6. protocollo

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In quella giornata cupa, Leon ed Iman stavano viaggiando

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In quella giornata cupa, Leon ed Iman stavano viaggiando. La pioggia batteva incessantemente sui vetri dell'auto, costringendo il ragazzo ad aumentare la velocità del tergicristallo.

"Tra qualche minuto dovremmo arrivare in un'area più fortificata e sicura" le annunciò l'agente, guardandola con la coda dell'occhio.

"Bene, sono esausta" rispose Iman, tirando un sospiro di sollievo. Sentiva le gambe addormentate per l'essere stata seduta per svariate ore e non era una sensazione affatto piacevole.

"Esausta? Hai dormito per tutta la durata del viaggio" la canzonò, sfoderando un mezzo sorriso.

"Dormire stanca" rise leggermente, coprendosi la bocca con la mano.

"Se la pensi così... comunque siamo arrivati" le annunciò il ragazzo, indicando l'imponente struttura che si ergeva a meno di un chilometro dalle loro figure. Essa era grigia, proprio come il colore del cielo, la struttura ricordava quasi un carcere: tutto perfettamente squadrato, ordinato e al suo posto. Ogni piano era sorvegliato da poliziotti, com'era la prassi, del resto.

"Bel posto, molto allegro" disse ironicamente Iman prima di sgranchirsi le ossa e chiudere la portiera dell'auto, parcheggiata oltre il cancello in acciaio leggermente arrugginito che venne successivamente chiuso con tempestività.

"Lo so, ma all'interno è molto meglio, vedrai" la rassicurò, dandole una lieve pacca sulla spalla, prima di accompagnarla all'entrata. All'interno vi era un androne con una reception, vari divani disposti lungo le pareti e tavolini in vetro. Le persone conversavano, scherzavano e ridevano come se tutto fosse tornato alla normalità. Per un attimo, Iman si meravigliò dell'atmosfera tranquilla della gente che la circondava.

"Te l'ho detto che dentro sarebbe stato molto meglio" le sussurrò all'orecchio Leon con sicurezza. Un brivido freddo percorse la schiena della ragazza dai capelli castani: l'aveva colta di sorpresa, un'altra volta. Ella socchiuse gli occhi, godendosi il suo fiato caldo sul collo che causò una scia di scariche elettriche lungo tutto il corpo. Si era distratta, tanto che non si accorse che dei poliziotti stavano uscendo armati al fine di perlustrare il territorio.

"Attenta"

Leon la tirò verso di sé, facendo sfiorare i loro corpi che per un istante sembravano fatti di fuoco data la loro prossimità. Iman lo guardò dritto in quegli occhi cerulei, ancora una volta, prima di distogliere lo sguardo dal suo volto così cesellato.

"Grazie, ma mi stavo spostando da sola" si limitò a dire con uno sguardo truce sul volto.

"Non mi sembrava" ribatté Leon, stando al suo gioco "Comunque, ora seguimi, ti porto nella tua stanza" aggiunse.

Iman si morse l'interno della guancia. Sapeva che Leon aveva ragione: era distratta. Ciononostante, non voleva ammetterlo a se stessa in quanto troppo orgogliosa e testarda. Si limitò ad annuire e lo seguì al piano superiore dove vi erano disposti i dormitori, non prima di aver preso la chiave alla reception.

Tutto era in perfetto ordine, nulla era fuori posto. Vi erano vari corridoi con infinite porte, tanto che la ragazza temette che si sarebbe persa. Del resto, non aveva alcun punto di riferimento, non conosceva nessuno ma decise di ignorare quello spaesamento passeggero e di seguire Leon. Lo osservò attentamente: i muscoli di braccia e spalle guizzavano ad ogni suo passo, i capelli morbidi emanavano un profumo che imitava quello del pino.

"Camera 145, eccoci" le disse Leon, inserendo una delle chiavi del mazzo nel nottolino, prima di aprire la porta. La camera era tutt'altro che malandata come quella della comunità di Chestnut, anzi, era ben curata anche se semplice. A destra vi era un letto singolo ed un comodino, a sinistra un piccolo armadio ed una scrivania. La stanza era illuminata da un'ampia finestra, coperta, in quel momento, da spesse tende beige.

"Niente male, davvero" si complimentò Iman ispezionando la stanza attentamente.

"Non avevo dubbi" le rispose il ragazzo, avvicinandosi di molto ad ella, la quale era in piedi davanti alla finestra. Iman notò quel gesto impavido e sicuro da parte di Leon e subito sentì le gambe molli e la bocca impastata dall'imbarazzo.

"Che stai-"

"La tenda, oscura l'ambiente" disse con un sorriso che voleva apparire innocente, separando le due tende tra loro "Comunque, se vuoi vivere qui, ci sono delle regole"

"Che tipo di regole?" chiese, mossa da una genuina curiosità, aggrottando le sopracciglia.

"Ogni tre giorni due persone devono andare a perlustrare il territorio per neutralizzare le minacce" esordì serio.

"Ma io non sono affatto pronta" ribattè la ragazza.

"E' per questo che ti allenerai insieme a me. C'è una palestra al piano terra, inizierai domani"

"Ora prendo pure ordini?" lo canzonò la ragazza dagli occhi ambrati, tenendo le braccia conserte e spostando il peso del corpo su una gamba.

"Questo è il protocollo, altrimenti, la porta è da quella parte"

Iman deglutì nervosamente. Non lo aveva mai visto così determinato e serioso. Il suo sguardo vitreo era fisso su di lei, cosa che la portò a sentirsi estremamente a disagio, anche se non ne sapeva la natura. Le guance assunsero un colorito rosaceo, il respiro divenne leggermente accelerato. Era solo davvero in imbarazzo?

"Avanti, seguimi" le ordinò Leon, prima di farsi strada tra i corridoi e scendere le numerose rampe di scale, fino a giungere in palestra in cui la gente si stava allenando duramente ed un odore spiacevole si fece strada nelle narici della ragazza che, però, decise di non farlo presente, per non irritare ulteriormente il ragazzo.

"Questa è la tua divisa, indossala e torna qui tra cinque minuti"

Iman annuì e si recò negli spogliatoi femminili. Molte ragazze si stavano cambiando, noncuranti degli sguardi delle sconosciute. Ella, colta da un improvviso imbarazzo, si chiuse in uno dei bagni e si cambiò. Indossò dei biker shorts neri ed una maglia bianca semplice, insieme a delle scarpe da ginnastica comode. Legò i capelli in una coda alta, dopo di che uscì dalla toilette e si sciacquò la faccia. Era pronta.

In un attimo raggiunse Leon, il quale indossava dei pantaloni neri, abbinati ad una maglia aderente dello stesso colore che evidenziava il suo addome scolpito.

"Jackson, oggi ci eserciteremo con il combattimento corpo a corpo. Fammi vedere che sai fare"

"Non molto" esordì, sconfitta.

"Questo è da vedere" disse prima di avvicinarsi a lei "Io farò finta di attaccarti, tu difenditi come puoi"

Iman fece un respiro profondo, inalando quanta più aria potè. Espirò e si mise in posizione di combattimento.

Leon iniziò a correre verso di lei, la quale scansò il colpo, scivolando tra le sue gambe e posizionandosi dietro di lui, dando un colpo secco alle sue ginocchia. Leon digrignò i denti prima di girarsi e alzare la gamba, in quello che voleva essere un calcio, verso il busto della ragazza.

Iman sostenne la sua gamba con le braccia seppur con grande fatica e sferrò un pugno che Leon parò, prima di buttarla a terra sul materassino morbido. Il combattimento durò giusto un paio di minuti.

"Devo ammettere che, per essere smilza, picchi forte" esordì Leon, sorpreso, prendendo un asciugamano per la fronte madida di sudore.

"Smilza?" bofonchiò Iman aggrottando le sopracciglia.

"Ti prendevo in giro. Facciamo una doccia?"

"Cosa?"

La ragazza strabuzzò gli occhi a quella che voleva sembrare una proposta.

"Il bagno delle ragazze è fuori sulla sinistra" le indicò. Iman si maledisse per il pensiero impuro appena partorito dalla sua mente contorta. Si diresse nei bagni comuni e, dopo essersi accertata che ci fosse un box libero, vi entrò, dopo aver chiuso la porta alle sue spalle.

BLACK STAR - leon kennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora