8. facce della stessa medaglia

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Quelle parole risuonarono come un tamburo nella mente di Leon, il quale era entrato completamente in uno stato di trance

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Quelle parole risuonarono come un tamburo nella mente di Leon, il quale era entrato completamente in uno stato di trance. Il profumo intossicante di Iman gli inebriò le narici, il suo corpo esile sopra il proprio lo stava mandando in cortocircuito. La osservava dal basso: i seni erano la prima cosa che risaltò al cospetto dopo il viso madido di sudore.

Ma non poteva lasciarsi andare così facilmente. Aveva una dignità da mantenere, una grande responsabilità sulle spalle. Nonostante fosse un gesto faticosissimo, prese la ragazza per i fianchi e la spostò dal suo corpo, seppur con delicatezza. Si alzò da terra e si recò nei bagni maschili per farsi una doccia, lasciando Iman incredula per la reazione così bizzarra scaturita dal nulla. Sembravano avere una certa chimica ma quel momento rovinò tutto.

"Leon, dove stai andando?" gli chiese Iman con la voce ancora affannata, rincorrendolo.

"A farmi una doccia" tagliò corto, prima di iniziare a camminare velocemente, stringendo le mani in due pugni. Gli occhi erano diventati sottili quanto una fessura.

"Mi vuoi dire che cazzo ti è preso? Sei tu che hai insistito per allenarmi" sbottò Iman, lasciando fuoriuscire il turbine di rabbia che era imprigionato in lei.

"Niente, okay?"

Mentì, spudoratamente. Lo sapeva bene, molto bene e lesse il misto di rabbia e delusione negli occhi della ragazza dagli occhi castani. Non poteva lasciarsi coinvolgere, non un'altra volta, lo aveva promesso. Non poteva fallire.

"Sei solo uno stronzo! Prima mi dici che ti importa di me e poi non mi vuoi dare spiegazioni sul tuo comportamento completamente fuori luogo?" sbraitò Iman con gli occhi infuocati dalla rabbia come un ceppo ardente.

"Ah ora sarei io quello fuori luogo?" ribatté, pur sapendo che quella conversazione sarebbe giunta ad un punto morto presto. Non sapeva nemmeno perchè stessero litigando. Era tutto inutile, tutto una pantomima.

"Sono stata cattiva con te ma non mi pare questo il modo di ripagarmi!"

"Ti rendi conto che stai facendo un casino per niente?! Questa conversazione sta diventando sempre più ridicola. Ora, scusami ma devo andare"

E così fece, lasciando Iman in mezzo alla palestra tra le altre persone che la stavano fissando in seguito alla litigata appena avvenuta. Una vampata di calore la avvolse, il petto si alzava e abbassava ripetutamente, la vista divenne offuscata da un momento all'altro ed il cuore batteva all'impazzata.

Stava per avere un attacco di panico.

Molto spesso le accadeva quando provava emozioni negative, specie se molto forti. Ciononostante, non le era mai accaduto di averne uno che avesse la sua natura nella rabbia. C'era qualcosa di se stessa che non capiva. Non capiva come la sua mente funzionava, come reagisse in modo così esagerato a ciò che le si presentava davanti.

Corse verso i bagni delle ragazze a farsi una doccia calda per calmarsi. Appena il getto d'acqua le sfiorò la pelle, Iman iniziò a piangere a dirotto, piegandosi su se stessa e soffocando i suoi singhiozzi con il palmo della mano.

"Tutto bene?" esordì una voce femminile fuori dai bagni. Iman si schiarì la voce per non sembrare sospetta.

"Sì, non preoccuparti" disse prima di spegnere il getto dell'acqua, indossare l'accappatoio e uscire dalla doccia. Davanti le si presentò una ragazza dai lineamenti dolci, gli occhi azzurri come l'oceano ed i capelli castano chiaro raccolti in una coda alta. Indossava un giubbotto di pelle rosso e dei semplici blue jeans.

"Sei sicura?" le chiese con un tono apprensivo.

"A dire la verità, no, per niente"

Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, prima di ringraziare la ragazza misteriosa per la sua preoccupazione.

"Comunque, sono Iman"

"Piacere, Claire" disse per poi stringerle la mano "Io alloggio alla stanza 144, proprio vicino alla tua"

"Come fai a saperlo?" Iman scosse la testa prima di aggrottare le sopracciglia.

"Me lo ha detto Leon, il mio migliore amico"

"Leon, uh?" esordì con voce inquisitoria. Stava iniziando a provare una certa gelosia e non ne sapeva neppure il motivo. Conosceva il poliziotto da pochi giorni eppure qualcosa le suggeriva che si stava affezionando, seppur debolmente e lentamente a lui.

"Sei la ragazza nuova, no? Tutti sono rimasti colpiti dalle tue abilità" le sorrise con fare simpatico.

"Grazie, Claire. Non so perchè Leon abbia scelto di portare qui proprio me, sono una persona come gli altri, non ho nulla di speciale"

"Questo lo dici tu. Tutte le persone che alloggiano qui, vi sono per un motivo" tagliò corto prima di uscire dal bagno, il cui vapore le si stava appiccicando ai vestiti.

Tutte le persone che alloggiano qui, vi sono per un motivo. Allora qual è il mio?

Si domandò mentre tornava in camera e si cambiò. Indossò i soliti jeans ed una felpa di due taglie più grandi rispetto alla sua, insieme alle sue converse bordeaux. Indossò il giubbotto di pelle segnato dal tempo e uscì dal plesso.

"Dove stai andando, Iman?" le domandò il ragazzo dai capelli biondo platino e gli occhi vitrei, prendendola per un polso, facendola girare di scatto.

"Lasciami, capito?" disse, inasprendo la voce.

"Anche se ti lasciassi, c'è il coprifuoco. Tutta la struttura è controllata da telecamere e poliziotti ovunque" le rispose con un sorriso sghembo, squadrandola da testa a piedi.

"Pensi che tutto possa tornare alla normalità adesso?"

"Se vuoi le mie scuse, te le porgo volentieri" esordì con la stessa espressione sul viso pallido. Infondo, le piaceva vederla così, indifesa, senza l'ultima parola. Inutile dire che si divertiva anche a battibeccare con lei.

Iman sospirò, roteando gli occhi per l'ennesima volta.

"Scuse accettate, agente" lo scimmiottò, facendo un inchino per prenderlo in giro.

Entrambi si recarono a mensa, dove consumarono la cena come tutti gli altri giorni. Qualcosa, però, non quadrava. Leon era rimasto tutto il tempo a fissare il piatto, ignorando le chiacchiere di Iman e Claire, le quali sembravano aver legato subito, cosa assai strana per una come Iman. Non sapeva cosa fosse ma qualcosa era fuori posto. Si sentiva come se stesse per fallire di nuovo ed una sensazione di oppressione al petto lo travolse.

Non si sentiva così ai tempi di Raccoon City. Perso, disorientato e privo di obiettivi. Non voleva perdere più nessuno e lo aveva giurato a se stesso. Iman, però, era completamente diversa. Indomabile, irruente, focosa. Sapeva che prima o poi si sarebbe cacciata nei guai e le avrebbe dato del filo da torcere, parecchio.

Dopo cena, Leon si recò nella sua stanza, si spogliò dei vestiti e si mise a dormire, pensando ancora e ancora a quegli occhi castani che tanto lo avevano incuriosito, intrigato. Un alone di mistero avvolgeva Iman, così come Leon. Entrambi erano le facce della stessa medaglia: così simili eppure così diversi e complicati.

BLACK STAR - leon kennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora