Capitolo 6. Ian

76 24 27
                                    

Appena uscito dal distretto sconfitto, furioso mi accendo una sigaretta e aspetto, nascosto dietro ad un pilastro.
Pochi minuti dopo esce anche lei, affiancata da un'altezzosa signora di mezz'età.
Murphy le sta aspettando davanti ad un vecchio pick-up rosso fuoco.
Bambi si lancia tra le sue braccia che la abbrancano facendola scomparire con la sua grossa stazza.

Il telefono che vibra nella tasca dei jeans mi distrae, rispondo senza distogliere lo sguardo da loro, da come si sorridono.
È disgustoso.

« Spiegami cosa ti è venuto in mente?
Pensi di risolvere le cose comportandoti così? »
Grida papà dall'altro capo.

« A differenza tua io sto provando a risolvere le cose! Come puoi continuare a difenderla? Ci sono le sue impronte sulla pietra » affermo schiacciando la sigaretta con rabbia sotto le scarpe.

Mia madre piange, i suoi singhiozzi risuonano nella mia testa aumentando il senso di colpa.

« Sono molto deluso da te Ian.
Hai deciso di percorrere questa strada, ma sarai da solo, noi non vogliamo essere coinvolti. »

Rientrato in hotel mi dirigo subito al bar e con una bottiglia di scotch scadente attraverso i corridoi sino alla mia camera.
Voglio solo dimenticare quegli occhi.

È diventata bellissima cazzo, i capelli lunghi, dorati raccolti in una coda di cavallo, la fossetta sulla guancia destra che risalta quando sorride per non parlare di quelle labbra carnose sempre imbronciate.

Sono a quasi metà della bottiglia quando bussano alla porta e mi alzo un po' barcollante.
Quando la spalanco mi ritrovo davanti ad un vero idiota.
« Ecco qui il nostro vicesceriffo » biascico indicandolo con la bottiglia.
Mi volto di nuovo chiudendo la porta, ma qualcosa la blocca.
« Leva quel piede o te lo rompo, Castillo. »

« Sei troppo ubriaco per picchiarmi » ribatte sogghignando.
Da dietro la schiena tira fuori una bottiglia del mio whisky preferito e la agita davanti alla mia faccia.
Gliela strappo via e mi avvio verso il tavolino del salotto lasciando la porta aperta alle mie spalle, si siede sulla poltrona.
Non posso fare a meno di guardarlo e pensare a quanto sia stato stupido, se l'è lasciata scappare per degli stupidi cavilli.

« Sono un coglione, lo so ok? » Sospira, « ma chi si aspettava che Murphy avesse un avvocato pronto alla battaglia » continua prendendo il suo bicchiere dal tavolino, si scola tutto in un sorso.
« Ci ho parlato, era tranquillo quando gli ho spiegato perché ero lì » rimugina guardandomi.

« Adesso è inutile ripensarci » rispondo alzandomi dal divano per versare un altro giro.
« C'è qualcos'altro che possiamo fare? »

Sospira, si sfrega le mani sulla testa.
« Qualcosa che possiamo fare c'è ma... Diciamo che non è proprio legale » afferma con lo sguardo fisso sul soffitto.

« Facciamolo » ribatto.
Non voglio sapere di cosa si tratta.
Voglio scoprire dov'è mio fratello e tornare alla mia vita.
Nient'altro è importante.
Sollevo il mio bicchiere e ingollo il liquido tutto d'un fiato, ma nemmeno il bruciore che provoca questo ottimo whisky può placare la tempesta dentro di me.
L'ho presa tra le mie braccia, ho sentito il suo dolce profumo, il suo respiro agitato e ora mi sembra di averla sottopelle.
Posso ancora sentire la sua pelle a contatto con la mia.
Non c'è alcool che possa cacciarla via.

*

Quella stessa sera non appena fa buio partiamo da casa di Jake, la fattoria Coldwell è appena fuori città.
Prima di arrivare alla rete che delimita i loro terreni parcheggiamo l'auto dietro ad un canneto che la nasconde, prendo dal bagagliaio delle pinze, la macchina fotografica e qualche altro attrezzo.
Con la torcia alla mano ci avviciniamo alla casa, di fronte a noi c'è solo terra arida, campi vuoti, desolazione.
Anche la fattoria sembra essere stato abbandonata da tempo.
Attraversiamo gli ultimi duecento metri camminando nell'erba alta.

Non si scappa dall'amore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora