22. las plagas

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La mattina seguente Iman si svegliò di soprassalto, con la fronte imperlata di sudore e le mani tremolanti

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La mattina seguente Iman si svegliò di soprassalto, con la fronte imperlata di sudore e le mani tremolanti. Il respiro era irregolare, affannato. Si guardò attorno e si sentì soffocare in quella piccola stanza dalle pareti scrostate. Lacrime solcarono le guance arrossate.

Aveva avuto un incubo e la cosa che la spaventava era il fatto che sembrasse così vicino alla realtà. Si sentiva trascinare via dagli Illuminados in una stanza recondita, malandata e maleodorante. Sentiva delle parole riecheggiare nella sua mente come un tamburo: Gloria a las plagas .

Ad un tratto Leon si sveglio anch'egli, sgranando gli occhi alla vista di Iman così inerme e terrorizzata. Si sedette vicino a lei, tentando di rassicurarla.

"Iman, ci sono io" continuava a ripeterle nella speranza di calmarla ma era tutto invano.

"C-continuavano a ripetere una frase, una frase, capisci, Leon?" esordì la ragazza il cui corpo tremava nonostante la vicinanza del suo ragazzo.

"Chi?"

"Los Illuminados. Stavano eseguendo un rituale e c'era il mio corpo esanime sull'altare" singhiozzava.

"Oh cazzo" imprecò Leon, stringendo il naso tra le dita. Non aveva idea di cosa dirle per rassicurarla, per farla stare meglio. Il terrore iniziò a contagiare anche lui come un virus.

"Ci uccideranno tutti!" continuò a piangere senza sosta, raggomitolandosi nel letto per farsi più piccola. Leon era vicino a lei, con uno sguardo mesto sul volto. Iman aveva ragione, se non si fossero dati una mossa, Los Illuminados avrebbero preso il controllo dell'intero mondo. Il rischio si stava facendo sempre più elevato, il prezzo sempre più alto da pagare.

Doveva agire, al più presto prima che Los Illuminados avessero fatto una carneficina. Tremava al solo pensiero del corpo esanime di Iman sull'altare ma, soprattutto, ciò che gli fece perdere le staffe fu proprio il fatto di non avere idea di chi si celasse dietro al quel piano macabro.

"Iman, rimani qui, vado a chiamare gli altri" asserì con un tono che voleva sembrare il più rassicurante possibile, nonostante la percepibile gravità della situazione.

"Aspetta, non mi lascerai, vero?" la voce di Iman si fece in un sussurro ed il suo linguaggio del corpo parlava chiaro: era rannicchiata sul letto, inerme, vulnerabile come non mai. Gli occhi erano umidi, le mani tremolanti e la fronte imperlata di sudore.

"Mai, lo giuro. Dai, vieni" la invitò con un tono dolce, aiutandola a rialzarsi dal letto.

Scesero le scale scricchiolanti per poi arrivare all'ufficio di Krauser intento a sorseggiare un caffè caldo.

"Mio Dio, ragazza, che ti ha preso?" disse, alzandosi di scatto dalla sedia in pelle nera rovinata.

"Los Illuminados, loro mi vogliono morta" sibilò prima di lasciarsi andare ad un pianto che per quanto potesse sembrare catartico, non era riuscito a colmare il vuoto che si portava dentro. Immagini di morte, sangue, pervasero la sua mente come un virus letale.

"Lo sappiamo, è per questo che vogliamo proteggerti, per ordini del signor Jackson"

"Mio padre, dimmi dov'è mio padre!" urlò con tutta la forza che aveva in corpo prima di barcollare. Il suo corpo non riusciva a reggere tutto quello stress.

"Iman, Iman, calma. Ora sistemiamo le cose" le disse Leon, sostenendola per i fianchi e baciandole la fronte. La portò in camera, e stette lì ad osservarla. Le palpebre tremavano e sembrava dire qualcosa nel sonno.

"Saddler...No, no! Lasciami stare!" farfugliò nel sonno, agitandosi e contorcendosi. La temperatura corporea era salita di colpo, la pelle era bollente al tatto.

"Oh cazzo" imprecò il ragazzo in preda ad un incontenibile panico che sembrava averlo paralizzato fino al midollo. La voce era spezzata "Maggiore Krauser!"

In un attimo l'uomo raggiunse Leon, il quale aveva la paura dipinta sul volto.

"Che succede, ragazzo?" chiese, guardandosi attorno fino a focalizzare la vista sulla povera Iman "Non va bene, non va bene per niente! Portala in infermeria, subito!"

Leon eseguì all'istante gli ordini e la portò nella stanza medica. La adagliò sul lettino e le somministrò degli antibiotici come richiesto dal Maggiore. Iman sembrava posseduta: gli arti si muovevano in modo strano, sospetto, gli occhi erano spalancati e neri.

Il terrore percorse il corpo di Leon, il sangue gli si gelò nelle vene. Non si capacitava di quello che era appena successo. Una sensazione di ribrezzo lo avvolse come un tornado.

"Merda, merda!" urlò in preda al panico. Gli antibiotici non avevano evidentemente funzionato: Iman continuava a contorcersi in modo spasmodico. Le sue labbra erano aperte e farfugliavano frasi sconnesse. Il ragazzo era pietrificato. La sua più grande paura si stava avverando nel momento in cui non riconobbe più la sua ragazza. Il suo corpo non era altro che un mero riflesso di una volontà suprema, sinistra.

"Las plagas, gloria a las plagas!" continuava a ripetere senza sosta. Ad un tratto la ragazza si mise in piedi, prese un coltello dal cassetto e lo puntò verso Leon.

"Iman, che stai facendo? Mi fai preoccupare"

"Non sono Iman, sono qualcosa di più potente, sono...invincibile" gli comunicò con un sorriso sghembo quanto sinistro.

Leon tremò a quelle parole. Non era più lei, la aveva persa, probabilmente per sempre.

"Anziché preoccuparti per me, fallo per te!" urlò con una voce che non era neanche più la sua, correndo verso Leon e ferendolo al braccio. Leon, sanguinante, corse via dall'infermeria per avvertire Krauser. Doveva agire al più presto.

Chiuse a chiave la porta della stanza per poi correre dal Maggiore, il quale, dopo aver recepito l'infausta notizia, si recò dove era ubicata la ragazza, con una cura anche se passeggera.

Due uomini tenevano Iman per le braccia mentre Krauser infilò l'ago ricolmo della medicina nella gamba esile della ragazza. In pochi minuti, quest'ultima tornò alla normalità, rendendosi conto del marasma che aveva combinato.

"L-Leon..." sibilò Iman con le lacrime che le solcavano violentemente il volto intriso di terrore "Io -lo giuro- non l'ho fatto apposta, scusami, scusami!"

Il cuore gli si strinse in una morsa stretta tale da impedirgli di respirare. Vederla in quello stato lo faceva rabbrividire. Come poteva proteggerla adesso che era infetta?

"Non ero più io, mi sentivo come se fossi posseduta" disse tra un singhiozzo e l'altro mentre Leon cercava di rimanere il più composto possibile.

"Ascoltami, è normale avere paura, l'importante è non arrendersi. Ce la faremo, insieme, te lo prometto. Solamente, avvertimi quando stai per accoltellarmi"

Entrambi risero amaramente. Quello era solo l'inizio di una guerra più grande di loro.

BLACK STAR - leon kennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora