❝LE PRIMULE❞⛧
❝I ricordi a volte, sono il rimorso del futuro❞
Il venticello fresco gli scompigliava delicatamente i capelli, facendoli ondeggiare nell'aria come tanti nastrini neri di seta. Il sole tramontava oltre le colline, colorando il cielo di un arancione acceso e liberando i suoi ultimi raggi di luce prima di far spazio alla notte, che, con prepotenza, lo stava cacciando via.
Bill, in quel momento, si sentiva un po' come quel sole... costretto a lasciare il posto all'oscurità che avrebbe inglobato di lì in poi la sua vita, i suoi sogni, il suo tutto.
Perché lui in quel momento stava perdendo tutto. Non sarebbe più riuscito a ridere come una volta, non sarebbe più riuscito ad attraversare i campi di primule senza che il suo cuore si infrangesse in mille pezzi. Non sarebbe riuscito ad affrontare il futuro senza sentirsi completo, come invece lo era stato fino a qualche mese prima.
Il suo sguardo era rimasto fisso nel punto in cui la macchina era sparita lasciando una leggera scia di fumo.
Lo avevano lasciato da solo di nuovo.
Deglutì un sasso invisibile all'interno della sua gola e con gli occhi colmi di lacrime si alzò da terra facendo leva con entrambe le mani. Il fruscìo delle foglie era l'unico rumore che giungeva alle sue orecchie, rompendo il silenzio irreale che si era creato intorno a lui e, come se lo avesse notato solo allora, guardò i rami degli alberi che riempivano il sentiero muoversi quasi a rallentatore.
Non sapeva da quanto tempo era lì, forse erano passate ore, o minuti, o forse solo alcuni secondi, fatto stava che il tempo sembrava essersi fermato e solo allora aveva ricominciato a prendere lentamente il suo corso. Forse troppo lentamente.
Le gambe gli tremavano un poco, ma sapeva di poter riuscire a camminare, poteva riuscirci. Doveva farlo.
Con un passo dietro l'altro si chiese perché fosse rimasto così a lungo inginocchiato sull'asfalto, invece di prendere il coraggio a due mani e correre.
Una volta che riuscì finalmente a ristabilire il suo equilibrio, aumentò la sua andatura, ripercorrendo con il cuore che pompava nel petto lo stesso percorso di quell'auto nera che aveva abbandonato il confine di Berlino. Con il respiro affannato iniziò a correre, inseguendo quel sole che moriva sulla terra, rincorrendo la speranza, pregando che questa non lo lasciasse da solo in un momento così duro. Strinse i denti e corse più forte che poteva, desiderando con tutto il cuore di riuscire a raggiungerlo, di riuscire a far qualcosa.
Arrivò alla fine della strada, dove si fermò per vedere un grande cartello che segnava la fine di Berlino. Dell'auto e di lui nessuna traccia, erano ormai lontani. I suoi occhi presero a lacrimare automaticamente. Non erano mai stati così lontani e così vicini come in quel momento. Poteva sentire il dolore sulla pelle, se chiudeva gli occhi, poteva vedere ancora il suo viso sereno e quegli occhi color nocciola rossi per il fumo.
Nemmeno lui aveva voluto che andasse via. Nemmeno lui aveva voluto dirgli un ciao. Nemmeno lui aveva sussurrato un "Mi mancherai". Non lo avevano fatto perché Bill non si era arreso, aveva combattuto fino alla fine per evitare di separarsi. Ci aveva provato, difendendosi con le unghie e con i denti, ma non era servito a nulla.
Dopotutto, il mondo era più grande di lui, e nella vita reale, il piccolo Davide non riesce a sconfiggere il possente Golia, ma viene schiacciato sotto la suola di una scarpa come uno scarafaggio.
Bill si sentiva così.
Schiacciato, sconfitto, abbattuto.
Aveva cercato di proteggere il loro piccolo mondo chiudendo fuori tutti gli altri. Quello era il suo mondo e nessuno poteva permettersi di metterci un solo dito dentro. Peccato che, con la furia di un carro armato, il destino avesse distrutto tutto quello che avevano costruito insieme con amore e felicità.
Che dolce l'innocenza e l'ingenuità di quel povero ragazzino. Credeva di poter fronteggiare chiunque, ma non aveva fatto i conti con la vita vera. Quella vita che insieme a tante gioie, ti preserva anche tanti dolori...
E il dolore lo avrebbe fatto crescere inesorabilmente, forte, audace, indipendente. Proprio come aveva sempre voluto.
Le lacrime solcarono il suo viso senza più alcuna esitazione e pianse amaramente per averlo perso e per non essere stato in grado di impedire la sua partenza.
D'altronde, come sempre.
Sapeva, però, che non avrebbe avuto nessun rimpianto dato che aveva fatto tutto il possibile per tenerselo ancora stretto tra le braccia. Ce l'aveva messa davvero tutta e ora non poteva far altro che arrendersi e posare l'ascia da guerra. Arrendersi significava ammettere di aver perso, e non era sicuro che lo avrebbe fatto davvero, perché in cuor suo sperava ancora di poter far qualcosa...
La notte era definitivamente arrivata e il cielo sopra di lui si era oscurato, portandogli un senso di inquietudine dentro. Forse un giorno se ne sarebbe fatto una ragione, forse un giorno avrebbe rivisto quegli occhi, forse un giorno sarebbe ritornato tutto alla normalità.
Sorrise mestamente. Era strano come la mente, a costo di alleviare il dolore al petto, inventasse consolazioni che lui stesso sapeva non stavano né in cielo né in terra. Bill non voleva nessuna consolazione, non voleva nessuna bugia.
Non voleva aggrapparsi ad una fune sfilacciata che si sarebbe inevitabilmente spezzata facendolo cadere in un abisso profondo. Tanto valeva lasciarsi cadere fin da subito.
Abbassò il capo e i suoi occhi furono catturati da alcune primule che si chiudevano e si addormentavano al di là del piccolo muretto fatto di pietre. Lo scavalcò facilmente e portò una mano ad accarezzare una primula rosa, sentendo sotto i propri polpastrelli la morbidezza e la freschezza dei petali che racchiudevano gelosamente un po' di nettare.
Le primule erano i fiori più belli che potessero esistere al mondo e tante volte era rimasto interi pomeriggi ad osservarle, ed era arrivato alla conclusione che quelle piante non erano solo semplici fiori; le primule, con la loro bellezza, indicavano la precocità di fioritura subito dopo la scomparsa della neve. Erano le prime a venir fuori, erano le prime a sbocciare e a dire addio all'inverno, erano le prime a dipingere con i loro colori accesi le piantagioni tristi dei riservati quartieri a Berlino.
Delicatamente afferrò lo stelo e lo tirò finché il fiore non abbandonò il tanto amato terriccio. Bill si rimise in posizione eretta e rimirò il bocciolo tra le sue mani. Si ritrovò a pensare che lui e Tom erano sempre stati due primule tra quei campi....
Avevano scoperto insieme i piaceri della vita, avevano trascorso insieme i momenti più belli della loro giovinezza, ed erano stati i primi a capire che la libertà di voler essere ciò che si era, aveva un prezzo troppo alto da pagare. Lo avevano capito sulla propria pelle.
Le prime stelle fecero timidamente la loro apparizione nel cielo e Bill ritornò sulla strada, rigirandosi la primula tra le mani senza sapere effetivamente cosa farci. Alla fine decise di ritornare a casa, voltando le spalle all'immagine sbiadita di un Tom che metteva a moto la sua Porsche nera. Strinse il fiore un'ultima volta per poi lasciarlo cadere a terra, imponendosi di smettere di piangere.
Camminò lungo la via che lo avrebbe riportato in paese, voltando continuamente la testa indietro, come per accertarsi che la macchina potesse ritornare da un momento all'altro. Si morse le labbra e con un passo dopo l'altro girò il capo ancora, e ancora, e ancora...Sapendo che quella storia non se la sarebbe mai lasciata veramente alle spalle.
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Prenditi Cura Di Me
FanfictionVestito di dolore, lui restava la cosa piú bella e splendente del mondo.