Capitolo 19 ~ parte II

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Sussurrami, o vento
Come né le stelle
Né l'universo
Brillino quanto il mio cuore
Mentre penso a te

Non era un incantesimo, bensì una canzone che mio padre mi cantava un tempo, quando di notte mi svegliavo di soprassalto. Avevo sofferto d'insonnia da bambina e mi attanagliava una costante sensazione di nervosismo; dopo un poco, quelle erano divenute le sole parole che riuscissero a farmi addormentare.
Papà aveva un dono nell'inventare canzoni sul momento, che spesso dimenticava cinque minuti dopo. Non quella. Quella era un dono per la sua bambina e nessuna delle due l'aveva mai scordata.

E se ti lasci stringere
Dolcemente
Tra queste mie mani
Si dissipi ogni dolore.
Il timore, disperso.

E terso
Come cielo d'inverno
È il tuo cuore per me.
In eterno
Sussurrami, o vento
Che sarò lì con te.

Hjörtur non si volse, ma le sue membra cessarono di essere sconquassate dai tremiti. La sua guerra interiore stava forse trovando un armistizio?
Mi ascoltava, fissando diritto davanti a sé, finché il suo respiro affannato non si fu placato.

Infine, l'ultima nota si spense e il silenzio fu rotto soltanto dai cinguettii degli uccelli, che timidamente ripresero ad avvicinarsi.

"Come sapevi che la musica aiuta?"
Osai rimuovere un passo in avanti una volta, finché non mi ritrovai seduta al suo fianco.
"Non lo sapevo... Ma era la sola cosa che non mi avessi proibito di fare con quella voce da cavernicolo arrabbiato."

Realizzai con un istante di ritardo che cosa avessi appena detto al fratello minore di Thor, ma, invece di arrabbiarsi, lui si lasciò sfuggire un sorrisetto.

Mi ritrovai a proseguire il discorso:
"Se ascolti con attenzione, il dolore accompagna spesso molte canzoni. Non sono mai stata un granché a confidarmi, quando sto male... E la musica accoglie le emozioni che non riesco a sopportare. Le accompagna in un luogo lontano... le sublima, le addolcisce, le conserva tra le sue note in un luogo eterno, proprio come fa l'ambra."

Mi schiarii la gola, imbarazzata. Era la prima volta che esprimevo ad alta voce quel pensiero e l'attenzione assoluta di lui, il suo lieve annuire come se comprendesse perfettamente, scatenarono un'ondata di calore nel mio petto.

Intimidita da tale estrema intensità, abbassai lo sguardo.
Natando che il suo spadone a due mani era ancora abbandonato nel sottobosco, ai miei piedi, mi presi un istante per ammirarlo.
L'oro della raffinata elsa e il cuoio del manico contrastavano la promessa di brutalità dell'acciaio della lama. Il pomolo era decorato con piccole saette in rilievo.
Percepivo un'infinità di potere irradiarsi da esso.

"Posso toccarlo?" chiesi non soffio, al che la sua mano scattò ad afferrarmi il polso che aveva accennato un microscopico movimento in quella direzione, pur trovandosi ancora a distanza di sicurezza. Una scintilla percorse le iridi tempestose di lui.
Realizzando che non stavo minimamente lottando contro la sua presa, Hjörtur ingentilì la propria azione lasciando scivolare le proprie dita tra le mie.

"Scusami..." mormorai "Era una domanda stupida. Ero solo curiosa."
Le scintille nei suoi occhi si spensero e la sua espressione allarmata si distese.
"Questa non è una semplice spada. L'ultimo mortale che ha tentato di rubarla é stato ridotto in cenere."

Oh.
Deglutii.
"Ok... Grazie di avermi fermata allora. Quindi la usi per evocare le saette, tipo la folgore di Zeus?"

Lui si limitò a fissarmi.
"Il dio dei fulmini degli antichi greci." spiegai "Una figura mitologica... perché ridi?"
I fremiti che lo scuotevano tutto a un tratto non erano certo di dolore, stavolta.

TENEBRIS - Il canto della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora