Tom ci mise un momento a registrare quella informazione.

Cosa?

«Pagherò tutto!» Simone scosse febbrilmente la testa. «Pagheremo noi il ricovero, le cure, tutto quello di cui avrà bisogno... Non lo mandi via...»

«Mamma...» sussurrò Tom, demolito.

Lei strinse il camice del dottore, implorandolo. «La prego....»

«Mamma... Che sta dicendo?»

Lei tremò. Dopo qualche momento, come accogliendo dentro di sé una sconfitta dolorosa, abbassó lentamente il capo. Poi si voltò verso il figlio.

Nel momento in cui vide i suoi occhi disfatti, la voragine dentro di Tom si allargò. Lei degluti, scuotendo piano la testa. «Lui... non voleva più restare»

Il mondo si era ridotto a una pulsazione soffocante e Tom non se ne era neanche accorto. Nel suo cuore un vuoto sordo stava togliendo senso a ogni cosa.

Un presentimento si annodó al suo petto, travolgendolo.

«Non sarà mai felice cosí.»

No.

No, lui aveva capito, Tom gli aveva spiegato.

No, loro avevano abbattuto insieme i muri e si erano guardati dentro come sempre, tranne questa volta. Perché Tom era diventato un egoista di merda che pensava solo al divertimento e alle puttane, ecco cos'era; aveva scoperto questo lato della vita e non ne aveva piú fatto ritorno.

Non poteva averlo fatto.

Rinunciare ad una famiglia solo per il piacere di essere un lurido puttaniere senza cuore.

«La ringrazio per la fiducia nel nostro istituto» Disse il dottore a Simone. «Tuttavia, devo essere sincero e informarvi che la situazione in cui versa il ragazzo è critica. La lesione cerebrale traumatica è profonda e Bill è pericolosamente vicino a quello che viene definito...terzo stadio del coma. È noto anche come coma profondo. E al momento...» Esitó cercando le parole. «Le aspettative che abbia un miglioramento sono lontane»

«Non l'ho mai visto cosí» Si sentí dire Tom alle spalle mentre percorreva il corridoio seguito dalla madre e degli anziani.
Le loro voci svanirono in universi lontani. Lui sprofondò nuovamente in una nuvola di pensieri densi e cruciali, e tempo si perse con lui.

Quando ritornó in sè non aveva idea di che ore fossero ma sapeva dove fosse. La testa gli pesava in modo indicibile, e un dolore sottile gli pungeva il retro degli occhi. Aprii le palpebre gonfie, e la prima cosa che notó fu un riflesso dorato.

Non si trattava del riflesso del sole. Erano capelli. «Ehi....» Sussurrò la madre quando la mise a fuoco. Gli stava stringendo la mano e le sue belle labbra erano rovinate dal pianto. Aveva una treccia, come quando si preparava per cucinare. L'aveva sempre amata perché lei, al contrario suo, risplendeva anche tra quelle mura così grigie.

«Come... Come ti senti?» Il tormento sul suo volto era evidente, ma aveva sempre quella dolcezza con cui cercava di rassicurarlo a dispetto del dolore che provava. «C'è dell'acqua, se vuoi... Ti va di provare a berne un sorso?» Gli chiese indicando il distributore davanti.

Sentiva in bocca il sapore della bile, ma rimase immobile, muto e svuotato. Simone strinse le labbra, poi sfilò delicatamente la mano dalla sua. «Aspetta» Si alzó posizionandosi davanti alla macchinetta per poi inserire qualche spicciolo. In un'attimo la bottiglietta cadde e la donna si piegó per prenderla portandola poi al figlio che sedeva pensieroso sulla sala d'attesa. Guardava una graziosa bambina dai capelli scuri seduta sulel gambe della madre; era dall'aspetto malaticcio, tossiva continuamente, quasi fastidiosa. Teneva un piccolo soffione.
Era come quelli che lui e Bill raccoglievano da bambini, nel cortile della scuola, quando soffiandoci sopra esprimevano il desiderio di stare uniti all'infinito, per vivere la favola che avevano sempre sognato.

Prenditi Cura Di MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora