Atto I

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Fate attenzione cari maghi e cari mortali. Prima di entrare nel mio mondo, sappiate che non potrete più uscirci.
-teloiv nosredna.

Violet's Pov
L'inverno era ormai finito, i raggi del sole primaverile scioglievano la neve rimasta. Le goccioline, della neve sciolta sulle foglie degli alberi, cadevano a terra con un certo ritmo. Gli animali si stavano svegliando dal letargo e tra poco l'erba sarebbe cresciuta di nuovo, verde e rigogliosa.

Spostai lo sguardo sulla legna tagliata all'angolo della casa, e poi sulla legna che si stava muovendo grazie alla mia magia.

Le mie mani producevano la stessa forma dei nastri che i Deprived si mettevano tra i capelli, con dei colori che facevano pensare al fuoco e all'acqua e con dimensioni diverse l'uno dall'altro. I nastri volavano muovendosi nell'aria, nello stesso modo in cui muovevo le mie mani, e a volte si incastravano tra di loro.

Strega? Maga? Fata? Angelo?

In quattordici anni mi ero sentita chiamare in molti modi. Nessuno di questi era corretto per definire chi ero. Non ero una maga cattiva, come quella che aveva lanciato l'incantesimo su EtihwLatsyrc, ma non ero neanche una maga che portava bontà e carità agli abitanti della città.

Ero solo una ragazza che aveva avuto dei poteri in modo misterioso. La me bambina non aveva chiesto che il cristallo, che le era entrato dentro il cuore, si sciogliesse e prendesse dei poteri magici. Al contrario, la me bambina desiderava solo vedere la neve e non prendere da essa dei poteri.

Nonostante le numerose ricerche, nessuno si era mai esposto oltre ad una spiegazione banale su come avevo acquisito dei poteri magici. Anche perché nessuno si era mai interessato, oltre all'apparenza, a come fosse avere dei poteri magici non richiesti.

Non ricordavo la mia vita prima di avere i poteri. Non ricordavo cosa significasse non spostare gli oggetti con la magia, non invocare il fuoco o l'acqua in caso di necessità. Ricordavo solo cosa c'era stato dopo la magia.

Gli sguardi non richiesti degli abitanti, l'esclusione dai giochi da parte degli altri bambini e dei loro genitori, il divieto di andare a scuola perché ero ritenuta troppo pericolosa.

Erano state tutte cose con cui avevo dovuto convivere e che alla fine mi avevano resa quella che ero. Una ragazza di diciannove anni con i poteri che nessun mortale avrebbe dovuto avere.

Finì di accatastare la legna e abbassai le braccia, smettendo di usare la magia. Mi avviai verso l'entrata della mia umile casa in legno. Da quando i miei genitori erano morti abitavo da sola, ai piedi della montagna, lontana dal centro della città in cui abitavo con i miei genitori, prima di avere i poteri.

"Nepo" ordinai alla porta, che subito si aprì al mio comando.

Con uno schiocco di dita, alcuni piccoli tronchi di legna mi seguirono e si accatastarono sul caminetto. La porta alle mie spalle si richiuse e mi avviai verso il caminetto con la legna accatastata dentro di esso. Mi inchinai leggermente e guardai la punta del mio indice incendiarsi, e rimasi ad osservarla per un momento.

Non faceva male, la magia scorreva nelle mie vene, per cui il fuoco e l'acqua che evocavo non mi nuoceva. Semplicemente la magia era parte di me e in quanto tale non mi sarebbe mai andata contro.

La piccola fiamma produceva del leggero calore e smisi di guardarla per portare l'indice sulla legna accendendola all'istante. Soffiai sulla fiamma, presente nel mio dito, ed essa si spense. Ancora di spalle sentì il mio Armoc, un animale magico con le sembianze di un lupo che poteva prevedere le sventure, nascondersi sotto al tavolo. Mi voltai vedendolo tremare e respirare in modo irregolare.

SOLDATI DI CRISTALLO.                          IL LABIRINTO DI HEGROVE.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora