Capitolo 27

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«Ma sì, mamma te l'ho detto che mi sono ripreso. La febbre è passata già una settimana fa. E so che non ci vediamo da tanto e che sarei dovuto venire da te, ma poi ho mischiato Nives e non me la sentivo di lasciarla da sola.» ribadì Stefano per la centesima volta alla madre, che in quei giorni lo stava bombardando di telefonate.

«Nives? Non mi avevi detto che Nives era stata male. E ora come sta? Sta bene? Chiama il dottor Sandri, magari ha bisogno di una cura più specifica. Può anche venire a visitarla a casa.» suggerì Francesca in ansia, dimostrando un interesse maggiore nei confronti della coinquilina del figlio, piuttosto che di quest'ultimo.

«Non preoccuparti, mamma. Adesso sta bene anche lei. Si è ripresa alla grande e sto per l'appunto entrando in casa.» roteò gli occhi al cielo, girando la chiave nella toppa della porta per poi spalancarla.

«Oh che sollievo!» esclamò in un modo così teatrale che Stefano non riuscì a trattenere una risatina «Allora scusami perché non venite a trovarmi entrambi. Domani è sabato, vi aspetto? Posso preparare un bel ruoto di pasta al forno. A Nives piace?»

«Non lo so, mamma. Dovrei chiederlo a Niv.» rispose gettando per terra la borsa di lavoro. Era stremato e tutta quell'euforia della madre gli stava risucchiando le poche forze che gli erano rimaste «Lei comunque non ha vizi sul cibo, mangia di tutto.» rispose distrattamente, sfilandosi la giacca e sbottonandosi i polsini della camicia per avvolgerseli sugli avambracci, mentre teneva il telefono tra l'orecchio e la spalla «Ne parlo con lei e ti faccio sapere dopo tramite un messaggio se ci siamo domani a pranzo?»

«Sì, ma Stefano a mamma non dimenticarti. Non voglio fare brutta figura con lei. Voglio prepararle un pranzetto come si deve e cercate di esserci. Ho tanta voglia di conoscerla, domani ci sono anche Sole e Simone.» si raccomandò speranzosa, ma il figlio non aveva seguito una sola parola di quell'ultima battuta perché si era imbambolato a fissare un punto preciso.

«Ok. Ti aggiorno dopo. Ciao.» rispose in modo meccanico. Distratto. Attaccando la telefonata ancor prima di ricevere risposta.

«Mamma Francesca vuole conoscermi? Mi porti a pranzo da lei domani?» domandò sardonica Nives, avanzando d'un piccolo passo verso la voce del suo coinquilino, ma reggendosi saldamente al bordo del divano.

Non poteva vederlo, ma aveva comunque una vaga idea dell'espressione sul volto di Stefano. Il tono della sua voce era cambiato mentre parlava a telefono con la mamma e questo significava solo una cosa: si era accorto di lei. Lo stava aspettando impaziente, con solo una sua larga camicia e coprirle il corpo e una delle sue cravatte davanti agli occhi. La stessa del loro viaggio a Napoli. Del loro primo bacio. Del loro primo momento di passione.

Stefano resto fermo a guardarla inebetito, con uno sguardo famelico e le mani bramose di posarsi su quel corpo etereo. La purezza che quella donna emanava gliela faceva desiderare ancor di più, come se lui fosse un lupo affamato in cerca della sua preda perfetta. La voleva, ma rispettata così tanto la sua persona che avrebbe aspettato in eterno un qualsiasi cenno di assenso, a costo di reprimere la sua voglia fino ad esplodere.

«Niv...» la richiamò con voce roca.

«Sì, avvocato?» rispose lei. Provocatoria.

«Niv...» ripetè lui. Affannato. Con gli occhi che quasi gli bruciavano per quanto si stesse concentrando nel non sbattere le palpebre. Voleva imprimersi quella visione paradisiaca nella mente e non dimenticarla mai più.

«Vieni a prendermi, Ste. Cosi ti dirò cosa ci aspetta.»

L'avvocato non se lo fece ripetere due volte. Con uno scatto improvviso e solo due falcate la raggiunse in un baleno. Frenò il suo istinto animalesco di prenderla tra le braccia e sbattersela lì, senza alcun ritegno. Sapeva che Nives stava combattendo una battaglia interiore per superare i suoi limiti. Quindi lasciava a lei le redini del gioco. Avrebbe accettato e si sarebbe preso tutto ciò che lei voleva offrigli, senza opporsi al suo volere o imponendole qualcosa che l'avrebbe messa a disagio.

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