4. invasione

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Leon rimase fermo, impassibile

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Leon rimase fermo, impassibile. I suoi occhi vitrei scrutavano la figura di Iman allontanarsi sempre di più. Era rimasto seduto alla scrivania con la tazza in mano, il cui liquido contenuto diventò sempre meno caldo con il passare del tempo. Ne bevve un sorso e poi lo posò sulla piattaforma in legno.

Aveva un'aria seccata e stralunata. Non si capacitava di quello che era successo nelle ultime ore: Los Illuminados si stavano espandendo sempre di più ed erano pronti a colpire da un momento all'altro, erano diventati sempre più aggressivi, spietati come dei veri assassini. Si alzò dalla sedia cigolante e raggiunse la porta per poi aprirla. Doveva raggiungere Iman per impedire che facesse qualche altra delle sue bravate.

La vide attraverso la finestra dell'androne principale: era seduta su una panchina a fumare una sigaretta. Il fumo fuorisciva dalle sue labbra spesse il cui colore emulava quello del caffè. Gli occhi castani brillavano a contatto con la luce timida del mattino facendoli sembrare una pozza di miele. Il modo in cui portava la sigaretta alla bocca era così seducente seppur apparentemente innocente.

Per un attimo, lo sguardo di Iman incontrò quello di Leon, il quale sussultò. Non se lo aspettava. Ciononostante, decise di scendere e raggiungerla, del resto, era da un po' di tempo che non fumava e la mancanza di tabacco si fece sentire. Scese le scale ricoperte di foglie e la raggiunse.

"Hai da accendere?" le chiese, per rompere il ghiaccio.

"Secondo te?" rispose scontrosamente la ragazza, non degnandolo neppure di uno sguardo.

"D'accordo, non sei in vena di parlare"

"complimenti, Sherlock, svelato il mistero" bofonchiò buttando il mozzicone di sigaretta a terra e pestandolo con la suola delle converse bordeaux che portava ai piedi.

"Esiste una spazzatura" la rimproverò, prima di mettersi in ginocchio e raccogliere il mozzicone. La divisa blu metteva in risalto il suo fisico che trasudava mascolinità, i bicipiti si contrarono nel momento in cui la mano leggiadra di Iman si poggiò su uno di essi.

"Faccio io" gli rispose, pentendosi di quel gesto incivile "Comunque la città è già una merda di suo, c'è sporcizia ovunque"

Entrambi erano inginocchiati l'uno davanti all'altro e i loro sguardi si incrociarono per una seconda volta. La terra si era congiunta con le onde impetuose del mare. Il tempo sembrava non passare, quel momento sembrò durare un'eternità.

"Hai ragione, ma io sono convinto che ciascuno possa metterci del suo per renderla più pulita"

"Questo falso buonismo mi da di volta il cervello" esordì, roteando gli occhi al cielo.

"Invece a me infastidisce il tuo comportamento del cazzo, non mi conosci nemmeno e mi parli cosi?" disse inasprendo la voce. Ne aveva avuto abbastanza.

Iman si mise a sedere con le mani sulle tempie e si accorse che forse aveva esagerato. Chiuse gli occhi e respirò profondamente.

"D'accordo, scusami. È solo che non sono nel mio momento migliore"

"Avevo intuito, comunque, lascia che ti riporti a casa, là fuori non è sicuro" cercò a dirle con un tono che voleva essere rassicurante. Stranamente, non ci volle molto per convincere la ragazza che, senza indugio, si recò nell'autovettura. Percorsero la strada in silenzio, con il rumore della natura che li cullava: lo stormire degli uccelli e il fruscio degli alberi che si stagliavano prepotentemente contro il cielo dimostrava all'uomo con estrema delicatezza come la natura avesse preso il sopravvento.

Iman si girò a guardare Leon: gli occhi azzurri erano concentrati sulla strada, la mascella contrita e le mani sul volante. Lo squadrò da testa a piedi. Era davvero un bel ragazzo dall'animo buono. Dopo qualche minuto arrivarono alla comunità di Chestnut. Era giunto il momento di salutarsi.

"Grazie e scusami ancora per prima, Leon" disse con un tono dispiaciuto.

"Non ti preoccupare" la rassicurò, prima di lasciarla sul quel piano sterrato con l'erba incolta e toccarle una spalla in segno di rassicurazione. Leon era abituato ad essere una persona di riferimento per gli altri, un difensore. Molto spesso le persone si recavano da lui per chiedergli un consiglio ma soprattutto per chiedergli supporto e il ragazzo, dal cuore d'oro, accettava sempre, nonostante all'apparenza potesse sembrare un po' freddo e burbero.

Egli si mise di nuovo alla guida, viaggiando per le distese verdi su cui regnava, ancora una volta, un cielo plumbeo e privo di vita. Guidò ancora e ancora fino a vedere in lontananza la stazione di polizia al confine: un palazzo un po 'scrostato, dalle vetrate leggermente sporche.

Ad un tratto un rumore sordo invase le orecchie del poliziotto. Los Illuminados erano tornati, più incattiviti e assetati di sangue di prima. Il vetro venne spaccato in due da un'ascia dalle dimensioni sconsiderate. Il ragazzo, colto di sorpresa, sbandò e andò a schiantarsi contro uno dei pini che contornavano la strada, producendo un rumore sordo.

Per qualche secondo la vita non gli sembrò reale: i suoni erano ovattati e mescolati ad un insopportabile fischio. Leon si guardò intorno spaesato: vedeva quelle creature avvicinarsi pericolosamente. Urlavano, sbraitavano.

Con prontezza, slacciò la cintura e uscì dall'auto, prima di chiamare i rinforzi che lo raggiunsero in qualche minuto. Il ragazzo si armò del suo fidato fucile e iniziò a sparare a quelle creature così inquietanti, quanto misteriose e sconosciute.

"Bastardi!" urlò a pieni polmoni, correndo verso di loro. Avviò un combattimento contro a corpo con uno di loro, il quale stava armeggiando con un manganello. Con un salto acrobatico, fece cadere a terra il corpo. La divisa si era sporcata di sangue, sangue maledetto.

In un attimo i rinforzi arrivarono, investendo qualche fanatico, seppure a costo delle loro vite. In quel momento Leon sentì un vuoto nel petto: la speranza stava venendo a mancare. Osservava i corpi esanime dei suoi colleghi nonché amici e si inginocchiò davanti a loro prima di prendere una delle loro auto e scappare verso il confine, protetto da numerosi cancelli. Guidò il più velocemente possibile per arrivare alla stazione di polizia.

"Watson, abbiamo perso dei nostri! Los Illuminados ci stanno facendo fuori" annunciò in preda allo sgomento al capo.

"Non può accadere di nuovo! Ci stanno massacrando!"

Leon tornò al suo ufficio, sconfitto. Aveva fallito nella missione più importante: proteggere i suoi amici. Del resto, però, doveva prendere coscienza del fatto che non fosse onnipotente anche se non gli importava. Egli era una persona estremamente cocciuta e testarda. Si caricava troppe responsabilità addosso e a volte capitava che non riuscisse a soddisfarle.

E faceva male, faceva male da morire.

Ad un tratto, Watson fece capolino nel suo ufficio per fargli un annuncio importante. Egli era un uomo sulla cinquantina, con folti capelli che viravano dal castano al grigio e la barba ispida.

"Agente Kennedy" gli disse con un tono che lasciava trasparire un'incontenibile panico.

"Cosa, Jim, che succede?"

"Los Illuminados hanno oltrepassato i confini della città"

"Merda!" urlò sferrando un pugno sulla scrivania.

"Sai cosa devi fare"

Leon si limitò ad annuire, prima di far scattare l'allarme in tutta la città e mettersi in marcia verso il suo obiettivo. Questa volta non avrebbe tollerato la parola fallimento.

BLACK STAR - leon kennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora