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SMERALDI

Che puoi buttarti senza avere paura
Che puoi fregartene di sembrare scema
Che può buttarti senza avere paura
Che puoi fregartene di sembrare scema


Ed ad un certo punto, il sogno gli mostró il familiare ambiente Natalizio della sua perfida infanzia.
Il caminetto acceso dei nonni, che sperperava in tutta la stanza l'odore piccante della legna bruciata, e il calore di essa, fu basica purché la madre Simone gli si sedette accanto.

Bill, affuscato da un fumo invisibile, si avvicinò lentamente alla madre. Il respiro era affannoso, e i passi gli risultarono pesanti come delle scarpe in metallo su una spiaggia deserta.

«Mamma e Tom?» Fu la prima cosa che gli uscí istantaneamente.

La donna si voltò. Il viso stropicciato e una sigaretta tra le dita. «È con i nipotini» Affermó, e dalla sua voce ne trasse vergogna.

«Eh?» Mugoló il figlio stremato dalla fatica che il suo corpo effondeva.

Delle sottili molteplici dita gli solleticarono la pancia in modo assai fastidioso.

«Bill me l'ha detto lei se potessi tenerli per noi» Si sentí dire in modo confusionario alle spalle.

Si voltó, e Tom lo stava fissando con lo sguardo rivolto sulle sue piccole pesti; tre orribili bambini lo stavano massacrando in una sottospecie solleticosa che però, non poteva fermare. Non poteva assolutamente muoversi. Un legno. Doveva subire quella ridicola tortura alla pancia.

«Sto male, Tom. Non posso» Disse affannoso e non l'avesse mai fatto.

Tom contrasse le sopracciglia, poi le guance e all'uncantare tutto il viso. Le figure dei piccoletti si trasformarono nella nullità piú totale e il gemello intraprese un'aspetto completamente diverso.
La stanza diventó buia e fredda, con la sola luce penetrata dalle tapparelle.

«Allora vattene a fanculo» Urlò chiaramente una voce che non poteva essere mai e poi mai confusa fra le altre.

«Buongiorno, tutto okay?» Gli sussurró un'altra voce.
Stavolta essa non la stava sognando.

Bill si mise su un fianco. La testa che gli girava e il fiato corto.
Optò successivamente di sedersi quando i suoi muscoli furono istintivi ad una richiesta di aiuto. Il sudore gli rese la pelle appiccicosa e i capelli insivati d'acqua. Le mani viaggiarono lungo l'umido collo, dopodiché, si fermarono alla nuca.

«Le prime notti quí sono cosí» Commentó Vittoria seduta sulla tastiera del suo letto con le mani in grembo.

Bill la guardó storto, con una lacrima che gli rigó lo zigomo. «Ah» Fece uscire tremando come una foglia.

«Trova del divertente di quell'incubo» Rispose gesticolando.

«Non penso ci sia in questo sogno» Sussurró non riuscendo a parlare.

«Vuoi raccontarmelo?»

«Posso farne a meno» Fiatò e pian piano scese dal letto per sistemarlo.

I due erano ancora in anticipo per la colazione, essa infatti era prevista alle otto e mezza, ed erano solamente le sei.

Bill gironzoló per i corridoi ancora indosso il pigiama ed i peluches stretti al petto. Ripensava e rifletteva sull'iconsueto incubo che gli ripercuoteva la testa.
Passava davanti alle luminose finestre la quale raggi gli accecavano la vista.
Sapeva che il suo subconscio aveva riunito in un solo contesto tutto il presentimento e le paure che, per tutto il corso della sua malattia, aveva imparato ad accettare. La depressione della sera di Natale, la madre trascurata che fumava mentre guardava il figlio fallito con un'espressione turbata, Tom con i figli e il gemello che doveva farne da babysitter purché andasse a divertirsi con la moglie persino durante il giorno natalizio.

Prenditi Cura Di MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora