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❝AFFARE❞

Seduto in silenzio, pensando a squarciagola


«Ciao Bill lei è la mia ragazza.»
Si sentí dire tutto d'un tratto un giorno mentre sfaticato posava lo zaino in cucina.

Gli si fermó il cuore.

Rimase a guardare i due con il fiato corto.

Ecco trovato il motivo delle continue assenze di Tom, le serate prolungate, i divertimenti incessanti. Era lei la persona che aveva ottenuto il suo posto, che era andata oltre il podio.
Gli aveva rubato suo fratello e impadronito la cucina dato che stava seduta sulla cucina a guardarlo con quelle ciglia finte che a momenti le si staccavano.

Si sentí malissimo, una sensazione di rabbia e invidia lo stava mangiando vivo.
Se avesse potuto, avrebbe urlato affinché lo sentissero tutti, affinché tutti avessero udito i pensieri intrusivi e pianti inesauriti che si faceva dal momento in cui Tom lo aveva abbandonato. Per tutte quelle notti insonne, quando se ne stava lí chiuso in bagno a rigirarsi tra le mani oggetti affillati con l'intento di farsi male. Sapeva che stava decisamente nella parte del torto, non poteva passare di certo una vita intera con il fratello, era ora di staccarsi da quella fase e crescere.

Ma si sentí un errore, era esageratamente attaccato come se fosse una figura paterna. Lo era.

Tom guardava il fratello a braccia conserte affiancato dalla ragazza dai lunghi capelli biondi che stava seduta sul piano cucina. Quest'ultima lo salutó con un cenno di mano, e Bill si limitó a fare lo stesso per educazione.
Diede le spalle alla coppia e a passi silenziosi sgaiattolò dritto in camera sua dove si chiuse a chiave. Rimase per tutto il seguito del pomeriggio steso sul letto a pensare che stavano cambiando le cose. Glielo avevano portato via e adesso era davvero giunto il momento di essere indipendente, di risolvere i problemi da solo. Alla sola idea che ormai dovesse affrontare le insicurezze del mondo senza un sostegno, fu un macigno allo stomaco che lo portó ad un periodo depressivo.
Quel giorno pianse piú degli altri, non fece altro che affondare la mente nei propri pensieri e riflessioni sul futuro senza la sua metá. Ecco che chiuse una porta, e ne aprí un portone; l'inizio della sua vera fase instabile. Emotivamente labile con facilità al pianto, gli emergevano pensieri di autosvalutazione e colpa, pessimismo, pensieri negativi e calo di autostima. Giá da tempo aveva anche pensieri di morte, impotenza e pianificazione suicidaria.

-

«Hai preso un'altra insufficienza?» Ridacchió Andreas guardando il moro sconsolato che scosse la testa.
«Hai fatto le ore piccole ieri?»

«Sono fatti miei.» Disse Bill tutto d'un tratto accavallando le due voci. Tornó a ripassare - studiare - scienze; teneva il gomito sul banco, il capo poggiava su quella mano con le dita sprofondate dentro i lunghi capelli neri che si torturava tra le dita.

Andreas lo guardó perplesso; possibile fosse eternamente triste?

Un'altra insufficienza in scienze.

Stava andando male in tutte le materie, persino arte, la sua materia preferita in cui aveva sempre preso più di otto.

Andreas guardó speranzoso la professoressa di scienze che predicava l'amico facendogli presente lo scarso impegno nelle materie, poi confessó il voto sotto il sei e il ragazzo sospiró.
Si voltó per guardare Bill che a occhi lucidi scarabocchiava sul libro, si sentí demoralizzato anche lui nel vederlo spegnersi così.

Suonó la campanella della ricreazione, tutti gli studenti uscirono per la mensa con gran fracasso.

«Amico, tutto bene?» Sussurró Andreas avvicinandosi al tavolo di Bill che regnava in solitudine. Quest'ultimo, lo fulminó con lo sguardo come se gli dasse fastidio la sola sua presenza. No, certo che stava bene, benissimo. Ma che cazzo di domanda era?

Andreas lo guardó ancora una volta offeso prima di voltarsi. Capí che forse era meglio andarsene e lasciarlo effettivamente da solo come richiesto, un fenomeno rischioso per persone sofferenti come lui.

Bill si guardó intorno; Tutti, al contrario suo, tenevano un vassoio di cibo che man mano addentavano. Parlavano e ridevano con il tavolo affollato di gente, origine di mille schiamazzi, ognuno creava il proprio che si ampliava nell'enorme sala. Deglutí un groppo di saliva quando prestó lo sguardo al tavolo delle sue ex migliori amiche. Gli vennero gli occhi lucidi nel notare il piccolo spazio vuoto della panchina, che prima lui occupava.

Era cosí solo.

Insomma, aveva la consapevolezza che non era nessuno. Le sue uniche amiche gli avevano voltato le spalle, senza un motivo valido. Se glielo avessero spiegato, magari Bill ci avrebbe capito qualcosa.

Gli erano tutti estranei.

Durante i pasti, a casa, Bill era solito ormai mangiare silenziosamente come se non fosse lí, era un fantasma. Era così intollerante della vita, che senza volerlo ebbe un'eccessiva perdita di peso. Rimaneva spesso solo a casa, lui e il mostro nel suo cervello. Una sua giornata tipo era: sveglia, scuola, piangeva e dormiva. Non mangiava, non si lavava, non beveva. Non faceva nulla di vitale e nessuno se ne accorgeva. La mononia era un qualcosa che Bill avrebbe visto da un miglio, dato che era solito a passare le giornate tutte diverse.
Simone era troppo distratta e occupata a lavoro per controllare anche il figlio che stava giorno per giorno perdendo una lotta contro il mondo. Era un vegetale che generava solamente lacrime

Amava dormire.

Lo avrebbe fatto per sempre.

Voleva farlo per sempre.

Niente di ciò che gli circondava gli entusiasmava più, non aveva piú particolari legami affettivi che gli davano la voglia di vivere, non faceva una vita che gli gratificasse e, senza tanta delicatezza, stava perdendo persino se stesso. Paradossalmente dall'esterno era giudicato una persona realizzata nella vita solo perché aveva una media alta, ma non era piú cosí.

Amava la musica, sognava di condividere questo suo amore con tante altre persone, sognava di far diventare la sua passione come un punto cruciale per la vita, ma non fu così. Era solo, disperatamente solo e anche quando gli capitasse di passare una mattinata in compagnia con Andreas, si sentiva solo lo stesso.
Si sentiva circondato da estranei che in nessun modo potevano condividere qualcosa con lui. La gente era fredda, gli faceva paura e aveva paura di mostrarsi così com'eta, con le sue debolezze che solo Tom poteva capire. Troppe volte aveva avuto occasione di provare sulla sua pelle quello che succedeva quando dava troppa fiducia alle persone, la delusione delle sue amiche gli avevano fatto comprendere di smetterla.

Una cosa era certa: così era difficile andare avanti, aveva la percezione di essere vicino ad un punto critico.

Aveva paura di se stesso, non ce la faceva più a fare quella vita da automa, perché questo era diventato: un automa travolto dalle "cose da fare", uno che funzionava, non che viveva. Sentiva di avere le potenzialità di poter realizzare al meglio le sue aspettative e fottersene, ma vide la volontà sfuggire, vedeva gli altri felici ed lui triste, gli altri che raggiungevano i loro obiettivi e lui immobile, gli altri che vincevano e lui che perdeva. Vedeva la sua gioventù consumarsi in una vita che non valeva la pena vivere, grigia e insignificante.

Non si voleva più bene, non se ne era mai voluto. Odiava se stesso e la sua esistenza vuota, ma pesantissima allo stesso tempo. A volte sperava in un cambiamento, in qualcosa che succedeva e che cambiassero le cose, ma si sentiva nel baratro e lo spaventoso sentore che anche la speranza in sè stava gettando la spugna. Sentiva che la sua esistenza si era svuotata lentamente man mano le persone scomparissero, poi dell'entusiasmo, poi dell'energia ed infine della speranza.
Gli capitava di pensare che nonostante tutto non poteva finire così, non poteva rimanere solo la delusione di un sogno che si era sbiadito...anelo ad un lieto fine. Continuó per otto, pieni mesi.

Prenditi Cura Di MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora